Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38165 del 10/07/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 38165 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GUAGLIANONE STEFANO N. IL 26/12/1984
avverso l’ordinanza n. 101/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 05/10/2012
sentita la rel ione fatta dal Consigliere potst. fiPATZIaA PICCIALLI .
ette/s3X.k1e conclusioni del PG Dott. Weoto rot..«;t9h0

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Data Udienza: 10/07/2013

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro, su istanza presentata da
GUAGLIANONE Stefano ai sensi degli artt. 314 e 315 c.p.p., condannava il Ministero
dell’Economia e delle Finanze a corrispondere allo stesso la somma di € 20.295,64 a titolo di
riparazione per l’ingiusta detenzione subita, di cui 2 giorni in carcere e 168 agli arresti

domiciliari.

Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite il difensore, Guaglianone Stefano,
contestando il metodo di quantificazione dell’importo liquidato sul rilievo che erroneamente la
Corte territoriale si era limitata ad applicare, ai fini della quantificazione dell’indennizzo, il mero
criterio aritmetico senza tener conto delle conseguenze personali e familiari derivanti dalla mera

custodia cautelare patita. In particolare il ricorrente lamenta il che il giudice della riparazione non
aveva tenuto conto del mancato rinnovo del contratto stagionale/

In data 26 aprile 2013 è stata depositata nella cancelleria di questa Corte dichiarazione del
difensore di rinunciare al diritto alla trattazione in pubblica udienza del presente procedimento,

rendendo così irrilevante, ai fini della definizione del medesimo, la questione di costituzionalità
dell’art. 315, comma 3, in relazione all’art. 646, comma 1, c.p.p, in riferimento agli articoli 117,

comma 1, e 111 della Costituzione, sollevata da questa Corte, a Sezioni Unite, con ordinanza in
data 12 ottobre 2012 ( dichiarata inammissibile dalla Corte Costituzionale con sentenza in data
18 luglio 2013, n. 214).

E’ stata depositata memoria difensiva nell’interesse del Ministero dell’Economia e della Finanze
con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso, con vittoria di spese.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

La giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per
ingiusta detenzione, si è stabilmente orientata ( v. Sezioni unite, 9 maggio 2001, Caridi) sulla
necessità di contemperare il parametro aritmetico- costituito dal rapporto tra il tetto massimo
dell’indennizzo di cui all’articolo 315, comma 2, c.p.p. (euro 516.456,90) e il termine massimo
della custodia cautelare di cui all’articolo 303, comma 4, lett. c).,c.p.p., espresso in giorni ( sei
anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il periodo anch’esso espresso in giorni, di ingiusta
restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del

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caso concreto, che non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente
stabilito.
Dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente, è
costituito, pertanto, dal parametro aritmetico (individuato, alla luce dei criteri s..r. indicati, nella
somma di euro 235, 82 per ogni giorno di detenzione in carcere ed in quella CiP.Z.-1ii.1…M.1 per
ogni giorno di arresti domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività della pena).

Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando il pregiudizio che scaturisce dalla

della riparazione, il quale, comunque, potrà derogarvi in senso ampliativo ( purchè nei limiti del
tetto massimo fissato dalla legge) oppure restrittivo, a condizione però che, nell’uno o nell’altro

libertà personale a dati certi, costituisce certamente il criterio base della valutazione del giudice

caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento,
ferma pur sempre restando la natura indennitaria e non risarcitoria della corresponsione della
somma liquidata.

La natura indennitaria della riparazione non esclude, pertanto, ogni scostamento dal criterio

aritmetico, sussistendo la possibilità di liquidazione secondo un metodo misto che, ricorrendo le

condizioni, sommi il risultato di una valutazione aritmetica con il risultato di una ulteriore
valutazione equitativa ( v., da ultimo, Sezione IV, 14 febbraio 2012, n. 49832, Bagnolini ed
altro).

E’ stato precisato, in tal senso, ( v.Sezione IV, 25 febbraio 2010, n. 10690, Cammarano, rv.

246425 ) che, nel liquidare l’indennità per le ulteriori conseguenze personali e familiari derivanti

dalla ingiusta detenzione, il giudice della riparazione è vincolato esclusivamente al tetto massimo
normativamente stabilito, che non può essere superato, ma non anche al parametro giornaliero,

al quale va commisurato l’indennizzo per il danno derivante dalla mera privazione della libertà
personale e dalle conseguenze dirette da essa derivanti sulle attività e i rapporti personali.

Va, poi rilevato che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte ( v., tra le tante, la

citata sentenza Cammarano ) il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di
riparazione – quale tipico giudizio di merito – è sottratto al giudice di legittimità che può soltanto
verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non certo
sindacare la sufficienza, o insufficienza, della somma liquidata a titolo di riparazione a meno che,
discostandosi in modo assai sensibile dai criteri usualmente seguiti che fanno riferimento al tetto
massimo liquidabile correlato al termine massimo della custodia cautelare, il giudice non abbia
adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la
somma dovuta.

Alla luce dei principi sopra indicati, ritiene il Collegio che nel caso in esame non è ravvisabile il
vizio denunziato.

Il giudice della riparazione, nel determinare l’ indennizzo, ha correttamente indicato ed applicato
i criteri aritmetici di liquidazione adottati e ed ha riconosciuto all’istante la somma complessiva di
euro 20.295,64, in ragione di 236 euro per ciascuno dei giorni di custodia cautelare ed euro
118,00 per ciascuno dei giorni agli arresti domiciliari, calcolandola con esatto riferimento alla
durata della detenzione carceraria.
La Corte di merito ha altresì precisato che, nel caso di specie, gli elementi rilevanti nella
quantificazione erano costituiti dalla durata e dalla natura della detenzione, costituenti i parametri

principali, mentre gli aspetti connessi, quali le sofferenze psicologiche e morali, i riflessi familiari
e personali potevano essere presi in esame solo in via equitativa, rientrando tali conseguenze
nella ordinaria dinamica psichica di ciascuno.

Tale motivazione, contrariamente a quanto indicato in ricorso, non è contraddittoria.

Deve infatti rilevarsi che l’art. 314 c.p.p., con il richiamo alla custodia cautelare subita, intende

anzitutto garantire l’indennizzo per il danno derivante dalla mera privazione della libertà
personale e dalle dirette conseguenze di questa privazione sul piano delle attività e dei rapporti

personali; il parametro giornaliero va dunque ad esse commisurato, mentre le ulteriori

conseguenze vanno separatamente considerate e indennizzate nel limite del tetto massimo
previsto.

L’art. 315, comma 3, c.p.p., richiama, in quanto compatibili, anche le altre norme sulla
riparazione dell’errore giudiziario e ciò consente di affermare, come del resto sempre riconosciuto

dalla giurisprudenza di legittimità, che sia applicabile anche alla riparazione per l’ingiusta
detenzione – sempre all’interno del tetto massimo previsto – la possibilità di commisurare l’entità

della riparazione non solo alla durata della detenzione ma altresì alle “conseguenze personali e
familiari” da essa derivanti (art. 643, comma 1, c.p.p.).

Peraltro, per queste conseguenze ulteriori (gli esempi sono noti: la perdita del lavoro, l’obbligata

cessazione di un’attività economica; ma anche una significativa compromissione delle condizioni
di salute) è richiesto – a differenza di quanto avviene per il pregiudizio derivante dalla mera

privazione della libertà personale – che l’istante fornisca la prova della loro esistenza anche se
non del danno subito la cui liquidazione può avvenire equitativamente.
Nel caso in esame, la Corte di merito ha ritenuto che la documentazione prodotta, limitata alla
perdita del posto di lavoro, non fosse idonea a dimostrare che la società privata si era
determinata a non rinnovare più il contratto di lavoro stagionale all’istante a causa del suo
arresto e della successiva sottoposizione a misura cautelare, evento verificatosi dopo qualche
mese dalla già intervenuta cessazione del contratto a tempo determinato.
Tale valutazione del giudice di merito è incensurabile nel giudizio di legittimità perché
adeguatamente motivata.

Per le considerazioni svolte il ricorso va rigettato.

Alla declaratoria di rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute in
questo giudizio dal Ministero resistente, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla
rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi euro 750,00,

Così deciso nella camera di consiglio del 10 luglio 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

oltre accessori come per legge.

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