Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38162 del 10/07/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 38162 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MELELLA CATERINA N. IL 06/06/1978
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 26/2010 CORTE APPELLO di SALERNO, del
28/09/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
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Data Udienza: 10/07/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Melella Caterina,a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Salerno, con la quale era
stata rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 14
al 12 dicembre 2008 (custodia in carcere) e poi sino al 20.11.2009 (arresti
domiciliari) per il delitto di concorso con il coniuge Benicchi Roberto e con Fasulo
Valentina nella detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente, dal quale

La Corte territoriale ha ravvisato la circostanza escludente del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., e cioè di avere
concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per colpa grave.
In particolare il giudice della riparazione ha indicato le condotte poste a
fondamento della misura cautelare:

essere stati rinvenuti nell’abitazione familiare nove telefoni cellulari

e strumenti atti al confezionamento di dosi di stupefacente;

il rinvenimento nella borsa della donna di ottomila euro, nonché di

una chiave con la quale era possibile aprire la cassaforte installata presso
l’abitazione della Fasulo;

l’esser stata vista la Melella la notte precedente all’arresto (alle ore

2,40, alle ore 3,10 e alle ore 4,00) aggirarsi con il marito nei pressi
dell’abitazione della Fasulo;

l’aver reso dichiarazioni, a

riguardo di tal ultima circostanza,

contrastanti con quelle rese dal coniuge.

2. La Melella ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 cod. proc. pen., asserendo che il giudice della riparazione è incorso
in vizio motivazionale e violazione di legge avendo fondato il proprio
convincimento non già sulla sola condotta della Melella ma sul comportamento
processuale del coniuge, dal momento che il provvedimento impugnato si fonda
sul ravvisato contrasto tra le dichiarazioni dei due coimputati.
Inoltre, ad avviso dell’esponente il giudice di merito si è limitato a interpretare
in modo difforme da quanto aveva fatto quello della cautela le circostanze emerse
nelle indagini. La ricorrente sostiene che la Melella poteva essere stata ingannata
dal marito circa le ragioni del transito in ora notturna nei pressi dell’abitazione
della Fasulo e che la valenza dimostrativa della presenza nella borsa della Melella
della chiave che apriva la cassaforte della Fasulo medesima non consentiva di
affermarne la consapevole connivenza; e rileva che la mancanza di acquisizioni

era stata assolta con la formula per non aver commesso il fatto.

sopravvenienti rende persino superfluo vagliare l’incidenza della condotta
dell’istante (si cita Cass. 7296/2011).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato.
4.

La giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata nel senso

tracciato dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del 15
ottobre 2002, Ministero del Tesoro in proc. De Benedictis, secondo la quale “in

chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve
apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili,
con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti,
fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua,
è incensurabile in sede di legittimità”.
Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e
precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la
perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante

(e

secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito
nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se
sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore
dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito
penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (di
recente, ex pluribus, Sezione IV, 19 giugno 2008, Bedini ed altro).
In una tale prospettiva, secondo un assunto interpretativo anch’esso pacifico
nella giurisprudenza di legittimità, la nozione di “colpa grave” di cui all’articolo
314, comma 1, c.p.p., ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione,
va individuato in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere,
per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza
di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una
non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si
sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della
libertà personale. A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in
comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la grave
leggerezza o la macroscopica trascuratezza, tenuti sia anteriormente che
successivamente al momento restrittivo della libertà personale; onde,
l’applicazione della suddetta disciplina normativa non può non imporre l’analisi
dei comportamenti tenuti dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività
investigativa e della relativa conoscenza, indipendentemente dalla circostanza
che tali comportamenti non integrino

reato

(anzi,

questo è il

tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se

presupposto,

scontato, dell’intervento del giudice della riparazione) (cfr.,

ancora,Sezione IV, 19 giugno 2008, Bedini ed altro).
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dal
ricorrente ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della
libertà personale il convincimento di un probabile coinvolgimento dell’ istante

5. Nella specie, non vi è dubbio che la Corte territoriale, con motivazione
logica ed ampia, ha spiegato che le condotte ascritte alla Melella, pur non
costituendo illecito penale, sono state idonee a determinare l’applicazione della
misura cautelare. In particolare, il giudice della riparazione ha valorizzato, come
evidenziato sopra nella parte espositiva, proprio quegli elementi che erano
disponibili al momento in cui il provvedimento restrittivo venne reso.
Siffatte condotte – sommate fra loro – senz’altro consentono di configurare la
colpa grave, così come individuata dalle SS.UU.
Invero, il primo motivo assume un dato non corrispondente al vero. La Corte
di Appello infatti non ha fondato il proprio giudizio sul comportamento del
Benicchi piuttosto che della Melella, ma ha ricavato elementi di convincimento dal
fatto, non contestato neppure dalla esponente, della difformità delle dichiarazioni
rese dalla Melella rispetto a quelle rese dal coniuge.
Tanto precisato va anche rilevato che, come esposto nella precedente parte
narrativa, la Corte distrettuale non ha fondato il proprio giudizio sul dato appena
ricordato ma su ulteriori circostanze; le quali già da sole valgono a rendere la
motivazione impugnata immune da censure di manifesta illogicità.
Quanto al secondo motivo, esso si sostanza in una valutazione della prova
difforme da quella operata dal giudice della riparazione; valutazione antagonista
che si vorrebbe veder convalidata in sede di legittimità. Risulta quindi opportuno
rammentare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza
conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia
riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale
della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza
di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o
fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla
collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero
dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente
dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati
inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che
siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro

nella organizzazione criminale della quale è stata accusato far parte.

rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo
interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc.
Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri,
Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775;
Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Nel caso che occupa la verosimiglianza di una lettura alternativa dei fatti non

La citazione della pronuncia Cass., Sez. 4, n. 7296 del 17/11/2011 – dep.
23/02/2012, Berdicchia, Rv. 251928, appare invero non in grado di offrire
sostegno alla prospettazione della ricorrente.
Nella specie questa Corte ha statuito che, in tema di riparazione per ingiusta
detenzione, ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa
della colpa grave dell’interessato – fermo restando l’insindacabile diritto al silenzio
o alla reticenza o alla menzogna da parte della persona sottoposta alle indagini e
dell’imputato – nell’ipotesi in cui solo questi ultimi siano in grado di fornire una
logica spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di elementi acquisiti nel
corso delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali, rilevano ma il
mancato esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano dell’allegazione
di fatti favorevoli, che se non può essere da solo posto a fondamento
dell’esistenza della colpa grave, vale però a far ritenere l’esistenza di un
comportamento omissivo causalmente efficiente nel permanere della misura
cautelare, del quale può tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in
presenza di altri elementi di colpa.

6. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2013.

vale a rendere manifestamente illogica la motivazione resa dalla Corte di Appello.

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