Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3816 del 03/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3816 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LAFFORÈ GIULIANO, nato il 03/09/1977
avverso l’ordinanza n. 273/2014 TRIB. LIBERTÀ di ANCONA, del
01/07/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
udite le conclusioni del PG Dott. FULVIO BALDI che ha chiesto il rigetto del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 1/7/2014 il Tribunale del riesame di Ancona ha
confermato l’ordinanza con la quale, in data 18/6/2014, il G.I.P. del medesimo
Tribunale, in sede di convalida di fermo, aveva applicato nei confronti di Lafforè
Giuliano la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al reato di
associazione a delinquere finalizzata alla commissione di furti in abitazione
nonché in relazione a tre reati fine (furti in abitazione pluriaggravati) e al reato
di cui all’art. 55, comma 9, d.lgs. 21 novembre 2007 n. 231 (indebito utilizzo di
carte di credito), per il quale era indagato in concorso con altri.
I motivi di ricorso, esclusivamente impingenti la sussistenza di esigenze
cautelari tali da giustificare la più severa misura custodiate, sono stati disattesi
dal tribunale in considerazione dei numerosi precedenti penali e carichi pendenti
specifici; della gravità dei reati per i quali il prevenuto è sottoposto a indagini

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Data Udienza: 03/12/2014

(ben tre furti in abitazione, commessi in appena quattro giorni, due la stessa
notte); della partecipazione a un sodalizio criminale su base familiare dedito a
tale tipo di reati; del pericolo di reiterazione derivante anche dalla mancanza di
occupazione lavorativa; della necessità di salvaguardare l’acquisizione di ulteriori
fonti di prova, essendo in corso la ricerca di parte della refurtiva ancora non
rinvenuta; della inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari poiché
questa sarebbe da eseguire in un campo nomadi: luogo ritenuto dal collegio «in
sé inidoneo, nonostante il possibile utilizzo del braccialetto elettronico, in quanto

comunque, non riconducibile al concetto di abitazione o privata dimora» e,
inoltre, perché, in tale contesto promiscuo, sarebbe comunque impossibile alle
forze dell’ordine operare alcun controllo in ordine alle frequentazioni
dell’indagato.

2. Avverso tale ordinanza propone ricorso il Lafforè, per mezzo del proprio
difensore, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, per essere,
quella addotta dal tribunale, contraddittoria e carente di riferimenti a concreti
elementi di giudizio.
Sostiene in sintesi che:
i furti per i quali egli è indagato, commessi nello stesso contesto temporale,
non sono indicativi di costanza e continuità nella commissione di reati;
il tribunale confonde l’esigenza di non inquinare le prove con l’aspettativa di
recuperare la refurtiva;
il collegio è altresì incorso in grave errore postulando che egli avrebbe
chiesto gli arresti domiciliari presso il campo nomadi di lesi, essendo invece tale
richiesta riferita a una casa indipendente, unifamiliare, in muratura, sita in
Oldenico, località in provincia di Vercelli, distante centinaia di chilometri da
Ancona o da Jesi, ovvero dal luogo in cui sono avvenuti i fatti e dal luogo in cui
dimorano i coimputati, i loro familiari o altri pregiudicati;
è illogico sostenere che i luoghi sia pur precari dove abitualmente risiedono i
nomadi siano incompatibili con la meno severa misura richiesta, né che
l’applicazione di un braccialetto elettronico non possa contribuire a rafforzare
l’efficacia della misura;
il tribunale ha violato, infine, la previsione di cui all’art. 275, comma 2-bis,
cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 8, comma 1, di. 26 giugno 2014, n. 92,
già in vigore alla data dell’ordinanza impugnata, che esclude possa essere
applicata la misura della custodia cautelare in carcere «se il giudice ritiene che,
all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni»,
come è più che verosimile ritenere accadrà nella specie, trattandosi di quattro
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trattasi di spazio aperto, non chiaramente delimitato, né delimitabile e,

furti pacificamente in continuazione tra loro, per i quali gli imputati hanno già
manifestato l’intenzione di richiedere i riti alternativi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
Giova rammentare che, secondo costante insegnamento della Suprema
Corte, per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei

revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso
lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive
dell’indagato in relazione alle esigenze cautelar’ ed alla adeguatezza delle
misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo
del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è, quindi, circoscritto all’esame del contenuto
dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6, n. 2146
del 25/05/1995, Tontoli, Rv. 201840).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e
delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen., è, quindi, rilevabile in
cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o
in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato.

4.

Nel caso di specie l’ordinanza impugnata ha giustificato la propria

valutazione circa la sussistenza di esigenze cautelari non adeguatamente
fronteggiabili se non con la più severa misura restrittiva, con motivazione
adeguata, come tale non suscettibile di sindacato in questa sede.
Il tribunale ha, infatti, congruamente, ancorché sinteticamente, motivato
l’espresso convincimento relativo alla loro sussistenza e alla inadeguatezza di
misure meno affiittive di quella disposta, facendo riferimento in particolare, come
detto, alla gravità dei fatti, in sé non contestata peraltro nemmeno dal
ricorrente, ai precedenti specifici, allo stato di disoccupazione, all’inserimento del
prevenuto in un «sodalizio criminale su base familiare dedito a tale tipo di reati»,
tale da rendere concreto e verosimile il pericolo di frequentazione dell’indagato
con altri soggetti dediti ad analoghe attività delittuose.
Su tali punti, le censure in questa sede mosse dal ricorrente si rivelano in
massima parte generiche e inconducenti o al più meramente espressive di una

provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di

diversa valutazione delle circostanze esaminate, che per quanto detto, in quanto
tale, non può trovare ingresso in questa sede.
Deve ritenersi in particolare inconferente il rilievo secondo cui erroneamente
il tribunale avrebbe inteso la richiesta di applicazione della meno afflittive misura
degli arresti domiciliari come riferita al campo nomadi di Jesi e non invece in
Oldenico, posto che si tratta comunque di circostanza di non decisivo rilievo
nell’economia della motivazione e come tale inidonea a far venire meno la
coerenza logica della stessa nel suo complesso, in quanto espressiva di una

specifici, di condizioni di vita tali da giustificare una prognosi di inadeguatezza
della meno afflittiva misura degli arresti domiciliari.
Aspecifiche poi sono le censure dirette a contestare la valutazione del rilievo
attribuibile all’applicazione di un braccialetto elettronico, le quali invero non si
confrontano con il reale significato delle considerazioni sul punto svolte
nell’ordinanza impugnata. Questa infatti, lungi dal negare aprioristicamente
l’utilità di tale dispositivo ai fini del soddisfacimento delle esigenze cautelari, ha
riferito la propria valutazione sul punto allo specifico contesto considerato,
ragionevolmente evidenziando che questo, nel caso concreto, non consentirebbe
un efficace controllo da parte delle forze dell’ordine in ordine alle frequentazioni
dell’indagato.
Non sussiste, infine, la dedotta violazione della norma di cui all’art. 275,
comma 2 bis, cod. proc. pen., apparendo al riguardo assorbente il rilievo che la

formulazione della stessa è stata modificata dalla legge di conversione del d.l. n.
92/2014 che l’aveva introdotta nei termini riferiti dal ricorrente, con la previsione
della espressa esclusione della sua applicabilità nei procedimenti per taluni delitti
ivi espressamente indicati, tra i quali quello – che nella specie viene in rilievo – di
cui all’art. 624-bis del codice penale.

5. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Va disposta la trasmissione di copia del presente provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto stabilito dall’art.
94, comma 1 ter, disp. att. del c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso
4

valutazione fondata anche sulla gravità dei fatti, sull’esistenza di precedenti

al direttore dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. del c.p.p..

Così deciso il 3/12/2014

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