Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3814 del 03/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3814 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ZAIMI EDMONT, nato il 31/10/1980
avverso la sentenza n. 529/13 G.U.P. TRIBUNALE di RIMINI, del
29/07/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette le conclusioni del PG Dott. ENRICO DELEHAYE che ha chiesto che «la
Corte di Cassazione voglia annullare la sentenza impugnata senza rinvio
rimettere gli atti al tribunale di Rimini per l’ulteriore corso».

RITENUTO IN FATTO

1. Zaimi Edmont, imputato del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. e 110 cod.
pen., 73, comma 1 bis e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, per avere, con

più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con altri,
acquistato e trasportato 524 g di cocaina (capo I), con l’aggravante dell’ingente
quantitativo della sostanza – fatti commessi tra il 19/1/2011 e il 22/1/2011 ricorre per cassazione avverso la sentenza (in epigrafe indicata) di applicazione
concordata della pena, con la quale, esclusa l’aggravante di cui all’art. 80,
comma 2, d.P.R. cit., riconosciute le attenuanti generiche e applicata la
diminuente del rito, è stata determinata nei suoi confronti la pena di anni 2 e
mesi 8 di reclusione e C 11.600,00 di multa.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla mancata

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Data Udienza: 03/12/2014

qualificazione del fatto come ipotesi lieve ai sensi e per gli effetti dell’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309/90. Assume che al riguardo il giudice a quo avrebbe
dovuto valorizzare il fatto che trattavasi di acquisto effettuato da più persone di
sostanza stupefacente con un principio attivo pari a 93,737 g.
Con il secondo motivo deduce carenza assoluta di motivazione in ordine
all’applicazione della confisca ex art. 12-sexies legge n. 356/1992 dell’unità
immobiliare sita in Bellaria Igea Marina.
Lamenta che al riguardo il giudice ha omesso di dare minimamente conto

sotto il profilo del collegamento dell’immobile sequestrato con il reato ascritto ad
esso ricorrente, sia con riferimento alla (implicitamente ritenuta) irrilevanza
dell’esistenza di altri comproprietari estranei al procedimento ovvero assolti da
ogni accusa.

2. Nella sua requisitoria scritta il P.G. in sede ha chiesto l’annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata, in relazione alla illegalità della pena
applicata, sopravvenuta per effetto della sentenza della corte costituzionale n. 32
del 25/2/2014, con la conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Rimini
per il corso ulteriore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. E infondato il primo motivo di ricorso.
Come reiteratamente affermato nella giurisprudenza della Suprema Corte, in
tema di patteggiamento, «una volta che l’accordo tra le parti sia stato ratificato

dal giudice con la sentenza di applicazione della pena, non è consentito, fuori dai
casi di palese incongruenza, censurare il provvedimento in punto di
qualificazione giuridica del fatto e di ricorrenza delle circostanze, neppure sotto il
profilo della mancanza di motivazione, ricorrendo in proposito un dovere di
specifica argomentazione solo per il caso che l’accordo abbia presupposto una
modifica dell’imputazione originaria» (v. ex aliis

Sez. 6, n. 32004 del

10/04/2003, Valetta, Rv. 228405).
È stato, altresì, precisato (Sez. 2, n. 40519 del 12/10/2005, Scafidi, Rv.
232844) che l’accordo sulla pena «esonera il giudice dall’obbligo di motivazione

sui punti non controversi della decisione».
Conseguentemente, anche una valutazione sintetica del fatto, operata in
sentenza, deve considerarsi più che sufficiente a giustificare la ratifica
dell’accordo raggiunto dalle parti.
Ed infatti, per giurisprudenza costante di questa Corte (risalente nel tempo,
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degli elementi di fatto che dovrebbero giustificare il provvedimento adottato, sia

Sez. 3, n. 2309 del 18/06/1999, Bonacchi, Rv. 215071, e più volte ribadita: v.
sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622; Sez. 3, n. 39987 del
1/10/2009, Angileri, non mass.), la sentenza del giudice di merito che applichi la
pena su richiesta delle parti (escludendo che ricorra una delle ipotesi di
proscioglimento previste dall’art. 129 cod. proc. pen.) può essere oggetto di
controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se, dal
testo della sentenza impugnata, appaia evidente la sussistenza di una causa di
non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen.. Diversamente, non è necessario che il

sufficiente anche una implicita motivazione» a riguardo (sez. 5, n. 1713 del
15/04/1999, Barba, Rv. 213633).
Nella fattispecie che ci occupa il giudice non si è sottratto all’obbligo
motivazionale, avendo fatto riferimento, pur con la sinteticità tipica del
provvedimento, agli atti acquisiti, di cui aveva preso completa cognizione.
In particolare, con riferimento al tema investito dal motivo in esame,
l’esplicito riferimento ai dati ponderali della sostanza sequestrata (524 g di
cocaina, per un principio attivo di 93,737 g) è di per sé con ogni evidenza
sufficiente a giustificare la ritenuta non riconducibilità della fattispecie all’ipotesi
lieve prevista dalla comma 5 dell’art. 73.
Del resto, l’unico argomento in senso contrario speso in ricorso, ossia la
riferibilità di tale quantitativo a più acquirenti, si appalesa inconsistente sul piano
giuridico, trattandosi di elemento che vale solo a qualificare l’ipotesi delittuosa
come concorsuale ma non ne giustifica certo un frazionamento a fini qualificatori
in tante distinte fattispecie per quanti sono i correi.

4. È invece fondato il secondo motivo di ricorso.
Deve in effetti rilevarsi che la sentenza impugnata giustifica la disposta
confisca dell’unità immobiliare sita in Bellaria Igea Marina, via Isonzo n. 2, con la
sola laconica affermazione (integrante motivazione inconsistente se non
meramente apparente), della sua «riferibilità» all’imputato, così venendo meno
allo specifico onere motivazionale, tanto più nella specie non eludibile a fronte
della allegata intestazione del bene anche a terzi e considerate anche le
specifiche produzioni documentali richiamate dal ricorrente a supporto della tesi
difensiva della provenienza lecita delle somme investite per il suo acquisto.
Il G.u.p. si limita, invero, ad affermare in modo apodittico la doverosità della
confisca senza giustificare tale affermazione attraverso una pur sintetica
valutazione dei motivi in fatto che inducono a ritenere inidonee le allegazioni e la
documentazione offerte dall’imputato a superare la presunzione di provenienza
illecita del denaro impiegato per l’acquisto del bene.
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giudice dia conto, nella motivazione, della esclusione di tale causa, «essendo

5. Deve invece escludersi l’esistenza di profili di illegalità della pena,
infondatamente segnalati dal P.G. nella sua requisitoria scritta.
Al riguardo, deve escludersi possa assumere rilievo nel presente
procedimento la declaratoria di illegittimità costituzionale (pronunciata, come
noto, nelle more del presente giudizio, con sentenza della Corte costituzionale n.
32 del 12 – 25 febbraio 2014) del comma 1 dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309, come sostituito dall’art. 4-bis, comma 1, lett. b), d.l. 30 dicembre 2005,

cui base è stato determinato il trattamento sanzionatorio.
Trattandosi, infatti, di c.d. droga pesante (cocaina), quest’ultimo – nella
specie peraltro attestato sul minimo edittale – risulta in ogni caso più favorevole
rispetto a quello previsto dalla disciplina tornata in vigore per effetto di tale
declaratoria.
Ed infatti, mentre la norma dichiarata incostituzionale, uniformando il
trattamento sanzionatorio relativo alle ipotesi di reato concernenti le c.d. droghe
leggere con quelle riferite alle c.d. droghe pesanti, prevedeva per entrambe la
pena della reclusione da un minimo di sei anni ad un massimo di venti e quella
della multa da C 26.000 a C 260.000, l’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 nel
testo risultante dalla modifica apportata, anteriormente alla norma dichiarata
incostituzionale, dall’art. 14, comma 1, legge 26 giugno 1990, n. 162,
distinguendo, invece, nettamente, ai fini del trattamento sanzionatorio, tra
droghe pesanti e droghe leggere, prevedeva per i fatti che avevano ad oggetto le
prime la più severa pena della reclusione da otto a venti anni e della multa da
C 25.822,00 a C 258.228,00 (art. 73, comma 1).
Ne discende, con ogni evidenza, che l’applicazione della legge ora vigente
(perché tornata in vigore, come detto, per effetto della detta declaratoria di
incostituzionalità), sarebbe comunque peggiorativa, in fatto, rispetto a quella
applicata dal primo giudice, la quale, pertanto, non si espone ad alcun possibile
rilievo officioso di illegalità in questa sede (ancorché, ripetesi, si tratti di
disciplina dichiarata incostituzionale).
Ciò non soltanto perché tale rilievo non potrebbe comunque mai operare in
malam partem in mancanza di impugnazione da parte del P.M., per il divieto di
reformatío in peius (v. ex aliis Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013, G., Rv. 257672;
Sez. 5, n. 771 del 15/02/2000, Bosco, Rv. 215727), ma prima ancora perché la
norma dichiarata incostituzionale (ossia, per quanto in questa sede interessa,
l’art. 73, comma 1, d.P.R. cit. nel testo introdotto dal citato art. 4-bis di. n.
272/2005, conv. con modif. dalla legge 49/2006), nonostante la detta pronuncia
di incostituzionalità, ben può continuare a trovare applicazione per i fatti
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n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, sulla

commessi sotto la sua vigenza (non anche invece per quelli anteriori: v. in tal
senso Corte cost. n. 394 del 23/11/2006; nonché Sez. 4, n. 13903 del
28/02/2014, Spampinato, non mass.), ove la sua applicazione in concreto possa
– come nel caso di specie – condurre a un trattamento più favorevole per
l’imputato.

6. La sentenza impugnata

dunque annullata limitatamente alla disposta

confisca, con rinvio al Tribunale di Rimini per nuovo esame sul punto.

P.Q.M.

Annulla la impugnata sentenza con rinvio limitatamente alla disposta
confisca. Rigetta nel resto.
Così deciso il 3/12/2014

Il ricorso va, invece, nel resto, rigettato.

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