Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38130 del 13/06/2013
Penale Sent. Sez. 4 Num. 38130 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SANTOCCHI ALVIERO N. IL 21/10/1958
avverso la sentenza n. 431/2011 CORTE APPELLO di ANCONA, del
02/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ir e.g.< Cettf-w
che ha concluso per Data Udienza: 13/06/2013 RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Ancona ha confermato la condanna pronunciata dal
Tribunale di Pesaro, sezione distaccata di Fano, nei confronti di Santocchi
Alviero, ritenuto responsabile del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica [art.
186, co. 2 lett. c) C.d.s. commesso il 20 giugno 2008], ed al quale è stata inflitta
la pena di mesi due di arresto ed C 1.000 di ammenda. del difensore.
Si rileva che mentre per il primo giudice l'assistente capo Moschella Nicola,
dopo aver fermato un autocarro in una piazzola di sosta per un controllo, si
avvide del Santocchi mentre si dirigeva presso un'autovettura Fiat con una
tanica di carburante in mano e lo invitava a seguire l'auto della polizia sino al
casello autostradale di Fano, dove venne accertato lo stato di ebbrezza alcolica
del medesimo, la Corte di Appello ha ritenuto che l'assistente capo richiese i
documenti all'imputato mentre questi era in macchina e quindi invitò
quest'ultimo a liberare la corsia d'emergenza. Sicché, solo dopo che il Santocchi
era ripartito, a sua volta il Moschella riprese il cammino, seguendolo per circa 4
km. Durante questo percorso venne notata una condotta di guida scorretta da
parte del Santocchi, sicché questi venne fatto fermare e sottoposto al controllo
diretto a verificare la presenza di alcol etilico nell'organismo.
Su tali premesse fattuali, l'esponente articola un primo motivo con il quale
deduce violazione e/o errata applicazione dell'art. 51 cod. pen.
La Corte di Appello avrebbe errato nell'applicazione dell'art. 51 cod. pen.
non avendo ritenuto che l'imputato era incorso in errore di fatto scusabile avente
ad oggetto la legittimità dell'ordine (di mettersi in marcia) impartitogli dagli
agenti di polizia. Il Santocchi aveva agito nella verosimile e ragionevole
convinzione di adempiere ad un ordine dell'autorità legittimo sia sul piano
formale che su quello sostanziale.
Inoltre la Corte di Appello avrebbe errato anche in relazione alla
sindacabilità dell'ordine impartito all'imputato. Tale sindacabilità, si afferma,
deve essere intesa come riferita al profilo formale e non a quello sostanziale
dell'ordine. Ciò significa, aggiunge il ricorrente, che l'illegittimità sostanziale è
sindacabile se palese e manifesta; l'ordine formalmente illegittimo invece è
sempre sindacabile.
Nel caso di specie si è in presenza di un ordine formalmente legittimo e
sostanzialmente illegittimo ma la cui illegittimità non era manifesta al Santocchi.
La Corte di Appello di Ancona avrebbe errato nel ritenere che l'imputato fosse t_ 2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato a mezzo perfettamente a conoscenza delle proprie condizioni di ebbrezza e che queste
non gli consentivano di mettersi alla guida, di modo che obbedire all'ordine
avrebbe significato commettere un reato.
Con un secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione laddove,
avendo adottato la Corte di Appello una ricostruzione dei fatti difforme da quella
fatta propria dal giudice di primo grado, non si esplicano le ragioni di tale diversa
ricostruzione. Altrettale vizio motivazionale viene ravvisato in ordine al giudizio
di inverosimiglianza ed inattendibilità della ricostruzione dei fatti operata contraddittorietà ravvisabile tra la testimonianza del Moschella e quella del teste
Severini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato. 3.1. Il primo motivo di ricorso non considera che la Corte di Appello ha
ritenuto accertato che il Moschella non ebbe alcun modo di accorgersi dello stato
di ebbrezza alcolica del Santocchi. Per il Collegio distrettuale l'operante non
chiese i documenti al Santocchi e lo invitò a liberare la corsia di emergenza per
assicurare il regolare deflusso della circolazione. Solo successivamente, stando al
seguito dell'autovettura condotta dall'imputato, il Moschella si accorse della
anomala andatura di marcia del prevenuto. Siffatta ricostruzione non può essere
riveduta da questa Corte, alla quale è precluso formulare un giudizio di merito in
sovrapposizione a quello formatosi nelle appropriate sedi giudiziarie, ove questo
sia stato esplicato con adeguata motivazione e senza che si sia incorsi in
violazione di legge. Sotto tale profilo è opportuno esplicitare sin d'ora che il
secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, poiché la Corte di
Appello, lungi dall'omettere di motivare in ordine alle ragioni per le quali ha
operato una ricostruzione dell'accaduto parzialmente diversa da quella fatta
propria dal primo giudice, ha chiaramente indicato i contenuti della deposizione
del Moschella sulla scorta dei quali ha operato quella ricostruzione, dando altresì
conto dei motivi che l'hanno indotto a ritenere irrilevante la testimonianza del
Severini e non riscontrata la versione dell'imputato. 3.2. Orbene, stabilito il quadro fattuale di riferimento, va rilevato che pacifica la legittimità formale dell'ordine impartito dal Moschella - non risulta di
agevole risposta il quesito in ordine alla legittimità anche sostanziale dell'atto in
parola. La dottrina maggioritaria pare orientata ad assumere un concetto di
(il)legittimità dell'ordine di marca obbiettiva, che non tiene conto della 3 -R dall'imputato, nonché in relazione alla omessa motivazione sul punto della ncora alla oggettiva
consapevolezza del vizio nell'autore dell'atto e la ancora
insussistenza dei presupposti fattuali dell'ordine.
Aderendo a tale tesi l'ordine impartito dal Moschella risulta sostanzialmente
illegittimo, poiché il Santocchi non era nelle condizioni di idoneità psico-fisica per
mantenersi alla guida di un veicolo circolante.
La Corte di Appello sembra per contro aderire, pur senza esplicitarlo, al
minoritario indirizzo secondo il quale non può ritenersi sostanzialmente
illegittimo l'ordine impartito dal pubblico ufficiale che ritenga erroneamente Collegio distrettuale, che il problema dell'applicazione dell'art. 51 cod. pen. si
sarebbe posto (forse) solo ove il Santocchi avesse fatto presente al Moschella il
proprio stato e in risposta avesse nuovamente ricevuto l'ordine di mettersi in
marcia.
Ritiene questa Corte di dover condividere la posizione maggioritaria, perché
persuasivo il rilievo mosso da autorevole dottrina per la quale, adottando una
nozione restrittiva di illegittimità, mutuata dal diritto amministrativo, si finirebbe
per addivenire all'assurda conclusione di affermare la non punibilità di colui che
ha eseguito l'ordine nella consapevolezza della sua arbitrarietà.
E' per l'appunto l'ipotesi che qui occupa, nella quale il Santocchi era
perfettamente consapevole della propria condizione psico-fisica.
Stante l'illegittimità dell'ordine impartitogli, l'imputato non può invocare la
previsione dell'art. 51, comma 3 cod. pen. in quanto va escluso che egli abbia
potuto ritenere per errore di fatto di obbedire ad un ordine legittimo, dal
momento che la condizione fattuale che rendeva sostanzialmente illegittimo
l'ordine impartitogli gli era nota, e peraltro in via esclusiva. Né può affermarsi,
come fa l'esponente, che l'errore sul fatto avrebbe avuto ad oggetto la
valutazione operata dal Moschella dello stato psico-fisico del Santocchi, sia
perché ciò è stato escluso in fatto dalla Corte di Appello, sia perché anche a tal
riguardo non può riconoscersi alcun errore nel Santocchi, che aveva diretta ed
autonoma conoscenza del proprio stato. Peraltro, anche in dottrina si rinvengono
opinioni per le quali la criminosità dell'ordine nota all'esecutore, ancorché non
manifesta, non esclude la punibilità di quest'ultimo.
Del tutto infondata è infine l'evocazione del tema della insindacabilità
dell'atto (art. 51, comma 4 cod. pen.), posto che non si è in presenza di un atto
insindacabile.
Il ricorso va pertanto rigettato. 4. Segue al rigetto, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali. esistenti le condizioni di fatto necessarie all'emanazione dell'ordine. Afferma, il P P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così decisa in Roma, nella camera di consiglio del 13 giugno 2013.
Il Presidente
Carlo Gius- CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale e ' e Brusco Il Consigliere estensore