Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38129 del 13/06/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 38129 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) DE LUCA MARCO, N. IL 29/10/1952,
avverso la sentenza n. 960/2010 pronunciata dalla Corte di Appello di Lecce del
2/4/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Nicola Lettieri, che ha concluso per il rigetto
del ricorso;
udito il difensore della p.c., avv. Raffaele Lomartire, che ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese in
favore della parte civile;
udito il difensore dell’imputato, avv. Claudio Lolli, il quale ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Lecce ha
confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata
di Mesagne, con la quale De Luca Marco è stato ritenuto responsabile di omicidio
colposo in danno di Mandurino Pietro, commesso il 21 settembre 2004.
Secondo l’accertamento processuale in tale data, nel corso delle operazioni
di lavorazione del mosto il Mandurino, lavoratore stagionale alle dipendenze del
De Luca, legale rappresentante di cooperativa sociale, cadeva all’interno della
vasca contenente il mosto e decedeva a seguito dell’insufficienza respiratoria

Data Udienza: 13/06/2013

acuta determinata da permanenza in ambiente privo di ossigeno e ricco di CO 2 ,
anidride solforosa ad altri gas. Le cause della caduta non venivdrecisamente
individuate, dal momento che questa non aveva avuto testimoni oculari e tenuto
altresì conto del fatto che nel sangue della vittima era stato trovato un tasso
alcolemico compatibile con uno stato di ubriachezza patologica.
La Corte di Appello perveniva alla conferma del giudizio di responsabilità del
De Luca sulla scorta della individuazione di una precisa violazione cautelare
quale antecedente causale del sinistro, ovvero la mancata predisposizione di

mancato controllo in ordine alle condizioni con cui venivano svolte le singole
operazioni di frollatura del mostro.

2. Con il ricorso il De Luca contesta innanzitutto la immutazione del fatto
operato dalla Corte di Appello, la quale avrebbe individuato una condotta nuova
e diversa rispetto a quella descritta nella contestazione, incentrata sulla mancata
consegna di DPI quali scarpe antiscivolo, maschere e cinture di sicurezza.
Si rileva, inoltre, che l’attività alla quale era addetto il Mandurino non
richiedeva l’uso di DPI, da usare solo a cisterne vuote per operazioni di pulizia;
che sul piano di calpestio non esisteva alcun rischio chimico e l’ambiente era
sufficientemente areato.
Si prospetta poi uno stato di ubriachezza volontaria del Mandurino, sulla
base della deposizione del prof. Strada, che ebbe a parlare di assunzione diretta
dell’alcool.
Si rileva, ancora, che i testi hanno riferito come la grata apposta
sull’apertura della vasca dovesse essere spostata solo per la lavorazione e subito
ricollocata alla fine della stessa e si richiama l’elevato grado di esperienza degli
addetti, per concludere che non si può rimproverare al datore di lavoro di non
aver sorvegliato la fase della lavorazione (in ordine alla quale si asserisce non
esservi sufficiente prova che si sia trattata di quella post frollatura), tanto più
alla luce del comportamento tenuto dal Mandurino.
Si censura la fondazione della responsabilità sulla mancata dotazione di
scarpe antiscivolo, posto che non è stato accertato che la caduta nel silos
avvenne per scivolamento; peraltro il lavoratore aveva avuto in dotazione le
scarpe antiscivolo.
Si deduce, infine, che il comportamento anomalo del lavoratore aveva
interrotto il nesso di causalità tra il sinistro e la condotta del datore di lavoro.

3. Con un autonomo motivo di ricorso, si lamenta infine che la Corte di
Appello non ha revocato la condizione apposta alla concessione della sospensione

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barriere atte a prevenire la caduta del lavoratore nel corso della lavorazione e il

condizionale della pena, consistente nel pagamento di provvisionale alle parti
civili, nonostante questa sia stata regolarmente versata e che tutte le parti civili,
ad eccezione di una, siano state tacitate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato.
4.1. Quanto alla asserita violazione del principio di correlazione tra
contestazione e fatto ritenuto in sentenza, è sufficiente ricordare che l’addebito
mosso all’imputato contempla tanto la colpa generica che la colpa specifica.

principio di correlazione con l’accusa la sentenza di condanna per il reato di
omicidio colposo a seguito di infortunio sul lavoro che, a fronte di una
contestazione di colpa generica (nella specie, per omesso controllo dello stato di
efficienza di una macchina per la tutela della sicurezza dei lavoratori), affermi la
responsabilità a titolo di colpa specifica, riconducibile all’addebito di colpa
generica (Sez. 3, n. 19741 del 08/04/2010 – dep. 25/05/2010, Minardi, Rv.
247171); ed ancora, che quando la contestazione concerne globalmente la
condotta addebitata come colposa (e cioè si faccia riferimento alla colpa
generica), la violazione del principio di correlazione non sussiste, essendo
consentito al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di
comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti
processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a
tutela del quale la normativa è dettata (Sez. 4, n. 35666 del 19/06/2007 – dep.
28/09/2007, Lanzellotti, Rv. 237469).
Con il ricorso si contesta che la Corte di Appello avrebbe individuato una
condotta nuova e diversa rispetto a quella descritta nella contestazione,
incentrata sulla mancata consegna al lavoratore di~carpe antiscivolo,
maschere e cinture di sicurezza. Senonchè già la sentenza di primo grado ha
fondato l’affermazione di responsabilità del De Luca sul fatto che egli, quale
datore di lavoro, non si era preoccupato di verificare il rispetto dell’obbligo,
prescritto dal piano di sicurezza, di circoscrivere il luogo ed impedire il passaggio
nelle vicinanze dell’imboccatura (pg. 14). Il Collegio distrettuale rimarca
ulteriormente il nucleo dell’addebito rivolto all’imputato, identificandolo nella
“mancata predisposizione di barriere atte a prevenire la caduta e nel mancato
controllo in ordine alle condizioni in cui venivano svolte le singole operazioni di
frollatura…” (pg. 10). Tanto configura un profilo di colpa certamente diverso da
quello oggetto dell’imputazione e tuttavia non contrastante con la dinamica del
fatto in esso descritta (“… dopo esser scivolato e comunque dopo aver perso
l’equilibrio.., rovinando all’interno del sito contenente mosto…”) ed altresì
certamente rientrante nell’area della colpa generica pure sin da principio

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Com’è noto, la giurisprudenza di questa Corte è nel senso che non viola il

contestata all’imputato. Ma il dato che maggiormente rileva è che la censura
mossa dal ricorrente è del tutto aspecifica, perché non si accenna neppure al
pregiudizio che sarebbe derivato al diritto di difesa dell’imputato dalla descritta
modificazione.
4.2. Il secondo nucleo del ricorso gravita intorno all’incidenza che deve
essere attribuita allo stato di ubriachezza della persona offesa.
Ad avviso dell’esponente tale stato era preesistente alla caduta del
Mandurino nella botola e in nessun modo connesso alle condizioni dell’ambiente

tra la condotta antidoverosa del De Luca ed il sinistro.
Va rilevato che in tal modo il ricorrente propone una ricostruzione
dell’accaduto alternativa a quella fatta propria dalla Corte di Appello;
ricostruzione che si fonda su una rilettura degli elementi di prova, non
accompagnata dalla denuncia di un travisamento della prova operato dal giudice
di seconde cure. Va rammentato, al riguardo, che in virtù della previsione di cui
all’ad. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., novellata dall’ad. 8 della L. n.
46 del 2006, costituisce vizio denunciabile in cassazione la contraddittorietà della
motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri
atti del processo indicati nei motivi di gravame e, pertanto, l’errore cosiddetto
revocatorio che cadendo sul significante e non sul significato della prova si
traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione
di quanto riportato dall’atto istruttorio (cosiddetto travisamento della prova)
(Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011 – dep. 11/05/2011, Carone, Rv. 250168).
La Corte di Appello, è opportuno ricordarlo, ha sul punto fatto proprie le
argomentazioni del primo giudice, che vedono sul fatto che nessun collega di
lavoro della vittima ha riferito di comportamenti anomali di questa nonché
sull’impossibilità di eseguire le pesanti lavorazioni da parte di un lavoratore in
stato di ubriachezza volontaria. Ciò, invero, sfocia in una netta presa di posizione
a sfavore della ipotesi dell’ubriachezza volontaria (cfr. pg . 13), che si
accompagna comunque ad una valutazione dell’alternativa ipotetica, egualmente
conducente al giudizio di responsabilità. Si afferma, infatti, che anche ad
ammettere che il Mandurino si fosse reso ubriaco bevendo delle sostanze
alcoliche, si sarebbe pur sempre in presenza di un comportamento imprudente
del lavoratore, a prevenire e fronteggiare il quale è ancora una volta il datore di
lavoro a doversi far carico, sicchè pur ammettendo il pregresso stato di
ubriachezza e che esso abbia aumentato la possibilità di verificazione della
caduta, non si è comunque eliso il nesso causale tra evento e condotta del De
Luca.

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di lavoro; esso concreta una situazione eccezionale che recide il nesso causale

Orbene, l’assunto della Corte distrettuale è in linea con la giurisprudenza del
giudice di legittimità. Che il lavoratore possa trovarsi in via contingente in
condizioni psico-fisiche tali da non renderlo idoneo a svolgere i compiti
assegnatigli è evenienza prevedibile, che come tale non elide il nesso causale tra
la condotta antidoverosa del datore di lavoro e l’infortunio occorso.
Dal panorama dottrinario e giurisprudenziale non è possibile trarre
indicazioni univoche e persuasive in ordine alle risposte da offrire al quesito se la
valutazione dei rischi debba contemplare anche quelli connessi alle abitudini

per l’alcoldipendenza (che solo in taluni casi è oggetto di sorveglianza sanitaria)
anche per la sola assunzione di sostanze alcoliche.
Ai fini che qui occupano sarebbe un fuor d’opera scendere nell’analisi del
tema; infatti nella presente sede non viene in gioco la violazione datoriale di una
eventuale regola prevenzionistica che impone di eseguire controlli sul lavoratore
onde assicurare che questi non sia presente al lavoro dopo aver assunto alcolici.
Piuttosto, viene in considerazione la prevedibilità ed il carattere non eccezionale
dello stato di alterazione psico-fisica del lavoratore per effetto dell’assunzione di
sostanze alcoliche.
Sotto quest’ultimo profilo è quindi sufficiente rammentare la già evocata tesi
della riconducibilità al novero dei rischi oggetto di valutazione, ai sensi dell’art.
28, comma 1 d.lgs. n. 81/2008, anche di quello connesso all’assunzione di
alcolici da parte del lavoratore; e ciò in ragione della formula legale, volutamente
onnicomprensiva (vale ricordare, al proposito, la modifica dell’art. 4 d.lgs. n.
626/1994 determinata dalla condanna dell’Italia pronunciata dalla Corte di
giustizia delle Comunità europee del 15 novembre 2001, nella causa C-49/00);
dare conto della previsione dell’art. 15 della legge n. 125/2001, che vieta la
somministrazione e l’assunzione sul lavoro di bevande alcoliche e superalcoliche,
sia pure nelle sole attività lavorative che comportano un elevato rischio di
infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi,
individuate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di
concerto con il Ministro della sanità; ricordare che l’art. 41, comma 4 d.lgs. n.
81/2008 prevede la sorveglianza sanitaria diretta all’accertamento di condizioni
di alcoldipendenza (e di tossicodipendenza) e che l’Allegato IV, al punto
1.11.3.2. e 1.11.3.3., prende in esame l’uso di alcolici sul lavoro.
Né va ignorato che l’art. 18 lett. c) d.lgs. n. 81/2008 [come in precedenza
già l’art. 4, co. 5 lett. c) d.lgs. n. 626/1994] dispone che il datore di lavoro ed il
dirigente “nell’affidare i compiti ai lavoratori” deve “tenere conto delle capacità e
delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”. Si tratta
di previsione che guarda in primo luogo alla assegnazione delle mansioni in via

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sociali e/o individuali del lavoratore e, in caso affermativo, se ciò valga oltre che

preventiva e generale, ma alla quale non sfugge anche la quotidiana replica del
conferimento di compiti al lavoratore da parte del datore di lavoro. Diverse le
ipotizzabili modalità di adempimento degli obblighi ma comune l’obiettivo di
assicurare che il lavoratore sia in condizioni che permettano lo svolgimento in
sicurezza dell’attività lavorativa.
Le disposizioni sinora elencate permettono di ribadire che la condizione di
ubriachezza del lavoratore sul luogo di lavoro non è circostanza eccezionale e
quindi non prevedibile dal datore di lavoro, con l’ulteriore effetto della

di ebbrezza alcolica del lavoratore rimasto vittima del sinistro, essendo
indiscutibile – nel caso che occupa – che la mancata chiusura della botola con la
griglia in dotazione è essa stessa connessa allo svolgimento delle mansioni
affidate al Mandurino, come correttamente rimarcato dalla Corte di Appello (non
sembra inutile precisare che, prima di poter concludere che la natura concausale
di tale condizione soggettiva rispetto all’infortunio è necessario accertare che
essa si sia posta, hic et nunc, in correlazione con l’evento prodottosi, non
essendo sufficiente ipotizzarlo in via congetturale (cfr. Cass. sez. 4, sent. n.
29172 del 20.7.2007, Ciccarese e P.c., non massimata).
4.3. Ribadita la centralità che nel giudizio espresso dalla Corte di Appello
assume la mancata predisposizione di barriere protettive della botola che
proteggessero il lavoratore dalla caduta all’interno della vasca, del tutto
ininfluenti sono gli ulteriori rilievi del ricorrente < che investono il tema della sussistenza dell'obbligo di dotazione dei P • e qu llo della incidenza della violazione di tale prescrizione; mentre rimane valutazione del solo ricorrente quella per la quale il luogo di lavoro sarebbe stato del tutto sicuro se l'operatore avesse reinserito la grata di protezione della botola non appena terminate le operazioni di frollatura: la Corte di Appello ha evidenziato la necessità di apporre le barriere protettive (previste anche nel piano di sicurezza redatto dal coimputato Budano) anche in relazione alla negligenza del lavoratore al riguardo del ripristino delle grate; negligenza che non rappresenta comportamento abnorme recidente il nesso causale tra condotta colposa datoriale e sinistro. Per contro, manifestamente infondata è la censura che concerne l'identificazione del legale rappresentante della società quale titolare degli obblighi prevenzionistici nella specie violati, accompagnata dalla indicazione del debitore di sicurezza nel responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Com'è noto, questi non è titolare di autonome obbligazioni prevenzionistiche a vantaggio dei lavoratori ma può essere chiamato a rispondere ove, nell'espletamento dei compiti che la legislazione gli assegna, incorra in colpa 6 riconducibilità al medesimo dell'infortunio occorso, pur in presenza di uno stato (cfr., tra le più recenti, Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012 - dep. 21/12/2012, Lovison e altri, Rv. 254094). 4.4. Infondato è altresì il motivo di ricorso concernente la mancata revoca della condizione apposta alla concessione della sospensione condizionale della pena. La revoca della menzionata condizione avrebbe dovuto trovar luogo ove la Corte di Appello avesse ritenuto che essa fosse stata erroneamente apposta dal primo giudice. Ciò non è ritenuto neppure dal ricorrente, che argomenta la integrale) della condizione, con la corresponsione alle parti civili (meno una) della somma stabilita a titolo di provvisionale. Ma siffatta circostanza va apprezzata in sede di esecuzione della sentenza, non rappresentando manifestazione dell'illegittimità della statuizione ma avveramento della condizione apposta all'effetto sospensivo della esecuzione della pena. 5. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese del giudizio in favore della parte civile, spese che si liquidano in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in~,00, oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13/6/2013. propria censura sulla circostanza dell'avvenuto adempimento (peraltro non

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