Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38115 del 05/07/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 38115 Anno 2013
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

Data Udienza: 05/07/2013

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

LA ROSA FRANCESCO n. 18/1/1974
avverso l’ordinanza n. 28/2013 del 24/1/2013 del TRIBUNALE DEL RIESAME
DI CATANZARO
visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GIUSEPPE VOLPE che ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso .
Uditi i difensori avv. PAOLA STILO e ANTONIO RUSSOMANDO che hanno
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ordinanza del 24 gennaio 2013/26 marzo 2013 il Tribunale del Riesame
di Catanzaro confermava la misura della custodia in carcere applicata nei
confronti di La Rosa Francesco n. 1974 dal gip dello stesso Tribunale il 18
dicembre 2012 per il reato di associazione mafiosa, annullando la misura per le
contestazioni di tentata estorsione ed armi.
Innanzitutto il Tribunale confermava la esistenza, sulla scorta di sentenze
definitive, di una associazione criminale di tipo mafioso della famiglia Mancuso e
di un’altra associazione ad essa subordinata, quella dei La Rosa. Confermava poi,
sulla scorta delle indagini svolte e sintetizzate nel provvedimento impugnato, la
prosecuzione delle attività criminale da parte dei La Rosa, sia con inserimento

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illecito nel settore dei lavori pubblici che con effettuazione di numerose
estorsioni, risultanti con certezza dalle intercettazioni effettuate pur se non vi era
sempre la specifica individuazione delle persone offese nei singoli casi. In questo
contesto, il La Rosa Francesco risultava operare da soggetto intraneo:
– il complesso delle intercettazioni dimostrava il suo ruolo nelle due fazioni
dello stesso gruppo criminale;
– dimostrava la chiara conoscenza dei rapporti con gli altri gruppi criminali
e delle periodiche riunioni dei loro vertici;

acquisire lavori pubblici e privati con modalità mafiose;
– si adoperava per la assegnazione di quote dei profitti del gruppo criminale
per il mantenimento della famiglia di La Rosa Tonino, condannato quale
promotore della associazione La Rosa, ancorché non facesse parte del suo nucleo
familiare.
Quanto ai reati fine contestati, in un caso si accertava che La Rosa, per
conto del padre, aveva trattato con un trafficante d’armi l’acquisto di una pistola
ma non vi era prova che avesse lui concluso l’operazione mentre, quanto alla
tentata estorsione contestata, osservava il Tribunale che, pur avendo il La Rosa
invitato l’imprenditore ad affidargli i lavori di movimento terra, a fronte del
mancato accoglimento della richiesta non aveva usato minaccia né, in assenza di
altre prove, poteva ritenersi responsabile del successivo attentato ai danni di
quell’imprenditore.
La Rosa Francesco ha proposto ricorso avverso tale ordinanza con atto a
firma del proprio difensore.
Con primo motivo deduce il vizio di motivazione in quanto “si è giunti
attraverso un’opera di parcellizzazione e frazionamento delle condotte dello
stesso non prendendo atto, con motivazione illogica e abnorme, dell ‘inesistenza
di un idoneo compendio probatorio. Di qui l’ illogicità motivazionale del
provvedimento impugnato in quanto la prova logica derivante dalla valutazione
unitaria delle fonti di prova non poteva condurre ad un giudizio di colpevolezza
poiché l’ amicizia, l’ affidabilità e la fiducia non rivelano alcunché di fattuale in
termini di affiliazione all ‘organizzazione”.
Con secondo motivo deduce la violazione di legge di vizio di motivazione
nella valutazione degli elementi costitutivi del reato di associazione mafiosa
rilevando come non sia stata adeguatamente motivata la ragione per la quale è
stato individuato il ricorrente nelle conversazioni intercettate; quali siano gli
elementi che dimostrano il suo stabile inserimento nella banda mafiosa; non si è
tenuto conto che i precedenti processi a carico dello stesso gruppo criminale non

– era titolare di una impresa edile utilizzata dalla banda criminale per

hanno riguardato il ricorrente; il ricorrente non ha commesso alcun reato fine nè
ha svolto lavori nell’ambito di appalti pubblici.
Il ricorso è inammissibile.
Gli argomenti svolti in entrambi i motivi, difatti, sono estremamente
generici, con minimi riferimenti al provvedimento impugnato, rispetto al quale la
parte si duole genericamente della carenza di indizi a supporto, mancando
qualsiasi effettivo confronto con la motivazione dell’ordinanza che non è
certamente mancante. Anche gli apparenti riferimenti concreti alla vicenda di cui

carenza di argomentazioni – del Tribunale ma, invece, risultano mirate ad
ottenere una rivalutazione in merito del materiale indiziario, attività preclusa nel
giudizio di legittimità.
Valutate le ragioni della inammissibilità, risulta adeguata la sanzione
pecuniaria nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
c.4/7-£T
Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 941isp. att.
Cod. proc. pen.
Roma così deciso nella camera di consiglio del 5 luglio
il Cons” fiere estensore

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al secondo motivo in realtà non rispondono alle specifiche argomentazioni – o

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