Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3809 del 09/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3809 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: IZZO FAUSTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COLECCHIA RAEL CESARE N. IL 09/09/1975
avverso la sentenza n. 3974/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 30/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FAUSTO IZZO;

Data Udienza: 09/10/2013

OSSERVA

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo :
2.1. il vizio di motivazione in relazione alla condanna, basata su elementi di prova
!abili e non riscontrati;
2.2. la erronea applicazione della legge penale ed il difetto di motivazione in ordine
alla ritenuta sussistenza delle aggravanti e della recidiva specifica reiterata.
Con memoria depositata il 30\9\2013 il difensore dell’imputato ribadiva le censure alla
sentenza.
3. Il ricorso è inammissibile; invero le censure formulate sono in parte non consentite
nel giudizio di legittimità e, per altra parte, manifestamente infondate ai sensi dell’art.
606, co. 3 0 , c.p.p., nonché fondate su argomentazioni già vagliate e risolte
negativamente dal giudice del merito.
3.1. Quanto alla affermazione della responsabilità, il giudice di merito ha basato il suo
convincimento sull’esito delle individuazioni fotografiche effettuate, dopo averle
valutate attendibili, in quanto la foto ritraente il Colecchia era stata scelta tra tante,
senza alcun dubbio di individuazione.
Le censure mosse dalla difesa alla sentenza, esprimono solo un dissenso rispetto alla
ricostruzione del fatto (operata in modo conforme dal giudice di primo e secondo grado)
ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di
legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al
sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili
di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.
Invero, premesso che il giudice di legittimità non deve ripetere l’esperienza cognitiva
del giudice di merito, ma valutare la coerenza del ragionamento probatorio di
quest’ultimo, va osservato che nel caso di specie, come detto, la sentenza che
conferma l’affermazione di responsabilità dell’imputato non palesa alcuna illogicità
manifesta.
3.2. Quanto alla aggravante dell’utilizzo del mezzo fraudolento, questa Corte di
legittimità ha avuto modo di statuire che “In tema di furto aggravato, per “mezzo
fraudolento” deve intendersi qualunque azione insidiosa, improntata ad astuzia o
scaltrezza, atta a soverchiare o sorprendere la contraria volontà del detentore della
cosa, eludendo gli accorgimenti predisposti dal soggetto passivo a difesa della stessa,
come avviene nel caso di introduzione nel luogo del furto per via diversa da quella
ordinaria” (Cass. IV, 26432\07, Elkhinni). Sulla base di tale principio, deve ritenersi che
la condotta dell’imputato che si è recato negli esercizi commerciali con la scusa di
chiedere informazioni e farsi indicare il bagno, così da distrarre i titolari dei portafogli,
integri il mezzo fraudolento e, con riferimento al primo furto, anche la destrezza, in
quanto l’asportazione era avvenuta con immediatezza, nell’attimo in cui la titolare
dell’esercizio gli stava indicando la allocazione del bagno, senza seguirla ma
allontanandosi con la refurtiva.
Correttamente, inoltre, il giudice di merito ha fatto applicazione della recidiva specifica
reiterata, in quanto la pluralità di precedenti penali contro il patrimonio, palesa come il
nuovo fatto, commesso mentre le vittime si apprestavano a compiere un gesto di
solidarietà (mettergli a disposizione il bagno), è espressione di una più accentuata
pericolosità dell’imputato.
Per quanto detto, i motivi di censura sono manifestamente infondati.

1

1. Con la sentenza indicata in epigrafe è stata confermata la condanna di Colecchia
Rael Cesare per due episodi di furto aggravato di portafogli in esercizi commerciali
(acc. in Pescara il 23\3\2007 e il 5\10\2007). La pena irrogata è stata di anni 3 mesi 8
di reclusione ed C 1.200 di multa, con la diminuente del rito abbreviato.

4. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende,
non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 1000,00 (mille/00) a titolo di
sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di euro 1000,00 in favore della
Cassa delle ammende

Il Consigli re estensore

Così deciso in Roma 9 ottobre 2013

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