Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38075 del 11/07/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38075 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Baronchelli Sergio, n. a Milano il 31/07/1972;

avverso la ordinanza della Corte di cassazione in data 07/02/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;

RITENUTO IN FATTO

1. Baronchelli Sergio ha proposto ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. nei
confronti della sentenza della Sezione Settima di questa Corte in data
07/02/2012 con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei
confronti della sentenza della Corte d’Appello Di Milano del 10/06/2011, che ha
confermato la sentenza di condanna alla pena di anni uno e mesi due di
reclusione ed euro 500,00 di multa per il reato di cui agli artt. 646 e 61 n.7 e 11
c.p.

Data Udienza: 11/07/2013

Deduce che dinanzi alla Corte egli aveva lamentato, con un secondo motivo di
ricorso, il vizio di motivazione e la violazione di legge circa il mancato
riconoscimento, da parte della Corte territoriale stessa, della continuazione tra il
reato di appropriazione indebita per cui vi era stata condanna ed altro reato di
cui ad altro provvedimento sempre del Tribunale di Milano. Ciononostante, la
sentenza impugnata ha unicamente considerato il primo motivo di ricorso, volto

accenno al secondo motivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Va anzitutto ricordato che, in tema di ricorso straordinario, l’omesso esame di
un motivo di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a
norma dell’art. 625 bis c. p. p., allorché, pur in mancanza di espressa disamina,
il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perché
incompatibile con la struttura e con l’impianto della motivazione, mentre è
riconducibile all’errore di fatto qualora vi sia stata una svista circa l’esistenza
stessa della censura che invece era immediatamente percettibile e rilevabile, e a
condizione che questa omissione abbia avuto effetto decisivo sull’esito del
processo, nel senso che la decisione sarebbe stata diversa ove il motivo di
censura dedotto fosse stato vagliato (tra le altre, dopo Sez. Un. 16103 del
27/03/2002, De Lorenzo, Rv. 221283, Sez. 4, n. 15137 del 08/03/2006,
Petrucci, Rv. 233963).
Nella specie, a fronte del motivo di ricorso con cui Baronchelli, impugnando la
sentenza della Corte d’Appello di Milano del 10/06/2011, lamentava il vizio di
motivazione e la violazione di legge in relazione alla mancata concessione della
continuazione con il reato di cui alla sentenza del 03/05/2010, la sentenza della
Sezione Quarta qui impugnata ha effettivamente omesso di esaminare lo stesso,
neppure menzionato, del resto, in premessa, quanto alla sua presentazione; né
la valutazione dello stesso potrebbe trarsi implicitamente dalla complessiva
motivazione, avendo questa avuto chiaramente ad oggetto unicamente il primo
motivo (incentrato su una omessa motivazione circa una censura rivolta alla
sentenza di primo grado in tema di valutazioni probatorie), del tutto differente
ed autonomo rispetto al secondo (incentrato, invece, come appena detto, sulla
motivazione della Corte territoriale posta a fondamento del mancato
riconoscimento dell’istituto della continuazione).

2

a censurare il mancato esame di elementi documentali, senza operare alcun

3. Il ricorso, tuttavia, proprio in ragione del principio richiamato in esordio, è
inammissibile.
Infatti, con l’atto di appello del 14/11/2010 presentato dal Difensore
dell’imputato, l’appellante si era limitato a chiedere l’assoluzione da tutti i fatti
ascrittigli e, in subordine, a richiedere la irrogazione del minimo della pena,
unitamente alle circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante e ai

motivo di doglianza era invece stato sollevato con riguardo all’omesso
riconoscimento del vincolo della continuazione con il reato di cui alla sentenza
del Tribunale di Milano del 03/05/2010; risulta, infatti, che la richiesta di
continuazione in oggetto venne proposta

in limine

all’udienza di appello

contestualmente alla produzione della sentenza in questione.
Ne consegue che, non essendo stata mai sollevata ritualmente in sede di appello,
la censura, proposta per la prima volta in sede di legittimità, doveva ritenersi
inammissibile ex art. 606, comma 3, c.p.p.; né la intervenuta trattazione della
doglianza da parte della Corte d’appello poteva evidentemente avere sanato ex
post la mancanza del relativo motivo d’appello quale motivo di inammissibilità
originaria del ricorso (cfr., Sez. 3, n.21920 del 16/05/2012, Hajmohamed, Rv.
252773). In simili casi, infatti, come già argomentato da questa Corte,
diversamente opinando, diverrebbe estremamente difficile se non impossibile,
per la Corte di Cassazione, mancando un motivo di appello sul punto e, dunque,
una doglianza ritualmente sollevata, procedere a verificare anzitutto i termini
esatti della doglianza stessa e, conseguentemente, la congruenza della relativa
risposta della Corte territoriale.
Se dunque il motivo di ricorso doveva ritenersi inammissibile per le ragioni
appena esposte, deve ritenersi che, quand’anche lo stesso fosse stato
considerato dalla Corte, ciò non avrebbe comunque comportato una diversa
decisione rispetto a quella di inammissibilità già pronunciata; di qui, in forza
appunto del principio richiamato in premessa secondo cui l’omesso esame di un
motivo di ricorso per cassazione non può dare luogo ad errore di fatto rilevante a
norma dell’art. 625 bis c. p. p. allorché l’omissione non abbia avuto carattere
decisivo in quanto la pronunzia non poteva comunque essere diversa da quella
adottata (da ultimo, oltre alle pronunce già richiamate sopra, Sez. 1, n. 15422
del 10/02/2010, Cillari, Rv.247236), l’inammissibilità del presente ricorso ex art.
625 bis c.p.p.
All’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al pagamento della somma di denaro di euro 1.000 in favore
della cassa delle ammende.
3

benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione; nessun

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle

Così deciso in Roma, 1’11 luglio 2013

residente

ammende

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