Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38073 del 11/06/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 38073 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SUVAC RADION nato a CHISINAU( MOLDAVIA) il 17/08/1988

avverso la sentenza del 19/05/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANTALUCIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ELISABETTA
CENICCOLA
che ha concluso chiedendo

Il P.G. conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso con ogni conseguenza di
statuizione.
udito il difensore
L’avvocato STEFANO ALESSANDRA del foro di PAVIA in difesa di MADAMA ELENA
MARIA anche in qualità di sostituto processuale dell’avvocato CASARINI MAURO del
foro di PAVIA giusta nomina depositata all’odierna udienza in difesa di AG. TUTELA
SALUTE si riporta come da conclusioni scritte che deposita all’odierna udienza
unitamente alle note spese.
L’avvocato LEANZA MARCO ENRICO del foro di MILANO in difesa di SUVAC RADION
conclude insistendo nell’accoglimento del ricorso.
L’avvocato ARICO GIOVANNI del foro di ROMA in difesa di SUVAC RADION conclude

Data Udienza: 11/06/2018

chiedendo l’accoglimento del ricorso.

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Ritenuto in fatto
La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Pavia ha
condannato alla pena di anni quindici di reclusione Radion Suvac, per avere, in concorso con
Jorel Eugen Vasco rapinato un navigatore satellitare installato su un’autovettura, in proprietà di
Lorenza Brazzo, tentando di uccidere Elena Maria Madama che cercava di arrestarne la fuga
immediatamente dopo la rapina e che veniva investita con l’autovettura a bordo della quale i
due si stavano allontanando, e trascinata a folle velocità per oltre cinquecento metri e infine

utilizzata per la fuga e un elevato numero di navigatori satellitari che sono stati rinvenuti a bordo
dell’autovettura di cui si è detto che infine fu abbandonata perché i due preferirono darsi alla
fuga a piedi, fatti tutti commessi o accertati in Pavia il 12 novembre 2014; oltre che per la rapina
di altro navigatore satellitare, installato sull’autovettura di proprietà di Stefano Sirtori e Iulia
Savin, commesso in Mediglia il 28 ottobre 2014, usando violenza nei confronti di Iulia Savin, che
aveva cercato di impedirne la fuga, tentando di investirla con l’autovettura, la stessa autovettura
utilizzata per i fatti criminosi di Pavia.
La Corte di appello ha anzitutto ripercorso la ricostruzione dei fatti di Pavia, sì come
operata nella sentenza di primo grado sulla base delle immagini estratte dalle videocamere
comunali di sorveglianza poste lungo la strada ove l’imputato e il suo complice cercarono la fuga
dopo la rapina e investirono Elena Maria Madama, delle tracce ematiche rinvenute sotto la
vettura, dell’esame dei capi di abbigliamento della vittima e delle dichiarazioni dei testimoni
oculari, dati tutti oggetto di una complessiva e coerente lettura ad opera del consulente del
pubblico ministero che ricostruì graficamente in 3D la scena del crimine, e sulla base infine della
denuncia presentata da Lorenza Brazzo per la sottrazione dalla sua autovettura del navigatore
satellitare poi rinvenuto nell’autovettura in uso all’imputato e al suo complice.
L’individuazione dei due soggetti che erano a bordo dell’autovettura avvenne pochi giorni
dopo il fatto; uno, ossia Jorel Eugen Vascu, fu identificato grazie alle impronte digitali lasciate
nell’autovettura, comparate con quelle rilevate al momento di una fotosegnalazione fatta a
Milano.
Grazie all’analisi del traffico telefonico della cella di zona si appurò che i due durante la
fuga contattarono un soggetto, individuato in Ion Botnarenco, cittadino moldavo clandestino,
sottoposto all’obbligo di firma prima di essere raggiunto da un provvedimento di espulsione. Fu
disposto allora un servizio di intercettazione a carico di Ion Botnarenco, con microfoni collocati
nell’autovettura di cui faceva uso, e furono captate anche conversazioni in cui si parlava dei fatti
di Pavia, durante le quali proprio Radion Suvac, che lo accompagnava presso l’Ufficio
Immigrazione di Milano ove Botnarenco si recava perché soggetto all’obbligo di firma, disse del
suo timore di essere individuato come uno dei responsabili.
Nel corso delle indagini sui molti navigatori satellitari oggetto di furto, e rinvenuti
nell’autovettura abbandonata dai fuggitivi dopo i fatti di Pavia, si è ricostruito quanto avvenne
qualche settimana prima in Mediglia, Comune sito a poca distanza da Milano, ove una persona
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schiacciata dalle ruote durante una manovra di retromarcia; per aver ricettato l’autovettura

alta più di 180 centimetri fu vista da Iulia Savin armeggiare nei pressi della sua autovettura;
accortasi dell’asportazione del navigatore satellitare Iulia Savin si pose all’inseguimento del ladro
che si era allontanato, con un complice, a bordo di un’autovettura Opel Insignia. Una volta che
questi si fermò nei pressi di un distributore di benzina Iulia Savin scese dall’autovettura e cercò
di affrontarlo per recuperare la refurtiva, ma questi tentò di investirla, facendo manovra in
retromarcia, la colpì anche se lievemente e riuscì a fuggire.
Iulia Savin, che ebbe modo di guardare bene la persona che le aveva sottratto il

Suvac, con riconoscimento reiterato in sede di incidente probatorio.
Tracce del d.n.a. di Suvac furono poi rinvenute su un cappellino da baseball riposto nel
portabagagli dell’autovettura Opel Insignia abbandonata subito dopo i fatti di Pavia, omologhi
per modalità di commissione con quanto avvenuto a Mediglia ai danni di Iulia Savin.
Peraltro, anche immediatamente dopo la rapina consumata in Mediglia Ion Botnarenco fu
contattato telefonicamente da uno dei fuggitivi.
Ion Botnarenco fu dunque individuato dagli investigatori come il referente di una banda
di cittadini moldavi, dediti ai furti di apparecchi satellitari.
Anche per i fatti di Pavia si procedette ad individuazione fotografica e l’imputato Radion
Suvac fu riconosciuto con assoluta certezza da uno dei testimoni oculari, Valerio Ravetta, come
il soggetto che era alla guida dell’autovettura.
All’esito di queste indagini Radion Suvac fu fermato, quindi sottoposto a misura cautelare;
mesi dopo, nel corso di un interrogatorio, disse di conoscere gli autori dei fatti, indicandoli in
Jorel Vascu, a lui noto come Vasile Chitoroaga, indicato come l’autista dell’autovettura, e Ion o
Ioan Rusi, quest’ultimo soggetto mai emerso nel corso delle indagini.
Furono poi compiuti accertamenti tecnici sui luoghi e in relazione alle immagini fornite
dalle telecamere di videosorveglianza del centro estetico “Blue Caribe” avanti al quale, secondo
l’ipotesi d’accusa, transitò nella fuga Radion Suvac. Si stabilì così, con un consistente margine di
errore stimato in almeno tre centimetri o in eccesso o in difetto, che la persona ripresa mentre
correva era di altezza di circa 172 centimetri.
Nel corso dell’incidente probatorio, confermato poi in dibattimento, oltre a Valerio
Ravetta, anche Massimiliano Villa, altro testimone oculare, riconobbe Radion Suvac come uno
dei due soggetti a bordo dell’autovettura in fuga nei fatti di Pavia.
La Corte territoriale ha quindi preso in esame i motivi d’appello ed ha osservato che con
essi sono state riproposte questioni già sottoposte alle valutazioni del primo giudice e da
quest’ultimo disattese con motivazione congrua e coerente con le risultanze processuali.
Preliminarmente ha rilevato che nelle pur numerose doglianze non v’è critica alla prospettazione
fondamentale della sentenza di primo grado, relativa alla sinergia degli elementi di prova con
riferimento al tentato omicidio di Pavia e la rapina impropria di Mediglia, che, distanti nel tempo
qualche settimana, hanno caratteristiche simili per modalità di condotta e identità di autovettura
utilizzata.
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navigatore satellitare, ne dette una compiuta descrizione e quindi la riconobbe su foto in Radion

La Corte di appello ha poi negato il carattere di prova decisiva alla testimonianza di
Botnarenco, la cui ordinanza ammissiva, emessa su richiesta della difesa, fu revocata per le
difficoltà di ottenere la presenza del testimone, già espulso con provvedimento prefettizio e poi
fermato dalla Polizia di frontiera all’aeroporto di Milano Malpensa. A tal proposito la Corte di
appello ha osservato che il potere di revoca di un’ordinanza di ammissione della prova richiesta
dalle parti è, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitabile all’inizio del dibattimento
e che dunque il Tribunale ha bene operato ritenendo la superfluità della prova.

dare luogo all’accertamento di sovrapposizione parametrizzata, per l’indagine antropometrica di
comparazione tra l’immagine dell’individuo ripreso delle telecamere poste vicino al locale “Blue
Caribe” e l’imputato. Gli operanti hanno già valutato di scarsa qualità le immagini di cui si
dispone, che è d’ostacolo allo svolgimento del dedotto accertamento.
La Corte di appello ha valutato come meramente esplorativa la richiesta di acquisizione
di una prova, per nulla decisiva, consistente nell’acquisizione di tutti i tabulati di tutte le schede
installate sul dispositivo cellulare poi sequestrato a Suvac in occasione del fermo.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di Radion Suvac, che ha articolato
più motivi.
Con il primo ha dedotto vizio di motivazione. La sentenza impugnata è affetta da un vizio
di fondo. Nel valorizzare la sinergia delle prove della rapina avvenuta in Mediglia il 8 ottobre
2014 ai danni di Iulia Savin e il tentato omicidio di Elena Maria Madama avvenuto in Pavia il 12
novembre 2014, ha finito col condurre lo scrutinio di impugnazione essenzialmente in riferimento
all’episodio di rapina e ha fatto discendere con automatismo decisorio la responsabilità in ordine
al tentato omicidio e in generale alle altre imputazioni.
Ha quindi accettato acriticamente le argomentazioni del giudice di primo grado circa la
credibilità dei testimoni (Ravetta e Villa) che hanno riconosciuto l’imputato quale conducente
dell’autovettura nell’episodio del tentato omicidio, eludendo le varie questioni poste con l’atto di
appello, che ha devoluto la cognizione di tutti i capi della sentenza in riferimento al punto
nevralgico del non aver l’imputato commesso i fatti.
Rispetto a questo punto, l’identità dell’autovettura e l’analogia della commissione dei fatti
del tentato omicidio e della rapina di Mediglia, in uno con il rinvenimento del navigatore
satellitare sottratto alla Savin nel veicolo successivamente sequestrato a Pavia, sono dati privi
di idoneità dimostrativa delle accuse, non consentendo in alcun modo di chiarire se alla guida
dell’autovettura vi fosse l’imputato o altro soggetto, che la difesa ha indicato in Ion Rusu.
Lo stesso è a dirsi in ordine al rinvenimento di un cappellino all’interno del baule
dell’autovettura sequestrato il giorno del tentato omicidio, e sul quale è stato rinvenuto il profilo
genetico dell’imputato. Ben diverso valore avrebbe avuto il rinvenimento del profilo genetico
all’interno dell’abitacolo dell’autovettura ovvero sui navigatori satellitari di origine delittuosa ivi
contenuti.
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Le stesse considerazioni ha svolto per giustificare il diniego di rinnovazione istruttoria per

Fatta eccezione per i riconoscimenti di persona, peraltro inattendibili, nessun altro
elemento di giudizio appare utilizzabile per l’affermazione di responsabilità. Non risulta in alcun
modo falsificata la contro-ipotesi difensiva, secondo cui l’imputato non era a bordo del veicolo
coinvolto nel tentativo di omicidio.
I giudici di appello non hanno preso in considerazione le prove che militano a favore
dell’estraneità dell’imputato ai fatti, costituiti in particolare: dai riconoscimenti ad esito negativo
di Suvac da parte di due testimoni oculari (signori Aglio e Scoglio); dagli accertamenti del

nel tentato omicidio il profilo genetico di due persone (ignoto 1 e ignoto 2), ma non quello
dell’imputato; dall’assenza di impronte digitali dell’imputato entro l’autovettura e gli oggetti ivi
contenuti; dall’incompatibilità dell’accertamento antropometrico eseguito dalla polizia scientifica
sulla persona ritratta nei filmati delle telecamere di videosorveglianza del locale “Blue Caribe”,
che attesta un’altezza della persona ripresa assolutamente incompatibile con le caratteristiche
dell’imputato; dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche, dalle quali la Corte territoriale ha
preso in esame soltanto un dialogo e non quelli, numerosi e univoci, segnalati con l’atto di
appello; dalle convergenti testimonianze di Muresan e Gradinar, che hanno reso dichiarazioni
pienamente confermative della tesi difensiva, riferendo che Suvac non era presente nei fatti di
Pavia. La Corte territoriale ha poi omesso di motivare su alcuni dati univocamente favorevoli
all’imputato, quali il fatto che non lasciò il territorio italiano anche dopo che fu interrogato sui
fatti di Pavia, a differenza dei reali autori dell’episodio (Chitoroaga Vasile alias Jorel Eugen Asco
e Rusu In).
Con il secondo motivo ha dedotto il vizio di omessa assunzione di controprove decisive.
La Corte territoriale ha illegittimamente revocato l’ordinanza con cui aveva ammesso, su
richiesta della difesa, la testimonianza di Ion Botnarenco, decisiva ai fini dell’individuazione dei
responsabili del tentato omicidio, oltre che della rapina commessa in Mediglia. Botnarenco fu
infatti la persona contattata da uno degli autori dei due episodi criminosi immediatamente dopo
la loro commissione, come è emerso dalle indagini condotte sui tabulati telefonici e le celle di
aggancio dei telefoni cellulari. Dopo l’ordinanza ammissiva della prova e due tentativi di citazione
del testimone preceduti da ricerche a cura della difesa circa l’effettivo luogo di residenza
Botnarenco, il Tribunale dispose l’accompagnamento coattivo di questi ma questo non fu
eseguito dalla Polizia di Sato di Malpensa, al cui aeroporto era approdato Botnarenco all’evidenza
perché la citazione della difesa era andata a buon fine, in forza dell’ordine di espulsione emesso
dal Prefetto. Ha dunque errato il Tribunale nel revocare l’ordinanza ammissiva, affermando che
vi era stata una irrituale citazione ad opera della difesa e che l’escussione non era assolutamente
indispensabile ex articolo 507 c.p.p. Il richiamo a questa norma è un chiaro fuor d’opera, dal
momento che la prova testimoniale era stata ammessa ex articolo 495 c.p.p. su richiesta
difensiva nel pieno esercizio del diritto alla prova. L’ordinanza di revoca è altresì illegittima nella
parte in cui ha motivato evocando la natura di teste assistito e non di teste ordinario di

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consulente tecnico che ha rivenuto su vari oggetti presenti all’interno dell’autovettura coinvolta

Botnarenco. La Corte territoriale ha disatteso le censure negando la natura di prova decisiva alla
testimonianza ed è così incorsa in errore censurabile.
Il medesimo vizio si risconta nella decisione con cui non è stata ammessa in primo grado
la perizia, richiesta dalla difesa, per un accertamento di cd. sovrapposizione parametrizzata alla
luce dei filmati tratti dal sistema di videosorveglianza dell’esercizio commerciale Blue Caribe di
dibattimento era pressoché concluso, e questo preclude di fatto lo svolgimento di una consulenza
tecnica di parte. La tecnica della sovrapposizione parametrizzata avrebbe consentito di verificare

quanto attiene al dato dell’altezza.
Del pari illegittima è stata la decisione dei Tribunale, confermata in sede di appello, di
rigetto della richiesta difensiva di acquisizione dei tabulati relativi a tutte le schede telefoniche
installate sul telefono cellulare poi sequestrato all’imputato, che avrebbe consentito di accertare
che Suvac non era sui luoghi ove avvennero tutti i fatti a lui contestati.
Con il terzo motivo ha dedotto difetto di motivazione. I giudici di merito hanno omesso di
valutare l’attendibilità delle ricognizioni di persona effettuate dai soggetti che hanno riconosciuto
Suvac come uno degli autori dei fatti (Villa, Ravetta, Savin) e la loro credibilità soggettiva, e in
conseguenza di ciò hanno ignorato la rilevanza dei riconoscimenti con esito negativo ad opera
dei testimoni Aglio e Scoglio.
Con il quarto motivo ha dedotto difetto di motivazione relativamente alla valutazione di
alcune conversazioni ambientali, a proposito delle quali si è ritenuto, con mere argomentazioni
congetturali, che Suvac esprimesse il timore di essere sottoposto ad indagini per i fatti di Pavia,
quando invece manifestava ai suoi interlocutori solo il timore di essere espulso dall’Italia, in
quanto clandestino.
Con il quinto motivo ha dedotto difetto di motivazione per la mancanza della
rielaborazione critica complessiva di tutte le prove raccolte, con svilimento delle ricognizioni ad
esito negativo e delle deposizioni testimoniali di Gradinar e Muresan, cha hanno riferito di aver
appreso da Botnarenco che autori dei fatti di Pavia sono due soggetti originari di Kalarasi, in
particolare Ion Rusu e Vasile Chitoroaga. Del pari non sono state valorizzate alcune conversazioni
oggetto di intercettazione da cui emerge inequivocamente che Botnarenco e altri soggetti intorno
a lui gravitanti esclusero ogni responsabilità di Suvac per i fatti ora in imputazione. Sono stati
poi trascurati ulteriori dati particolarmente significativi, quali l’assenza di impronte digitali o
tracce biologiche di Suvac all’interno dell’autovettura in sequestro e anche sui guanti ivi
rinvenuti, i risultati della relazione antropometrica che indicano la presenza di un soggetto alto
circa 170 cm, che certo non può essere individuato in Suvac, che è molto più alto, e le
dichiarazioni di Suvac stesso che ha riferito della responsabilità di altri due soggetti, gli stessi
indicati dai testimoni Muresan e Gradinar.
Con il sesto motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione per
erronea qualificazione delle lesioni in danno di Elena Maria Madama in termini di tentato omicidio,
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l’attendibilità dell’accertamento antropometrico eseguito dalla Polizia scientifica, in specie per

dal momento che le risultanze probatorie non sono indicative dell’esistenza di atti idonei e univoci
a cagionare la morte della persona offesa e comunque del dolo di omicidio in capo all’agente.
Con il settimo motivo ha dedotto difetto di motivazione per il mancato riconoscimento
delle attenuanti generiche per omessa considerazione della dinamica e delle eccezionali modalità
con cui si è svolto il fatto imputato come tentato omicidio, con lo scivolamento della persona
offesa sotto il pianale dell’autovettura per il fatto accidentale dell’aggancio della tracolla della
borsa al braccio con la ruota sinistra.

sollecitato la dichiarazione di inammissibilità o, in alternativa, il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
Va preliminarmente ricordato che, in caso di cd. doppia conforme, “… la struttura
giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico
complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure
proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti
riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella
valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione. – Sez. III, 16 luglio 2013,
n. 44418, Argentieri, C.E.D. Cass., n. 257595 -. La sentenza impugnata ha fatto ampi richiami
alle motivazioni della sentenza di primo grado, accogliendone pienamente l’ipotesi ricostruttiva,
ed è pertanto indubbio che, “ai fini della valutazione della congruità della motivazione del
provvedimento impugnato, occorra fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le
quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile” – Sez. V, 12
gennaio 2016, n. 14022, Genitore e altro, C.E.D. Cass., n. 266617 -.
Fatta questa premessa, si osserva subito che la critica principale del ricorso – che
accomuna il primo, il terzo e il quinto motivo, valutabili quindi congiuntamente – muove
dall’assunto che l’imputato non fu presente né nell’episodio di Mediglia né in quello di Pavia. Il
rilievo è pertanto di illogicità della sentenza nella parte in cui ha valorizzato alcuni dati probatori,
trascurandone irragionevolmente altri che invece militano a favore della tesi difensiva, facendo
scaturire quasi automaticamente, dalla valorizzazione delle prove raccolte per il fatto di Mediglia,
la prova della responsabilità per i fatti di Pavia
Il ricorso non coglie però nel segno, anzitutto perché non è illogica l’impostazione
ricostruttiva della sentenza impugnata, che ha valorizzato il collegamento probatorio tra i fatti
di Mediglia e i fatti di Pavia sulla base di dati oggettivi particolarmente significativi, e cioè: le
modalità della condotta, che si sono risolte nella sottrazione di un navigatore satellitare e poi
nella fuga, una volta che la proprietaria dell’autovettura si accorse della sottrazione, quindi nel
tentativo di investire la persona offesa con l’autovettura utilizzata per la fuga; l’autovettura in
questione, che è la stessa utilizzata poi per i fatti di Pavia; il navigatore satellitare sottratto a
Mediglia, che è stato rinvenuto nell’autovettura poi abbandonata a Pavia subito dopo
l’investimento di Elena Maria Madama.
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Successivamente la parte civile Elena Maria Madama ha presentato memoria con cui ha

Sulla base di questa opportuna connessione la sentenza impugnata ha valutato i dati
probatori a carico dell’imputato Radion Suvac, e quindi anzitutto il riconoscimento fatto dalla
persona offesa dei fatti di Mediglia, Iulia Savin. In merito a questo atto di prova la sentenza
impugnata ha fatto richiamo a quella di primo grado e ha spiegato, con logica adeguatezza, le
ragioni della sua attendibilità, evidenziando che Iulia Savin ebbe modo di vedere con chiarezza
il viso del conducente dell’autovettura che aveva tentato di investirla, dal momento che ebbe
modo di porsi accanto al finestrino dell’autovettura nel piazzale illuminato del distributore di
benzina. Ha aggiunto una osservazione critica pur essa logica, ossia che la concitazione del

che era fuggita subito dopo averle sottratto il navigatore satellitare dalla sua autovettura e che
lei aveva inseguito per riappropriarsi di quanto le apparteneva. Per tale ragione è ben
comprensibile che possa essersi espressa in termini di certezza nel riconoscimento dell’imputato
(fl 36 e 52-53).
La sentenza impugnata ha quindi proceduto, sulla scorta della condivisibile lettura
coordinata delle prove per i due fatti criminosi, alla presa in esame del riconoscimento dei
testimoni dei fatti di Pavia, anche qui spiegando adeguatamente le ragioni del credito attribuito
a quelle dichiarazioni. Per quel che concerne il riconoscimento operato da Valerio Ravetta ha
precisato che questi potette veder bene il volto del conducente dell’autovettura, perché in quel
frangente fu illuminato dai fari dell’autobus cittadino che sopraggiungeva dall’opposta direzione,
arrestando la marcia proprio di fronte all’autovettura in fuga. Non è poi manifestamente illogico
utilizzare come ulteriore elemento di riscontro il dato che il testimone ha calcolato l’altezza
dell’individuo che conduceva l’autovettura – e quindi dell’imputato -, facendo riferimento al fatto
che la sua testa superava il poggiatesta, perché è un aspetto oggettivo dotato di sicura
plausibilità (fl. 36 e 56-57). Per il riconoscimento di Massimiliano Villa ha, da un lato, valorizzato
la certezza con cui questi si espresse nel riconoscere l’imputato e, dall’altro, ha opportunamente
sottolineato come il riconoscimento sia stato arricchito e sostenuto dalla descrizione puntuale di
particolari pienamente corrispondenti alle caratteristiche fisiche dell’imputato, peraltro
concordanti con quelli riferiti dagli altri testimoni. Ha quindi dato conto di un particolare
importante nel valutare il dato di prova, ossia che il testimone ebbe modo di vedere l’autista
dell’autovettura sia mentre era a bordo, sia mentre scendeva dalla stessa, e ciò a ben poca
distanza, di qualche metro (fl. 37 e 59).
La sentenza impugnata non ha trascurato di considerare i cd. riconoscimenti negativi, tali
non perché i testimoni hanno escluso che l’imputato fosse uno dei due soggetti a bordo
dell’autovettura nei fatti di Pavia ma perché non sono stati in grado di scorgere con la necessaria
precisione le fattezze fisiche dei due. Giampaolo Aglio riferì di non aver visto chi guidasse
l’autovettura e di aver visto soltanto le due persone che fuggivano; aggiunse che avevano
un’altezza variabile tra 170 e 175 cm, ma precisò subito dopo che, proprio sull’altezza, si era
potuto sbagliare perché i soggetti in fuga percorrevano un tratto di strada in salita, dato questo
che aveva potuto falsare la sua stima (fl. 30-31). Proprio su questo punto la sentenza impugnata
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momento servì ad imprimere nella memoria di Iulia Savin il ricordo del viso di quella persona

ha logicamente argomentato, aggiungendo una notazione coerente per avvalorare la tesi del
mero errore percettivo. Il testimone attribuì quell’altezza ad entrambi i fuggitivi, quindi anche a
Chitoroaga, ossia Jorel Eugen Vasco, della cui presenza nei fatti di Pavia nessuno ha dubitato,
ed è un dato certo che questi è significativamente più alto, pari a 182 cm (fl 66). Claudia Scoglio,
nel descrivere la scena, ebbe a precisare che la visuale era impedita da un’autovettura
parcheggiata in divieto di sosta (fl. 13) e anche sul punto la sentenza impugnata ha
opportunamente tenuto conto delle circostanze in cui la testimone si trovò, ricordando come ella
ebbe a riferire, sin dall’inizio, di non aver ricordi precisi (fl. 40). Altro riconoscimento cd. negativo

l’imputato, era alto all’incirca 175 cm (fl 33). Con tali ultime dichiarazioni la sentenza impugnata
ha omesso di misurarsi specificamente, ma ciò non determina una illogicità manifesta alla luce
delle considerazioni svolte in ordine agli altri contributi testimoniali, tenendo presente che
Giampaolo Passi vide dapprima l’autovettura che procedeva a velocità elevata e poi i due
occupanti che, abbandonata l’autovettura, si davano a precipitosa fuga (fl. 9).
Nell’esame dei riconoscimenti, sia positivi che cd. negativi, la sentenza impugnata ha
correttamente applicato le regole di valutazione della prova, in conformità al principio di diritto,
secondo cui “l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – è una
manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale
concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali
del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della
deposizione testimoniale” – Sez. IV, 21 febbraio 2013, n. 1867/14, Jonovic, C.E.D. Cass., n.
258173 -.
In ordine poi al valore probatorio del rinvenimento all’interno dell’autovettura del cappello
da baseball con tracce del profilo genetico dell’imputato, la sentenza impugnata lo ha preso in
esame non già per dedurre con certezza – cosa che non sarebbe stata accettabile – la presenza
dell’imputato al momento dei fatti, quanto per trarne un ulteriore e concorrente dato di prova a
carico, anche nella misura in cui di quel rinvenimento l’imputato non seppe dare spiegazione
plausibile (fl 37), per la capacità di contrastare una delle difese dell’imputato, che dichiarò di
non esser mai salito a bordo di quell’autovettura, magari in altra circostanza (fl. 54).
Quanto alle dichiarazioni dei testimoni della difesa, la sentenza impugnata ne ha valutato
adeguatamente l’apporto e, con motivazione logica ed immune da censure in questa sede, ha
tratto il convincimento che non possano infirmare la validità del costrutto accusatorio. Le
dichiarazioni di Vasile Muresan sono state oggetto di esame ed è stata data logica spiegazione
delle ragioni per le quali sono state valutate non credibili, per la parte in cui hanno riferito della
presenza nei fatti di Pavia di tale Rusu in luogo dell’imputato, ora per le contraddizioni del narrato
ora per le vistose incoerenze nell’indicazione della fonte delle sue conoscenze dei fatti (fl. 34 e
62 ss.). In merito alle dichiarazioni di Alexandru Gradinar, che ha riferito dell’estraneità
dell’imputato ai fatti di Pavia, già la sentenza di primo grado ha posto in evidenza che questi non
ricordò i nomi dei soggetti che lo avevano informato.
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è attribuibile a Giampaolo Passi, che disse che il conducente dell’autovettura, quindi in ipotesi

Circa l’assenza di impronte digitali dell’imputato all’interno dell’autovettura, la sentenza
impugnata, richiamando quella di primo grado, ha chiarito che il dato non è di particolare
importanza, perché è acclarato che gli occupanti del mezzo fecero uso di guanti, aggiungendo
che furono rinvenuti soltanto alcuni dei guanti utilizzati, con impronte riconducibili al correo
Eugen Vasco, e che la rilevazione delle impronte sul volante e sulla leva del cambio è operazione
alquanto difficoltosa. Ha quindi concluso con un rilievo significativo, e cioè che le ulteriori
impronte attribuibili ad altri soggetti, e quindi astrattamente riferibili a Rusu, che secondo quanto
riferito dall’imputato fu l’autore dei fatti di Pavia, sono state oggetto di controllo in banca Afis,

risolve non tanto in una smentita delle dichiarazioni accusatorie dell’imputato, quanto nella
conferma della modestia del valore probatorio del mancato rinvenimento di impronte riferibili
all’imputato, sì come logicamente argomentato dalla sentenza impugnata, che, pertanto, non è
affetta da vizi di illogicità manifesta, carenza o contraddittorietà della motivazione.
Anche il risultato della valutazione antropometrica dell’immagine ripresa dalle telecamere
posizionate nei pressi del locale “Blue Caribe” è stato oggetto di valutazione sia ad opera del
giudice di primo che di quello di secondo grado, che hanno dato adeguata motivazione delle
ragioni per le quali esso non ha la capacità di smentire il costrutto accusatorio che trova
fondamento in dati probatori di maggiore solidità. L’altezza di circa 173 cm attribuita al soggetto
ripreso nell’immagine è incompatibile con l’individuazione in essa dell’imputato che, come più
volte ricordato, è alto 186 cm. E però, si è osservato, si tratta di una stima approssimativa, con
uno scarto di almeno 3 cm in eccesso o in difetto, e in più ulteriormente influenzata da variabili
esterne al sistema di valutazione, dovute alle condizioni in cui si trova il soggetto ripreso, e tra
queste ha incidenza particolare l’atto del correre, oltre ovviamente alla qualità delle immagini
che per quel che ora interessa è assai modesta (fl. 39).
Il secondo motivo è infondato. In merito alla revoca dell’ordinanza ammissiva della
testimonianza di Ian Botnarenco occorre evidenziare che il tema oggetto di quella prova ha avuto
ingresso nel giudizio, tramite le testimonianze di Muresan e Gradinar che hanno riferito sui fatti
che avrebbero caratterizzato, ove assunta, la testimonianza del primo, ossia l’estraneità
dell’imputato agli episodi ora in contestazione. Alla luce di questo rilievo va apprezzata
l’affermazione della sentenza impugnata di non decisività della testimonianza di Botnarenco,
perché essa, ove esperita, non “avrebbe determinato una diversa decisione”, alla luce del
materiale raccolto – Sez. VI, 25 marzo 2010, n. 14916, Brustenghi e altro,

C.E.D. Cass., n.

246667 -, che impedisce ora di affermare il vizio per omessa assunzione della prova ai sensi
della lett. d) dell’articolo 606, comma 1, c.p.p. Non è poi secondario osservare, a conferma della
correttezza dell’operato della Corte di appello che Ion Botnarenco, che ricevette le chiamate
telefoniche nell’immediatezza dei due episodi criminosi da uno dei due autori, non ha mai fatto
riferimento, nel corso delle conversazioni intercettate, a Rusu, quale soggetto presente nei fatti
di Pavia o di Mediglia (fl. 63). La revoca dell’ordinanza di ammissione di quella testimonianza si
è pertanto sottratta a valutazioni di illegittimità, dato che, come già affermato da questa Corte,
9

ove sono contenute le impronte anche di Rusu, e questo controllo ha dato esito negativo. Ciò si

”il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse è, nel corso del
dibattimento, più ampio di quello esercitabile all’inizio del dibattimento stesso, momento in cui
il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente
superflue o irrilevanti; con la conseguenza che la censura di mancata ammissione di una prova
decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della
prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione,
raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato” – Sez. III, 17 gennaio 2017, n. 13095,
S, C.E.D. Cass., n.. 269331 -. La Corte di appello ha poi rigettato la richiesta di espletamento

mancato accoglimento della richiesta difensiva, facendo riferimento alla scarsa qualità delle
immagini riprese dalle telecamere e alla scarsa attendibilità del risultato di un simile approccio
ricostruttivo (fl. 66). La motivazione sul punto è coerente ed adeguata e sottrae la decisione di
merito a censure di legittimità. Si consideri poi che, come più volte statuito nella giurisprudenza
di questa Corte, “la mancata effettuazione di un accertamento peritale … non può costituire
motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. d), c.p.p., in quanto la
perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova
neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove
l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, c.p.p., si riferisce esclusivamente
alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività” – Sez. un., 23 marzo 2017, n. 39746,
A e altro, C.E.D. Cass., n. 270936 -. In ordine, infine, alla richiesta difensiva di acquisizione di
tutti i tabulati di tutte le schede installate nel dispositivo cellulare dell’imputato la Corte di appello
ne ha disposto il rigetto con motivazione pienamente condivisibile, facendo leva sul carattere
meramente esplorativo dell’accertamento, e quindi dando attuazione al principio di diritto per il
quale “… la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel
contraddittorio di primo grado rende inammissibile (sicché non sussiste alcun obbligo di risposta
da parte del giudice del gravame) la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che
si risolva in una attività esplorativa di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo
eventualmente favorevoli al ricorrente” – Sez. III, 23 giugno 2016, n. 42711, H,

C.E.D. Cass.,

n. 267974 -.
Il quarto motivo è manifestamente infondato. I giudici di merito hanno adeguatamente
motivato in ordine alle conversazioni intercettate all’interno dell’autovettura di Ian Botnarenco,
da cui è emerso un dato significativo, ossia il timore di radio Suvac, definito “panico” dai suoi
sodali, di essere individuato come uno degli autori dei fatti di Pavia, evocati appunto nel corso
delle conversazioni (v. fl. 19 e 60-61). La tesi di ricorso, secondo cui il timore dell’imputato nel
corso dell’interrogatorio di polizia era da ricollegarsi genericamente al suo status di clandestino,
è una mera asserzione non altrimenti sostenuta da riscontri oggettivi: valga sul punto la
considerazione che l’imputato, richiesto sul punto dal pubblico ministero durante l’esame
dibattimentale, ha prima negato di aver avvertito paura per le domande che gli erano state poste
dagli appartenenti alla Polizia di Stato quando si trovò ad accompagnare Ion Botnarenco a Milano
10

della perizia per l’accertamento di cd. sovrapposizione parametrizzata. Ha spiegato le ragioni del

presso l’Ufficio Immigrazione e poi ha imputato quel timore, di cui chiaramente si è avuto
riscontro dai risultati intercettativi, al fatto di essere a conoscenza del “casino quello fatto altri”,
senza quindi alcun riferimento all’eventualità di un suo rimpatrio obbligatorio.
Deve allora essere richiamato il principio di diritto, più volte affermato da questa Corte,
secondo cui “in sede di legittimità è possibile prospettare una interpretazione del significato di
una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del
travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto

novembre 2013, n. 7465/14, Napoleoni e altri, C.E.D. Cass., n. 259516 -.
Il sesto motivo è manifestamente infondato. La Corte di appello ha ben motivato in ordine
alla qualificazione come tentativo di omicidio dell’investimento di Elena Maria Madama che cercò
di impedire la fuga dell’imputato e del suo correo. Ha richiamato le dichiarazioni testimoniali di
Anita Monteverdi e Marta Ravasi, che hanno riferito concordemente della piena volontarietà
dell’investimento (fl. 68), e delle dichiarazioni di Desiree Barbetta, che ha ben illustrato la
dinamica dell’investimento, composto da un primo impatto con la ruota anteriore destra
dell’autovettura durante la manovra di retromarcia e da un secondo impatto, una volta che la
vittima fu per terra dinnanzi all’autovettura con una forte accelerazione del mezzo in avanti, con
il conseguente trascinamento del corpo che era stato ancora una volta travolto dalle ruote (fl.
69). Ha quindi ricordato gli esiti della consulenza svolta dal consulente del p.m., Ivan Macella,
che ha dato conto dell’impossibilità che l’imputato, alla guida dell’autovettura, non si fosse
accorto di trascinare nella sua corsa di fuga il corpo di una persona, di quella stessa persona che
aveva volontariamente investito, come peraltro emerge già dalle dichiarazioni testimoniali che
hanno riferito del tragico accaduto (fl. 71-72). È del tutto logica, pertanto, la conclusione che la
dinamica dell’investimento sia attestazione del dolo d’omicidio e si sostanzi in atti univocamente
diretti a cagionare la morte della vittima.
Il settimo motivo è del pari manifestamente infondato. La Corte di appello ha
adeguatamente motivato spiegando le ragioni che ostano al riconoscimento delle attenuanti
generiche e ad un trattamento sanzionatorio mitigato, con argomentazioni che afferiscono
strettamente al giudizio di merito e che, per la loro congruità e logicità, si sottraggono a censure
nella sede di legittimità (fl. 74-75).
Il ricorso pertanto deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Al rigetto del ricorso segue altresì la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese
sostenute nel grado dalle parti civili costituite, come determinata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla
rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute nel grado dalle parti civili costituite, che
liquida per Madama Elena Maria nella somma di euro 2.290,00, comprensive di spese generali,
11

in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile” – Sez. V, 28

oltre accessori (IVA e CPA) come per legge, con pagamento in favore dello Stato; e nella somma
di auro 2.300,00, comprensiva di spese generali, oltre IVA come per legge, per A.T.S. di Pavia.
Così deciso I’ll giugno 2018
Il presidente

Il consi ere estensore

Giulio Sarno

Sant

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Prima Sezione Penale

Depositata in Cancelleria oggi

Giusep

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