Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38069 del 12/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38069 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CACI GIUSEPPE N. IL 29/04/1982
avverso l’ordinanza n. 17/2013 TRIB. LIBERTA’ di
CALTANISSETTA, del 28/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. G-11 IN “-W i LI 122-3 rj(1l41 (ft•JAV A
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 12/06/2013

A,

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 28 gennaio 2013, il Tribunale di Caltanissetta ha
parzialmente accolto la richiesta di riesame proposta dall’indagato avverso l’ordinanza
del Gip del medesimo Tribunale dell’Il gennaio 2013, con la quale l’indagato stesso
era sotto stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in relazione ai reati di
associazione mafiosa e di illecita concorrenza con violenza aggravata ex art. 7 del d.l.
n. 152 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 203 del 1991, nel settore

accolta quanto al primo dei due reati e rigettata quanto al secondo.
2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, rilevando, con unico motivo di doglianza, la mancanza, manifesta illogicità
e contraddittorietà della motivazione relativamente alla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza. Tali indizi, che consistevano, in particolare, in un’intercettazione
telefonica, un’intercettazione ambientale e una chiamata in correità da parte di un
collaboratore di giustizia, avevano – secondo la prospettazione difensiva – un
carattere tutt’altro che univoco. Vi sarebbe, poi – prosegue il ricorrente – una
contraddittorietà della motivazione laddove, da un lato, si riconosce insussistente il
reato di associazione mafiosa e, dall’altro, si riconosce sussistente l’aggravante di cui
all’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, affermando che l’indagato sostanzialmente
apparteneva all’associazione mafiosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su doglianze dirette ad ottenere
da questa Corte una rivalutazione del merito del provvedimento impugnato;
rivalutazione preclusa in sede di legittimità.
Con corretto iter argomentativo, il Tribunale ha, del resto, evidenziato che: a) il
collaboratore di giustizia Cascino ha descritto le modalità di imposizione del prodotto
(angurie) ai rivenditori al dettaglio, i quali erano costretti dal capo del sodalizio
mafioso ad acquistare all’ingrosso le angurie da lui fornite e a rivenderle al prezzo
dallo stesso imposto, onde evitare che tali rivenditori, praticando prezzi più bassi di
quelli fissati presso i suoi punti vendita, risultassero maggiormente concorrenziali; b)
tale affermazione ha trovato riscontro nelle intercettazione ambientale di colloqui in
carcere intrattenuti dal capo del sodalizio criminoso, Alferi, con i suoi familiari, nei
quali egli dava conto del suo interesse per il settore e della posizione di supremazia
illecitamente ricoperta; c) decisivo è il riscontro rappresentato dalla conversazione fra
Biundo, soggetto legato a detto sodalizio criminoso, e l’odierno indagato, il quale gli

della rivendita delle angurie (art. 513 bis cod. pen.). La richiesta era, in particolare,

• prospettava i problemi rappresentati dalla presenza di uno specifico rivenditore, che
avrebbe dovuto essere oggetto di ulteriori interventi intimidatori, perché praticava
prezzi troppo bassi; d) vi era inoltre una conversazione tra Biundo e Alferi relativa al
comportamento del rivenditore Verderame, che non aveva voluto piegarsi al prezzo
imposto; conversazione ampiamente riscontrata delle dichiarazioni accusatorie dello
stesso Verderame; e) la versione alternativa dei fatti fornita dalla difesa risulta
implausibile (pagg. 6 e 7 del provvedimento impugnato).

gravi indizi del reato di illecita concorrenza di cui all’art. 513 bis cod. pen. Tale
fattispecie risulta, infatti, integrata da qualsiasi atto di concorrenza che consista in un
comportamento violento o intimidatorio che venga esercitato direttamente o
indirettamente contro l’imprenditore e che sia idoneo ad impedire al concorrente di
autodeterminarsi nell’esercizio della sua attività commerciale, industriale o comunque
produttiva (sez. 2, 16 dicembre 2010, n. 6462/2011, rv. 249372). In altri termini
l’art. 513 bis cod. pen. punisce quelle condotte illecite tipicamente concorrenziali
(quali il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare, etc.) che siano
attuate, però, con atti di coartazione che inibiscono la normale dinamica
imprenditoriale, non rientrando, invece, nella fattispecie astratta, gli atti intimidatori
che siano semplicemente finalizzati a contrastare o ostacolare l’altrui libera
concorrenza(ex mu/tis, sez. 3, 6 marzo 2013, n. 16195, rv. 255398; sez. 1, 2 febbraio
2012, n. 6541, rv. 252435).
Nel caso in esame, la condotta illecita tipicamente concorrenziale è integrata
dall’imposizione dell’acquisto del prodotto dall’associazione mafiosa e della sua
rivendita ad un prezzo fissato; imposizione dettata dalla finalità di rendere meno
appetibile il prodotto del concorrente per i consumatori finali rispetto al prodotto
venduto dall’associazione mafiosa. Tale comportamento rientra infatti certamente fra
gli atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598, n. 3), cod. civ. – consistenti
nell’utilizzazione diretta o indiretta di mezzi non conformi ai principi della correttezza
professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda – proprio perché posto in essere
nell’interesse un soggetto, riconducibile al sodalizio mafioso, che svolge, nello stesso
settore di mercato, la medesima attività di rivendita di angurie dei soggetti destinatari
delle minacce.
Quanto, poi, alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art.
7 della legge n. 203 del 1991, la contraddittorietà motivazionale rilevata dalla difesa
risulta manifestamente insussistente. Tale aggravante opera, infatti, qualora il
3

Correttamente, dunque, il Tribunale ha ritenuto integrati, nel caso di specie, i

soggetto che pone in essere il reato lo faccia nella consapevolezza di agevolare
l’associazione mafiosa; presupposto correttamente ritenuto sussistente dal Tribunale
nel caso di specie. Lo stesso Tribunale è, infatti, giunto a tale conclusione prendendo
le mosse dai dati oggettivi a sua disposizione, rappresentati dalla particolare vicinanza
dell’indagato al Biundo, braccio destro dell’Alferi, capo dell’organizzazione mafiosa, e
dal ruolo da questo attivamente ricoperto nella gestione dell’illecito “cartello dei
prezzi”.

conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2013.

4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto

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