Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3805 del 15/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3805 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

Odia Mark

n. il 14 agosto 1973
avverso

l’ordinanza 24 novembre 2011 — Magistrato di Sorveglianza di Lecce;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
lette le conclusioni scritte del rappresentante del Pubblico Ministero, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha chiesto il rigetto del ricorso con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;

Data Udienza: 15/11/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Ritenuto in fatto
1. — Con ordinanza deliberata in data 24 novembre 2011, depositata in cancelleria il 13 aprile 2012, il Magistrato di Sorveglianza di Lecce e Brindisi rigettava il
reclamo avanzato nell’interesse di Odia Mark volto a ottenere l’accertamento delle
lesione dei diritti soggettivi del detenuto previsti dagli artt. 1, 5, 6, 12 L. 354/75 e
6, 7 D.P.R. 230/00, 3 CEDU e 2, 3, 7 Cost. e la conseguente liquidazione a titolo di

Il giudice argomentava la propria decisione rilevando che, valutata la documentazione inviata dalla Direzione della Casa Circondariale di Lecce le condizioni di restrizione del detenuto non sono tali da violare l’art. 3 CEDU atteso che, anche a voler considerare il solo profilo dello spazio personale, ignorando quindi la rilevanza di
tutti gli altri parametri indicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella fattispecie presenti (quali la dotazione di mobilia, l’ampiezza della finestra, la fruibilità
dei locali docce, al congruo numero di ore da trascorrere fuori dalla cella, la sussistenza di una saletta di socialità ed altro) lo stesso superava ancorché di poco quello fruito da Sulejmanovic e ritenuto dalla Corte insufficiente (e da qui la condanna
sul punto del nostro Paese) se esaminato isolatamente a raggiungere il livello minimo di gravità richiesto dall’art. 3 della Convenzione. Il detenuto ha per vero usufruito anche di diverse e più ampie sistemazioni integrando una condizione conforme ai parametri europei e ai principi costituzionali di rieducazione della pena.
2. — Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione Odia Mark chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali rilevando altresì che il giudice avrebbe dovuto altresì riconoscere il diritto
al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2059 c.c. per responsabilità contrattuale
della Pubblica Amministrazione ovvero extracontrattuale secondo il principio del

neminem laedere.
2.1 — Con memoria difensiva depositata in cancelleria il 25 ottobre 2013
l’Avvocatura Generale dello Stato confutava diffusamente le doglianze difensive
chiedendo la declaratoria di inammissibilità.
2.2 — Con memoria di replica depositata in data 7 novembre 2013 il difensore
di Odia Mark ribadiva le proprie doglianze al provvedimento gravato insistendo per
l’accoglimento del ricorso.

Ud. in c.c.: 15 novembre 2013 — Odia Mark — RG: 14392/13, RU: 10;

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indennizzo di una somma di equità.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Osserva in diritto
3. — Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
3.1 — Si osserva per vero che il gravame, più che individuare singoli aspetti del
provvedimento impugnato da sottoporre a censura, tende a provocare una nuova
valutazione del merito già esaminato dal giudice, sviluppandosi inoltre in modo ge-

in questa sede di legittimità consistendo in una mera reiterazione di censure in ordine alle quali il giudice di sorveglianza ha già adeguatamente risposto. Va pertanto
ravvisata non solo la reiterazione inammissibile di argomentazioni fattuali non proponibili in questa sede di legittimità stante la valutazione argomentata del giudice
della cognizione, ma altresì la mancanza della reale correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione davanti a questa Corte. Con il riproporre le doglianze già scrutinate il ricorrente non tiene inoltre conto che il sindacato di questo Supremo Collegio ha un orizzonte circoscritto, dovendo essere limitato — per espressa volontà del legislatore
— a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione impugnata, senza possibilità di effettuare una rilettura degli elementi di
fatto posti a suo fondamento, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giu-

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dice di merito (v. ex pluribus, Cass., Sez. 5, 27 gennaio 2009, n. 19399, Fíozzi).
3.2 — Il provvedimento gravato, peraltro, dando conto in modo analitico delle
ragioni della propria decisione, ha correttamente esaminato tutti gli elementi risultanti dagli atti, con motivazione congrua, adeguata e priva di erronee applicazioni
della legge penale e processuale e come tale non censurabile in questa sede di legittimità.
In punto di materia risarcitoria ed indennitaria occorre peraltro osservare che il
sistema normativo prevede in via generale la sua attribuzione alla giurisdizione civile. La summa divisio tra giurisdizione civile e penale è sancita invero dall’art. 1 cod.
proc. civ. e dall’art. 1 cod. proc. pen. cui corrispondono le pertinenti norme del vigente Ordinamento Giudiziario.
Da tale presupposto consegue che le attribuzioni al giudice penale di competenze in materia risarcitoria si pongono come eccezioni a tale generale ripartizione e,
come tali, devono essere specificamente previste dalla normativa, quali si rinvengono, ad esempio, ove il giudice penale è chiamato a pronunciarsi sulla domanda

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nerico e non concreto, proponendo per di più questioni argomentative inammissibili

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

risarcitoria del danneggiato da un reato costituito parte civile (art. 74 cod. proc
pen.) o su quella per ingiusta detenzione (art. 314 cod. proc. pen.) od anche per
riparazione dell’errore giudiziario (art. 643 cod. proc. pen.).
È però certo che una siffatta attribuzione specifica non si riscontra nelle leggi in
materia penitenziaria che, in via testuale, non prevedono alcuna attribuzione di
competenza alla Magistratura di Sorveglianza della materia risarcitoria o indennita-

carcerario, che vengono attribuiti alla sua specifica competenza (che è sempre legata alla giurisdizionalizzazione dell’esecuzione penale). Il dato è pacifico, dovendosi
del resto rilevare come il ricorrente, non potendo invocare una specifica disposizione di legge a sostegno dei suo assunto, fa appello ad una asserita responsabilità
contrattuale della Pubblica Amministrazione ovvero extracontrattuale non meglio
chiarite oltre che ravvisabili.
4. — Quanto alla invocata “violazione dei diritti dei condannati e degli internati”
che possano essere rilevate “nel corso del trattamento” – l’art. 69 ord. pen., comma
5, ultima parte, puntualmente prevede che il Magistrato di Sorveglianza impartisca
“disposizioni dirette ad eliminare” siffatte eventuali violazioni, così all’evidenza delimitando in modo preciso il campo d’intervento, in coerenza con la generale funzione della Magistratura di Sorveglianza che è quella di vigilare “sulla organizzazione
degli istituti di prevenzione e di pena” (art. 69 ord. pen., comma 1) ai fini di una
corretta esecuzione, in termini di legalità, della pena o della misura di sicurezza. È
invero fuor di dubbio che le disposizioni dirette ad eliminare le rilevate violazioni
hanno proiezione ripristinatoria volta al futuro, e dunque funzione preventiva, ma
non possono contenere, per insito limite concettuale, l’ambito di un ristoro risarcitorio per il passato. Nessuno può invero ragionevolmente sostenere che condannare
ad un risarcimento sia compreso nel diverso concetto di “eliminare le violazioni”,
ponendosi le due espressioni su piani diversi. Del resto la stessa clausola di chiusura di cui al cit. art. 69, u.c. secondo cui il Magistrato di Sorveglianza “svolge, inoltre, tutte le altre funzioni attribuitegli dalla legge”, giustifica proprio la conclusione
che le sue funzioni devono comunque avere un testuale e specifico riferimento
normativo – e non se ne rinvengono sul tema risarcitorio – così già ponendo un
chiaro limite a quella onnicomprensività per materia (competenza funzionale esclusiva) predicata dal ricorrente. Inoltre, sempre per restare ai dati testuali ricavabili
dalla legge fondamentale dell’ordinamento penitenziario, l’art. 35, unico riferimento
possibile, in concreto attivato dal ricorrente, prevede che detenuti ed internati pos-

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ria pur discendente da quegli aspetti dell’ambito penitenziario, o più strettamente

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sano “rivolgere istanze o reclami, orali o scritti, anche in busta chiusa”. Orbene, per
quanto se ne voglia dare interpretazione dilatata, non è chi non veda come la stessa terminologia sia lontana da quella che può contrassegnare l’inizio di un’azione
civile a contenuto risarcitorio, a parte l’assoluta anomalia che deriverebbe da una
causa civile iniziata con istanza orale (ancorché poi verbalizzata) e raccolta anche
dal direttore dell’istituto (anche se poi trasmessa al Magistrato di Sorveglianza). Ricordiamo in proposito il disposto dell’art. 99 cod. proc. civ.: “Chi vuole far valere un

civili proponibili in ambito penale, ex art. 74, 314 e 643 cod. proc. pen., devono essere avanzate con domanda al giudice competente. Addirittura clamorose, poi, sono
le distonie del procedimento di sorveglianza, rispetto a quello ordinario in ambito
civilistico, e non facilmente adattabili (si pensi solo al regime delle prove, alle impugnazioni, ecc.). Occorre dunque riconoscere che l’esame della normativa specifica
consente di affermare la coerente saldatura dell’inesistenza, da un lato, di un potere di condanna di natura civilistica in capo al Magistrato di Sorveglianza con l’inesistenza, dall’altro, di una facoltà di analoga richiesta in capo al detenuto o all’internato.
5. — Si deve inoltre osservare che la magistratura di sorveglianza non ha competenze generali di cognizione se non quelle specifiche in ambito esecutivo (resta
eccezionale la disposizione di cui all’art. 680 c.p.c., comma 2, che trova ragione
nella specialità della materia); il Magistrato di Sorveglianza, nella sua essenza, resta un giudice che sovrintende all’esecuzione della pena (dato confermato dalla
stessa collocazione della figura all’interno del Libro decimo del Cod. Proc. Pen.).

Non può dirsi, dunque, che l’ordinamento disegni un suo potere generale di jus dicere per qualsiasi questione afferente i diritti dei detenuti, pur collegati all’esecuzione della pena. Non c’è dubbio che un fatto costituente reato commesso in ambito
carcerario, ai danni di un detenuto, anche se, per ipotesi, ad opera di un appartenente all’Amministrazione, non potrebbe essere sottratto alla normale competenza
del giudice penale e di certo non potrebbe essere attribuito a quella della Magistratura di Sorveglianza in forza di un’ inesistente competenza esclusiva. Né può essere
dubitato che un detenuto che intenda essere risarcito per un danno che egli lamenti, ancorché subito in ambiente carcerario, non potrà essere sottratto al giudice naturale precostituito per legge per tale tipo di vertenza che è il giudice civile, competente per materia e territorio. Tanto deve valere anche ove il danno venga attribuito
dal detenuto alla stessa Amministrazione penitenziaria, non essendovi ragioni di differenziazione. Non è chi non veda, dunque, che la tesi di una competenza esclusiva

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diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”. Anche le azioni

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della Magistratura di Sorveglianza in ordine ai diritti dei detenuti prova troppo, perché trascinerebbe in tale ambito tante competenze, creando una sorta di tribunale
specializzato del detenuto (simile a quello per i Minorenni) il che l’ordinamento di
certo non ha voluto. Quanto fin qui elaborato è confermato poi dall’avvenuta eliminazione, per intervento della Corte Costituzionale, dell’art. 69 ord. Pen., comma 6,
lett. a) (sentenza 341/2006) che, se da un lato ha rilevato l’inadeguatezza dello
strumento processuale fornito dal rito di competenza penitenziaria (art. 14 ter Ord.

tenza esclusiva. Né può dirsi che gli interventi giurisprudenziali in materia, correttamente letti ed inquadrati, abbiano disegnato quella competenza esclusiva che il
ricorrente ipotizza. Ed invero si è ben consolidato il principio (v., per tutte, SS.UU.
25079/2003, Gianni) secondo cui il reclamo al Magistrato di Sorveglianza ex art. 35
Ord. Pen. può essere legittimamente attivato – e sempre ai fini di ottenere dallo
stesso disposizioni dirette ad eliminare le relative violazioni – solo in ipotesi che la
doglianza investa un diritto soggettivo (ad esempio in tema di tutela della salute)
che il detenuto assume violato o compresso ad opera della Amministrazione, restandone fuori quelle lamentele che non raggiungono tale livello (e la casistica è
quanto mai ampia : ad esempio la ricezione della televisione). Ciò significa una limitazione alla tutela giurisdizionale in tema di reclamo generico, restandone escluse
doglianze che trovano collocazione nell’ambito amministrativo, ma non significa cer

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to che tutti i diritti soggettivi che si pretendono violati debbano necessariamente
essere convogliati alla Magistratura di Sorveglianza e tutelati con gli strumenti processuali, spediti e contratti, previsti dal relativo ordinamento. Anche in base all’esame sistematico della vigente normativa, dunque, e pur alla stregua del bagaglio
giurisprudenziale in materia, deve essere escluso che sussista una sorta di competenza esclusiva della Magistratura di Sorveglianza in materia di tutti i diritti soggettivi dei detenuti. Non va poi sottovalutato – ed anzi è argomento primario – che comunque la procedura ex art. 14 ter Ord. Pen., imposta dall’art. 69, comma 6, concepíta avendo a mente le necessità di speditezza insite nella materia penitenziaria,
neppure prevede la comparizione dell’Amministrazione penitenziaria che, invece, in
ipotesi sarebbe la parte convenuta che dovrebbe essere condannata, ammettendo
solo – quale ben limitata difesa – la presentazione di memorie. Si produrrebbe pertanto la stessa situazione che ha portato alla dichiarazione

di incostituzionalità

dell’art. 69, comma 6, lett. a), per insufficiente contraddittorio, compressione dei
diritti difensivi e disparità di trattamento rispetto alle normali procedure per domande di carattere risarcitorio davanti alla giurisdizione civile. Una lettura costitu-

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Pen.), ha evidentemente escluso, dall’altro, la configurabilità di una pretesa compe-

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zionalmente orientata impone, dunque, di evitare siffatta conseguenza che sarebbe
connessa – in mancanza di interventi legislativi- alla tesi sostenuta dal ricorrente.
6. — In definitiva la ricognizione dello stato attuale della pertinente normativa
deve far escludere che alla Magistratura di Sorveglianza sia attribuita la competenza a pronunce su domande di carattere risarcitorio pur derivanti da pretese violazioni di diritti soggettivi di detenuti anche se connessi allo stesso stato di detenzio-

In definitiva ancora deve affermarsi che la Magistratura di Sorveglianza non ha
competenza esclusiva sui diritti dei detenuti, ma attribuzioni specifiche legate all’esecuzione penale. In materia di diritti di cui si assuma la violazione, la Magistratura
di Sorveglianza ha il riconosciuto potere di impartire disposizioni all’Amministrazione con un accertamento, quindi, assolutamente incidentale ed a tale specifico fine
preventivo, quello di eliminare eventuali violazioni. Risarcimento o indennità restano, nell’attuale stato della legislazione, nell’ambito della ordinaria competenza del

giudice civile.

7.

Il quadro fin qui delineato non viene in contrasto, nelle sue linee generali,

con i principi sanciti dalla CEDU, anche se resta l’indiscutibile insufficienza del sistema allo stato della normativa vigente. La Corte Europea, che già si era pronun

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ciata affermando la necessità che in ambito carcerario siano rispettati i diritti fondamentali della persona, ed imponendo che la loro eventuale violazione avesse effettivo rimedio (v. decisione 16.07.2009, Sulejmanovic contro Italia), ha del tutto
recentemente ribadito tali principi (si veda caso Torregiani ed altri contro Italia, decisione 08.01.2013) investendo sostanzialmente tre piani diversi ma tra loro funzionalmente collegati: 1) un nuovo disegno delle previsioni sanzionatorie e delle modalità di esecuzione, con più ampio ricorso alle misure alternative, ed un rafforzamento delle strutture logistiche; 2) un sistema che assicuri effettività alla sollecita
eliminazione delle violazioni in concreto rilevate; 3) un esito compensativo per chi
abbia sofferto violazione dei diritti fondamentali. Il primo profilo è di spettanza costituzionale del Legislatore o di competenza del Governo. Per gli altri due il giudice
nazionale, per i casi a lui sottoposti, deve procedere alla ricognizione del sistema,
anche con interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata. In tal
senso va rilevato come, netta sopra citata ultima pronuncia della CEDU, si prenda
atto che il rimedio offerto dall’ordinamento interno dato dalla legge penitenziaria
(con riferimento proprio al reclamo ex art. 35 Ord. Pen.) è ritenuto, con quell’interpretazione che in questa sede si convalida (si citano anche le ordinanze 18.04.2011

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ne.

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del Magistrato di Sorveglianza di Vercelli e 24.12.2011 di quello di Udine, tesi maggioritaria, restando isolata la contraria opinione espressa dal giudice penitenziario di
Lecce in data 09.06.2011), avere carattere preventivo, proprio assolvendo – ove ne
segua effettività di esecuzione – alla funzione di eliminare il protrarsi di eventuali
violazioni. Si tratta di ricorso accessibile, ma la cui reale effettività è limitata dalla
incapacità delle strutture di far fronte al sovraffollamento delle carceri. La stessa
decisione della CEDU, però, come detto, avverte che le accertate violazioni compor-

violazioni (per cui è predisposto lo strumento ex art. 35 Ord. Pen.), ma anche compensativo, e cioè del ristoro per il detenuto che abbia visto riconosciuto la violazione
dei suoi diritti soggettivi, prevedendo perciò la (peraltro già affermata) risarcibilità
di tali riscontrate violazioni. Proprio la scarsa efficacia concreta del rimedio preventivo (che imporrebbe reclami continui, in presenza di una sovraffollamento sistemico), e la ben nota lunghezza della via dell’azione risarcitoria in sede civile hanno
condotto la CEDU ad impartire all’Italia la disposizione di predisporre rimedi appropriati, pronti ed effettivi, e cioè di modificare i ricorsi esistenti o crearne di nuovi.
Non c’è dubbio, in definitiva, che non può trarsi dalla giurisprudenza della CEDU il
principio che l’aspetto compensativo (o risarcitorio), che pure si impone, debba essere compreso di necessità nell’ambito del ricorso alla Magistratura di Sorveglianza,
avendo i giudici comunitari ribadito che il profilo preventivo che ne emerge (che pu

re può rivelarsi in concreto scarsamente efficace) non è esaustivo degli obblighi per
lo Stato, ma non avendo indirizzato una particolare lettura della normativa, ne’ dato
limiti ristretti allo Stato per l’adeguamento. Non è questa la sede per individuare i
percorsi normativi de jure condendo per l’anzidetto sollecito adeguamento sul piano
dei più efficaci rimedi preventivi e, per quel che qui interessa, compensativi (anche
se non mancano nel sistema istituti che possono fornire spunti di riflessione: si pensi all’art. 314 Cod. Proc. Pen.), ferma restando l’imprescindibile necessità di provvedere ai profili logistici ed alle più ampie misure alternative, ma resta la conclusione che lo stato attuale della normativa esclude il profilo compensativo dall’ambito di
competenza della Magistratura di Sorveglianza, ne’ un tanto può direttamente trarsi
dalla giurisprudenza della CEDU.
8. — Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
per questi motivi
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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tano obblighi per lo Stato non solo di carattere preventivo, e cioè di eliminare le

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Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 15 novembre 2013
Il Presidente

Il CoftsigIìere estensore

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