Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3804 del 17/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3804 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ZOSO LIANA MARIA TERESA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CEBRARO GIANLORENZO N. IL 30/03/1949
IANNI’ TIZIANA N. IL 01/07/1965
avverso la sentenza n. 248/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del
10/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.(-ut.’
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 17/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1.La corte d’appello di Torino, con sentenza pronunciata in data 10 febbraio 2014, riformava
parzialmente la sentenza in data 12 marzo 2012 del tribunale di Asti con cui Cebraro
Gianlorenzo, Iannì Tiziana e Messina Giuseppe erano stati ritenuti responsabili del reato di
lesioni colpose in danno di Sanna Mario ed erano stati condannati, quanto a Cebraro e Iannì,
alla pena di mesi tre di reclusione e, quanto al Messina, alla pena di euro 2000 di ammenda. La

di reclusione, sostituita con euro 1140 di multa, e riduceva la pena inflitta a Messina Giuseppe
ad euro 300 di multa.
Secondo l’imputazione, in data 12 luglio 2007 in Villanova d’Asti Sanna Mario,
autotrasportatore incaricato della consegna di merci presso lo stabilimento di Villanova s.p.a,
di cui Cebraro Gianlorenzo era direttore generale, era stato investito dal carrello elevatore
condotto da Messina Giuseppe, dipendente della G.S.A. soc. cooperativa, di cui Iannì Tiziana
era amministratore unico, società la quale aveva stipulato un contratto di appalto relativo alla
movimentazione delle merci della committente Villanova s.p.a.. Il Messina stava procedendo
con le forche alzate di circa 15 cm trasportando delle ceste e, quindi, con visuale a corto raggio
ridotta e coperta dalla presenza di materiale stoccato sul piazzale. Il Cebraro, in qualità di
direttore generale della Villanova S.p.A. con sede in Milano e unità locale in Villanova d’Asti,
era ritenuto responsabile in quanto aveva omesso di predisporre e di far rispettare le regole di
circolazione per le attrezzature semoventi nei piazzali esterni ai capannoni aziendali dell’unità
locale e di adottare misure organizzative tali da evitare che i lavoratori potessero subire danni
alla persona. Iannì Tiziana, in qualità di amministratore unico della G.S.A. Società cooperativa,
appaltatrice dell’attività di carico e scarico merci con utilizzo di carrelli elevatori presso l’unità
locale di Villanova d’Asti, aveva omesso di coordinarsi con la Villanova S.p.A. per l’attuazione
degli interventi di prevenzione e protezione dai rischi derivanti dalla circolazione promiscua di
attrezzature semoventi e di pedoni sui piazzali esterni della Villanova S.p.A.. Al Messina era
ascritto di non aver utilizzato il carrello elevatore secondo le indicazioni fornite dal costruttore
nel manuale dell’operatore e secondo le norme di sicurezza per l’impiego dei carrelli industriali.
Rilevava la corte d’appello che, pur prendendo atto di un comportamento imprudente del
Sanna, appariva provata a vario titolo la responsabilità di tutti gli imputati. Ciò in quanto il
comportamento della vittima non era stato abnorme ma dettato dalla consuetudine tollerata
nel piazzale cui doveva essere aggiunta la mancanza di indicatori circa un divieto di circolare a
piedi. Quanto al divieto cui facevano riferimento gli imputati, si trattava dell’interdizione alla
circolazione nei reparti e non nel piazzale con riferimento non ai pedoni ma alle biciclette.
Inoltre non vi era un’idonea prassi per il ritiro di pacchi, specie se piccoli e da portare a mano.
Infine non erano previsti percorsi per i visitatori né parcheggi decentrati tali da consentire di
uscire dai mezzi e recarsi in ufficio con sicurezza. Dunque il Cebraro non aveva predisposto né
coordinato in modo esaustivo ed efficace il traffico promiscuo nel piazzale né vi era una reale e
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corte d’appello rideterminava la pena inflitta a Cebraro Gianlorenzo e Iannì Tiziana in mesi uno

concreta documentazione circa l’effettiva valutazione del rischio e la sua eliminazione o
riduzione. Inoltre il fatto di aver concesso in appalto la movimentazione di carichi non
eliminava la responsabilità legata alla mancanza di regole nell’azienda circa il traffico nel
piazzale in quanto tale negligenza non era strettamente connessa con il contratto d’appalto,
tenuto conto che rimaneva a suo carico l’attività di coordinamento per evitare rischi
interferenziali anche per i visitatori. Il datore di lavoro, invero, era garante della sicurezza di
tutti coloro che a vario titolo entravano nella struttura e la G.S.A., a tal proposito, non aveva

coordinare il lavoro dei dipendenti e non avrebbe dovuto appiattirsi sulla prassi consentita dal
datore di lavoro che aveva concesso in appalto il servizio. Inoltre aveva il compito di evitare
rischi interferenziali nonché di chiedere ai propri dipendenti la massima attenzione anche
attraverso idonee istruzioni.
2.Avverso la sentenza della corte d’appello proponevano ricorso per cassazione Cebraro
Gianlorenzo, a mezzo del suo difensore, e Iannì Tiziana.
3.11 Cebraro deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la corte d’appello era
incorsa in contraddittorietà e manifesta illogicità in relazione alla ricostruzione del nesso
causale tra le condotte addebitate all’imputato e l’infortunio occorso alla persona offesa. Invero
il comportamento della vittima era da ritenersi causa esclusiva dell’occorso poiché aveva
posteggiato il proprio autoveicolo all’interno del piazzale esterno adibito ad operazioni di carico
e scarico della merce al di fuori degli appositi stalli destinati alla sosta e senza attendere
l’intervento del personale e dei mezzi autorizzati a ricevere in consegna i pacchi. Si trattava di
un comportamento del tutto eccentrico rispetto alle allora vigenti procedure di sicurezza
interna e, come tale, abnorme ed imprevedibile, sì da elidere il nesso causale tra le condotte
addebitate all’imputato e l’evento lesivo verificatosi in concreto. Ciò in quanto l’accesso degli
autotrasportatori era, all’epoca dei fatti, espressamente regolamentato mediante la
predisposizione di apposite procedure operative e comportamentali finalizzate a prevenire il
verificarsi di interazioni pericolose tra uomini e mezzi in circolazione all’interno dello
stabilimento. Tali procedure erano rese note a ciascun autotrasportatore in occasione di ogni
ingresso all’interno dello stabilimento anche mediante le istruzioni recate in calce al buono di
entrata consegnato al momento della registrazione del transito. Così era accaduto al Sanna al
suo ingresso nelle stabilimento ed il buono d’ingresso, che era stato acquisito agli atti del
fascicolo del dibattimento, recava l’indicazione delle istruzioni comprensive della planimetria
dello stabilimento e delle direttive da rispettare nella circolazione dei mezzi, inclusa la velocità
di percorrenza e l’espresso divieto di allontanarsi dal proprio mezzo in sosta. Né sussistevano
prassi consapevolmente tollerate o assecondate dai responsabili della sicurezza, come era
stato confermato dal teste Giuseppe Lo Savio, autotrasportatore escusso su indicazione della
parte civile, il quale aveva dichiarato che il foglio veniva consegnato insieme ai documenti ed
egli era solito rispettare la regola, che costituiva la prassi in tutti gli stabilimenti, di stare vicino
al proprio mezzo. Inoltre il teste Cardona aveva affermato che il Sanna non aveva
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nessun potere organizzativo. Quanto alla Iannì, ella aveva il compito di organizzare e

parcheggiato negli stalli previsti ed aveva lasciato il mezzo nel piazzale trovandosi a ridosso di
un portone dove potevano transitare solo i carrelli.
La corte territoriale aveva omesso di fornire idonea motivazione in ordine alla irrilevanza degli
elementi di prova richiamati in relazione al tema dell’esclusione della valenza interruttiva del
nesso causale e si era limitata a richiamare considerazioni già espresse sul punto dal giudice di
primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in ordine

risultato documentatannente provato nel corso del dibattimento che sul piazzale era collocata
idonea segnaletica verticale proprio a lato del varco di transito dei carrelli costituita da due
cartelli, uno dei quali recava l’espresso divieto agli autisti degli autocarri esterni di circolare nei
reparti. La società Villanova S.p.A. aveva ottemperato alle norme preventistiche di cui
all’articolo 7, comma secondo lettere a e b, del decreto 626/94 in quanto aveva provveduto a
consegnare ai dipendenti della G.S.A., società esterna incaricata delle operazioni di carico e
scarico delle merci presso lo stabilimento di Villanova d’Asti, apposito documento recante la
comunicazione di rischio dell’impresa appaltatrice contenente una puntuale ed esaustiva
indicazione dei rischi oggetto di valutazione, tra cui il pericolo di investimento di pedoni e di
urto tra veicoli localizzati in tutte le aree esterne, sicché la responsabilità non poteva che
gravare in via esclusiva sull’appaltatore, data la mancanza di ingerenza del committente
nell’attività che lo stesso doveva svolgere.
4.Iannì Tiziana deduceva vizio di motivazione della sentenza impugnata laddove era stata
ritenuta la sussistenza della sua responsabilità concorsuale nel reato contestato. In particolare,
alla Iannì era stato ascritto di aver omesso di coordinarsi con la Villanova S.p.A. per prevenire i
rischi per i lavoratori e la corte territoriale aveva ritenuto applicabili gli articoli 7 ed 8 del
decreto legislativo 626/94 che erano volti a tutelare i dipendenti delle società interessate dal
contratto di appalto mentre Sanna Mario non era dipendente della Villanovanova S.p.A. né
della G.S.A. e non era, dunque, contemplato in dette norme.
La corte d’appello, perciò, non aveva motivato in ordine all’applicabilità delle norme citate al
caso concreto e neppure in ordine al fatto che era emerso che la Iannì non aveva alcun potere
circa la regolamentazione e la sicurezza della circolazione nei piazzali, per cui non era
addebitabile alla stessa la violazione dell’articolo 8 del d.p.r. 547/55. Inoltre non aveva
specificato la corte di merito quali condotte avrebbe dovuto tenere in concreto l’imputata
mentre, per contro, era emerso che la G.S.A. aveva fornito ai propri dipendenti carrelli
elevatori in ottimale stato d’uso e manutenzione, aveva iscritto i propri dipendenti a corsi di
formazione ed aveva affidato i propri mezzi soltanto a personale esperto. Infine non era stato
considerato che la G.S.A. non aveva poteri in ordine alla circolazione interna ai piazzali ove
avvenivano il carico e lo scarico delle merci, così come riferito dal teste Baldi della polizia
giudiziaria, il quale aveva dichiarato che non risultava che la società stessa disponesse di alcun
potere di coercizione o di pressione nei confronti della Villanova qualora avesse rilevato delle
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alla ricostruzione del profilo di colpa specifica e generica addebitatagli. Ciò in quanto era

carenze in punto di sicurezza. Ciò in quanto il piazzale ed il relativo magazzino si trovavano
all’interno di un più ampio complesso di capannoni di proprietà della Villanova S.p.A. e tale
area, interamente dedicata la logistica delle merci, era recintata mentre l’accesso veniva
regolamentato da personale della Villanova S.p.A. medesima. Al momento dell’ingresso gli
autisti erano indirizzati alle rispettive aree di carico e scarico e muniti di un documento di
accesso che riportava le regole imposte dalla Villanovanova S.p.A. a tutti coloro che
circolavano all’interno dei piazzali e dei capannoni. Dunque gli autotrasportatori erano obbligati

dove dovevano inderogabilmente attendere l’arrivo del personale interno addetto al carico e
scarico delle merci senza allontanarsi dal proprio mezzo mentre le aree antistanti i capannoni
per lo stoccaggio delle merci erano riservate alla circolazione dei soli carrelli ed inibite al
passaggio pedonale.
Nel contratto d’appalto stipulato da Villanova s.p.a. e G.S.A. soc. cooperativa era previsto che i
dipendenti della seconda avrebbero svolto attività di logistica per conto terzi all’interno di
un’area d’accesso controllato ove si sarebbero trovati soltanto i carrelli incaricati del carico e
scarico delle merci mentre i camionisti avrebbero dovuto rimanere in prossimità del proprio
mezzo. Si trattava, dunque, di area priva di rischi specifici non essendo prevista la circolazione
di personale diverso da quello della G.S.A. . Ne derivava che non incombeva sull’imputata
Iannì l’obbligo di valutare tutti i rischi interferenziali e la sentenza impugnata non recava
motivazione alcuna in ordine al fatto che, nel quadro presentato alla predetta in sede di stipula
del contratto di appalto, i detti rischi erano risultati insussistenti. Si doveva considerare, infine,
che la G.S.A. aveva assunto l’appalto solo 11 giorni prima del sinistro ed era nell’impossibilità
effettiva di porre in essere qualsivoglia attività volta a modificare lo stato dei luoghi, anche nel
caso essi fossero stati ritenuti insicuri.

CONSIDERATO IN DIRITTO
5.0sserva la corte che il ricorso proposto da Cebraro Gianlorenzo è infondato.
Invero, le questioni esposte dal Cebraro e ribadite in questo giudizio di legittimità sono state
ampiamente esaminate dal giudice di primo grado e dalla corte di appello che ha fatto richiamo
alla sentenza del tribunale.
E’ necessario premettere, in via generale, che costituisce orientamento consolidato di questa
Corte quello secondo il quale, in presenza di una doppia conforme affermazione di
responsabilità, va ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello per
relationern a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la
sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati
e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli
elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
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a seguire un percorso specifico e definito destinato a riportarli nelle rispettive aree di sosta

primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e
criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione,
tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di

Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv.
252615; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 4/02/1994, Alberganno ed altri, Rv. 197250).
Il giudice di primo grado ha rilevato che dalle deposizioni dei testi escussi in dibattimento
erano emersi dati sostanzialmente pacifici che permettevano di individuare correttamente le
caratteristiche logistiche e di concreto utilizzo della via di transito ove era avvenuto il sinistro
con riferimento al momento dell’infortunio in quanto era risultato accertato che la via di
circolazione riprodotta nelle fotografie scattate pochi giorni dopo il sinistro correva tra la parte
più remota rispetto al capannone C, ove venivano normalmente lasciati mezzi in attesa di
scaricare, e la zona ove si era verificato l’infortunio, vicina alla porta d’ingresso per i pedoni del
capannone; ed era risultato pacifico, alla luce delle testimonianze assunte, che la via di transito
era liberamente e promiscuamente utilizzata tanto dai lavoratori che si muovevano a piedi
quanto dai carrelli trasportatori e da altre attrezzature semoventi in uso nello stabilimento. In
particolare i testi Sanna, ispettore Baldi, Cardona e Lo Savio, ed anche l’imputato Messina nel
corso dell’interrogatorio, avevano chiarito che il percorso compiuto dal lavoratore infortunato
era l’unico consentito per recarsi dalla postazione ove venivano lasciati gli autocarri in attesa di
scaricare ed il sito deputato allo scarico ove, infatti, era situato un accesso dedicato i pedoni.
Ha dato conto il tribunale di come i testi avessero dichiarato che tale spostamento fosse
estremamente frequente e di come, dunque, fosse decisamente usuale il transito dei pedoni
sulla via della circolazione dedicata al transito dei carrelli.
Quanto alla circostanza che la porta d’accesso al capannone C, vicino al quale si è verificato
l’incidente, recava il divieto di accesso ai pedoni, ha rilevato il tribunale che la foto ingrandita
della segnaletica evidenziava che il divieto di transito e di accesso riguardava solo le biciclette.
Da tali elementi fattuali il tribunale ha evinto il giudizio di colpevolezza dell’imputato basato
sulla considerazione che egli non aveva predisposto percorsi dedicati ai pedoni, pur essendosi
instaurata una prassi tale per cui era normale il passaggio sulle vie di circolazione dei carrelli in
contemporanea con pedoni, fossero essi dipendenti della Villanova s.p.a. addetti al ritiro dei
documenti o autotrasportatori esterni in attesa di scaricare merci. Ed ha dato conto il tribunale
che l’istruttoria aveva consentito di accertare come non esisteva, in funzione dell’utilizzo della
via di transito, alcun tipo di segnaletica né specchi che permettessero ai pedoni di verificare
l’eventuale passaggio di carrelli; inoltre all’epoca dell’infortunio non esisteva alcun piano di
viabilità aziendale né, comunque, alcuna specifica direttiva di fonte aziendale in ordine alle
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merito costituiscano una sola entità (Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 1/07/2013,

modalità di utilizzo da parte di lavoratori a piedi e conducenti di carrelli della via di
circolazione, risultando sul punto pienamente concordi le deposizioni di tutti testi escussi in
dibattimento i quali avevano sottolineato come, di fatto, il corretto utilizzo della via di
circolazione fosse completamente rimesso all’attenzione ed alla prontezza dei singoli lavoratori,
non esistendo alcuna delimitazione a terra della zona percorribile dai pedoni rispetto a quella
riservata ai carrelli. Tutto ciò concretava violazione dell’articolo 8 del d.p.r. numero 547/55,
che prescriveva che le vie di circolazione dovessero essere situate e calcolate in modo tale che

specie, era risultato pacifico che la via di circolazione era promiscuamente utilizzata da pedoni
e carrelli trasportatori nonché da altre attrezzature semoventi. Il vertice aziendale aveva
omesso qualsiasi apposizione di segnaletica e, comunque, qualsiasi previsione organizzativa
idonea ad apprestare effettivamente una distanza di sicurezza per la zona impegnata dai
pedoni e quella adibita all’uso dei carrelli affidando unicamente all’attenzione ed alla prudenza
dei lavoratori ivi impegnati la sicurezza dell’utilizzo delle vie di transito. Ciò concretava
violazione, da parte dell’imputato, della norma di cui al comma 5 dell’articolo 8 del d.p.r.
547/55, laddove prescrive che il tracciato delle vie di circolazione deve essere evidenziato.
I giudici di merito, dunque, hanno ampiamente motivato in ordine alla insussistenza dei
presidi prevenzionistici alla cui predisposizione era tenuto il Cebraro nella qualità di datore di
lavoro e della inidoneità del comportamento, seppure imprudente, del Sanna ad elidere il
rapporto di causalità tra l’omissione riscontrata e l’evento, tenuto conto del principio espresso
dalla corte di legittimità secondo cui il responsabile della sicurezza sul lavoro, che ha
negligentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non può invocare, quale causa di
esenzione dalla colpa, l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte
imprudenti da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a
salvaguardare l’incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse
disattenzioni, imprudenze o disubbidienze, purché connesse allo svolgimento dell’attività
lavorativa ( cfr., ex pluríbus, Sez. 4, n. 18998 del 27/03/2009, Trussi e altro, Rv. 244005).
Neppure poteva ritenersi causa esimente della responsabilità l’instaurarsi di una prassi da
parte dei trasportatori, tra i quali il Sanna, contraria alle istruzioni impartite al momento
dell’accesso che prescrivevano di non allontanarsi a piedi dal mezzo. Invero è stato affermato il
principio per cui il datore di lavoro deve controllare il rispetto delle disposizioni di legge e di
quelle, eventualmente in aggiunta, impartite sicché nel caso che nell’esercizio dell’attività
lavorativa si instauri una prassi “contra legem”, foriera di pericoli per gli addetti, in caso
di infortunio la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza
circa la pericolosa prassi operativa instauratasi integra il reato di lesione colposa aggravato
dalla violazione delle norme antinfortunistiche ( cfr. Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004,
Policarpo, Rv. 228344).
6. Il ricorso proposto da Iannì Tiziana è parimenti infondato.

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i pedoni e i veicoli potessero utilizzarle facilmente in piena sicurezza, mentre, nel caso di

E’ necessario premettere, in via generale, che costituisce orientamento consolidato della corte
di legittimità quello secondo il quale, in presenza di una doppia conforme affermazione di
responsabilità, va ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello per
relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la
sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati
e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli
elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni

primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e
criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile
al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione,
tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di
merito costituiscano una sola entità (Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 1/07/2013,
Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv.
252615; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 4/02/1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
Ora, la sentenza di primo grado, la cui motivazione si integra con quella di appello, evidenzia,
nella sostanza, che con la stipula del contratto di appalto per la movimentazione delle merci
per conto della Villanova s.p.a. la Iannì, per conto della società G.S.A., si era assunta l’obbligo
di operare con mezzi meccanici in un contesto operativo nel quale, per le ragioni esposte, la
violazione di norme antinfortunistiche a tutela dei pedoni era palese, data la prossimità in cui
operava la società appaltatrice, sicché l’imputata ha consapevolmente assunto il rischio di
espletare l’attività ottenuta in appalto in situazione di illegittimità, dal che deriva l’attribuibilità
a titolo di colpa dell’infortunio occorso.
I ricorsi vanno dunque rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.
P. Q. M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17.12.2014.

sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il

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