Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38030 del 09/05/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38030 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: VERGA GIOVANNA

Data Udienza: 09/05/2018

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALECI GIUSEPPE N. IL 01/09/1976
RICHICHI GASPARE N. IL 16/04/1984
avverso la sentenza n. 2752/2016 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 01/04/2017
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2018 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. /< -.e., F',"‹ , , e r che ha concluso per ->
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MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorrono per Cassazione ALECI Giuseppe e RICHCHI Gaspare avverso la sentenza
della Corte d’Appello di Palermo che il 12.1.2017 ha confermato la sentenza del
Tribunale di Marsala che li aveva condannati per concorso in tentata estorsione in
danno di Galante Fabio e Matteo Branciamore perché, presentandosi come responsabili
di un progetto editoriale che avrebbe curato la pubblicazione dell’autobiografia della

pubblicazione il loro nome associato ad imbarazzanti rapporti sessuali, se non
avessero loro consegnato somme di denaro, pretestuosamente ricondotte ad una
forma di partecipazione alla medesima iniziativa economica.
ALECI Giuseppe lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla
richiesta di intervenuta desistenza evidenziando che le richieste economiche erano
sempre avvenute alla luce del sole e alle stesse era già stata data ampia pubblicità con
la conseguenza che il servizio delle Iene non aveva generato alcun rischio di essere
scoperti.
RICHICI Gaspare deduce violazione di legge con riguardo alla sussistenza del reato
considerato che tutto si è svolto nei limiti del lecito sia per quanto riguarda il mezzo
che lo scopo. Nessuno scopo non consentito si erano prefigurati gli agenti. E nessun
ingiusto profitto è stato perseguito in quanto la soluzione convenuta con il Galante e
contrattata con il Branciamore era rispettosa degli equilibri e degli interessi di tutte le
parti. Senza considerare che le persone citate nel libro della pornostar erano tutti degli
ex e quindi desiderosi di rinnovare la loro notorietà con la conseguenza che non è
ravvisabile neppure la minaccia.
I ricorsi sono inammissibili in quanto i ricorrenti si sono limitati a prospettare una
alternativa ricostruzione dei fatti e delle responsabilità sulla base esclusivamente di
deduzioni in punto di fatto, per di più articolate in forza di argomentazioni nella
sostanza aspecifiche. I motivi proposti risultano, pertanto, solo formalmente evocativi
dei prospettati vizi di legittimità, ma in concreto l’enunciato impugnatorio appare
essere genericamente sviluppato sulla base di rilievi di merito, tendenti ad una
rilettura del compendio probatorio e ad una rivalutazione delle relative statuizioni
adottate dalla Corte territoriale. Statuizioni che sono state sviluppate sulla base di un
esauriente corredo argomentativo, proprio sui punti – insussistenza, con riguardo alla
condotta riguardante il Galante, della desistenza volontaria perchè i segnali di non
voler portare avanti la condotta si avevano solo dopo la realizzazione del servizio delle
Iene sulla vicenda, quando ormai erano chiari agli imputati gli insostenibili rischi che
correvano, una volta che il piano delittuoso era diventato di dominio pubblico e con
l

pornodiva Sonia Facci, minacciavano Branciamore e Galante di fare comparire in tale

riguardo alla condotta in danno di Brancimore perché la prima mail, con cui si
dicevano disposti a discutere era del 10.1.2011, quando ormai si erano resi conto non
solo della particolare capacità di resistenza opposta dalla vittima, grazie all’assistenza
ed interlocuzione del legale, ma anche degli insostenibili rischi che avrebbero corso se,
come preannunciato dal difensore, si fossero rivolti alla autorità giudiziaria;
sussistenza della minaccia e dell’ingiusto profitto evidenziando la pretestuosità della
“proposta editoriale”che costituiva solo un espediente per non ostentare una richiesta

l’eliminazione delle parti più significative del libro riguardanti le narrazioni dei soggetti
chiamati a sborsare somme di denaro, avrebbe reso alla fine l’iniziativa chiaramente
non attuabile, essendovi ben poco da pubblicare una volta ottenuto da tutti il denaro e
la sussistenza della carica intimidatoria della condotta stante le gravi conseguenze che
potevano derivare sul piano dell’immagine – in relazione ai quali i ricorrenti hanno
svolto in questa sede le rispettive censure, evidentemente tese ad un improprio
riesame del fatto, estraneo al perimetro entro il quale può svolgersi il sindacato
riservato a questa Corte.
D’altra parte, entrambi i ricorrenti hanno finito per reiterare le stesse questioni di fatto
già agitate in sede di appello e motivatamente disattese dai giudici di quel grado,
senza che il relativo apporto motivazionale abbia poi formato oggetto di una autonoma
ed argomentata critica impugnatoria concentrata su vizi di legittimità. Il che rende i
motivi inammissibili perché nella sostanza generici. La giurisprudenza di questa Corte
è infatti ormai da tempo consolidata nell’affermare che deve essere ritenuto
inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse
ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi
considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere
apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche
per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata
e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non
può ignorare le esplicazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità
che conduce, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della
impugnazione.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro 2.000,00
ciascuno, nonché alla rifusione in solido della parte civile Branciamore Matteo che
liquida in € 3.000,00 oltre spese generali CPA ed IVA

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diretta di denaro, considerato che una simile partecipazione, comportando

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 ciascuno a favore della Cassa delle
ammende, nonché alla rifusione in solido della parte civile Branciamore Matteo che
liquida in C 3.000,00 oltre spese generali CPA ed IVA

Così deliberato in Roma il 9.5.2018

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