Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38018 del 06/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 38018 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: TADDEI MARGHERITA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Di Giovanni Giuseppe nato il 18-11-1962
Di Giovanni Francesco nato il 27-02-1961
Alia Massimiliano nato il 30-09-1977
Di Giovanni Giuseppe nato il 06-01-1976
avverso la sentenza n.469/2017 della Corte d’appello di Torino, sezione la, del
06.06.2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Margherita B. Taddei;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Olga
Mignolo, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio limitatamente al motivo
n.13 del ricorso di Di Giovanni Giuseppe Classe 1962 con rideterminazione pena e
inammissibilità’ nel resto del ricorso; inammissibilità’ dei ricorsi di Di Giovanni
Francesco, Alia Massimiliano e Di Giovanni Giuseppe CL. 1976
1

Data Udienza: 06/03/2018

Udito per le p,c, l’avvocato D’agostino Dario in difesa di: Napoli Mario Roberto, e in
qualità’ di sostituto processuale dell’avvocato D’agostino Roberto in difesa di: Napoli
Mario Roberto, Guarnieri Giovanni, Napoli Fedele, Napoli Stefano, Petrarchin Nadia,
Napoli Rosario e Donnarumma Filomena che si associa alle conclusioni del P.G. e
deposita nota spese chiedendone la liquidazione anche per l’avvocato D’agostino
Roberto oggi sostituito;
Udito l’avvocato Palumbo Cosimo in difesa di: Di Giovanni Giuseppe si riporta ai

Giovanni Giuseppe, e in qualità’ di sostituto processuale dell’avvocato Ronco Mauro
in difesa di: Di Giovanni Giuseppe chiede l’accoglimento dei motivi di ricorso.

MOTIVI della DECISIONE
La sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza in data
30.5.2016 del GUP del Tribunale di Novara, che aveva proceduto con il rito
abbreviato condizionato alla redazione di una perizia contabile, pronunciandosi
nei confronti di DI GIOVANNI Giuseppe (classe 1962), DI GIOVANNI
Francesco, ALIA Massimiliano e DI GIOVANNI Giuseppe (classe 1976),ed in
relazione alla imputazione di associazione a delinquere, a vari episodi di usura,
ad alcuni fatti di estorsione aggravata, e di violazione della legge sulle armi , di
riciclaggio e violazione dell’art. 132 D.L.vo 385/1993 ,dichiarava inammissibile
l’appello proposto dal Pubblico Ministero; assolveva Di Giovanni Giuseppe (classe
1962) e Di Giovanni Francesco dal reato loro ascritto al capo 1) perché il fatto non
sussiste;rideterminava la pena per Di Giovanni Giuseppe (classe 1962),
riqualificato il fatto di cui al capo 24) ai sensi dell’art. 611 c.p., in anni sei, mesi
sei giorni dieci di reclusione ed € 4600 di multa, per Di Giovanni Francesco in anni
tre mesi sei di reclusione ed € 4000 di multa, per Di Giovanni Giuseppe (classe
1976) in anni due mesi quattro di reclusione ed € 1400 di multa;revocava la
misura di sicurezza della libertà vigilata applicata a Di Giovanni Giuseppe
(classe 1962);confermava nel resto l’appellata sentenza e condannava Alia
Massimiliano al pagamento delle spese processuali del grado.
Avverso detta sentenza propongono ricorso gli imputati per mezzo dei rispettivi
difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

Giuseppe Di Giovanni (classe 1976)
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motivi chiedendone l’accoglimento; l’avvocato Barlassina Enrico in difesa di: Di

a) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione all’art. 648 bis
c.p., ed alla qualificazione giuridica del reato di cui all’art. 132, d.lgs. 1.9.1993, n.
385, ritenuto presupposto del delitto di riciclaggio , nonché per mancanza,
contraddittorietà e illogicità della motivazione, in ordine al ritenuto svolgimento nei
confronti del

pubblico dell’attività finanziaria integrante il suddetto reato

presupposto.
All’epoca del fatto attribuito a Giuseppe Di Giovanni (classe 1976), l’art. 132 d.lgs.

delitto di esercizio abusivo dell’attività finanziaria, contraddistinta dallo svolgimento
di tale attività “nei confronti del pubblico”; al secondo comma, la contravvenzione
concernente lo svolgimento di attività finanziaria “in via prevalente, non nei confronti

del pubblico”. Era, dunque, ritenuto integrato il delitto quando il soggetto, svolgente
una delle attività previste dall’art. 106, 1° co. d.lgs. 385/1993, si fosse inserito
abusivamente nel libero mercato, con conseguente sottrazione ai controlli di
affidabilità e stabilità, ed avesse operato indiscriminatamente tra il pubblico.
L’attività svolta doveva essere professionalmente organizzata con modalità e
strumenti tali da prevedere e consentire la concessione sistematica di un numero
indiscriminato di finanziamenti e doveva rivolgersi ad un numero di persone
potenzialmente indeterminato, con una latitudine di gestione tale da farla
trasmigrare dal settore privato a quello pubblico e da ricondurla, quindi, nell’ambito
di operatività della legge bancaria (Cass., Sez. I, 3.6.2003, n. 36051; Cass., Sez. VI,
12.2.1999, n. 5118). La Corte di Appello avrebbe, dunque, dovuto specificamente
valutare se, già nell’iniziale e limitato arco temporale relativo all’anno 2007, erano
presenti tutti gli elementi necessari a qualificare l’attività finanziaria di Giuseppe Di
Giovanni (classe 1962) come svolta nei confronti del pubblico.
b) La difesa lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., il vizio della
sentenza impugnata per violazione degli artt. 43, 648 bis c.p., nonché per
mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, in ordine alla ritenuta
sussistenza del dolo del delitto di riciclaggio.
Il ricorso è manifestamente infondato, perché la tesi della difesa contrasta con la
ricostruzione,in fatto, della Corte di merito.
La Corte ha infatti affermato che il reato presupposto del riciclaggio ascritto al
ricorrente è il finanziamento a Ferro Fabrizio, commesso in violazione dell’art. 132
D.L.vo385/1993 di cui al capo 15) lett. d) essendo stato provato ( e non contestato con
l’appello) che sono stati tratti sei assegni dell’importo di € 10.000 ciascuno dal conto

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n

385/1993 prevedeva, infatti, due distinte fattispecie di reato : al primo comma, il

corrente intestato a Ferro Fabrizio ed acceso presso il Banco Popolare di Milano —
filiale di Pomezia; un assegno (sempre dell’importo di € 10.000) è invece stato tratto
dal conto corrente intestato a Iorio Barbara, convivente di Ferro; tutti i titoli sono
stati emessi con l’indicazione del beneficiario M.M. (“me medesimo”) e sono girati
da Ferro ed incassati da Di Giovanni Giuseppe, ad eccezione di quello incassato da
Schiavon Ravazzolo, il quale ha dichiarato di avere ricevuto il titolo
dall’imputato in pagamento di premi assicurativi.

Giuseppe sul suo conto corrente e sono stati utilizzati, insieme ad altri provenienti da
Parisi Fabrizio, per costituire la provvista utilizzata per l’acquisto di un immobile
sito in Veneto (cfr. perizia -relazione integrativa p. 20, 21).La tesi che l’attività
finanziaria posta in essere dallo zio del ricorrente integrerebbe la contravvenzione di
cui all’art. 132 co. 2 Divo 385/1993 è stata disattesa dalla Corte dal momento che
l’attività di finanziamento posta in essere dallo zio Di Giovanni Pino non solo era
rivolta ad una clientela diffusa ed indeterminata, ma era anche organizzata
come specificatamente evidenziato dalla Corte in relazione al reato di cui al capo 15).
Essendo indubbia, quanto al reato sub 15) lett. d), l’integrazione della fattispecie di
cui all’art. 132 co. 1 D.L.vo 385/1993 il reato presupposto del fatto contestato al capo
25) è da individuarsi in un “delitto non colposo”, come richiesto dall’art. 648 bis c.p.I
Precisa ancora la Corte che i passaggi di denaro sopra descritti integrano
pacificamente l’elemento oggettivo del reato, dal momento che è emerso
pacificamente che gli assegni ricevuti da Di Giovanni Giuseppe non avevano causa in
rapporti diretti tra Ferro e il ricorrente.
Alla luce della esaustiva e coerente motivazione della Corte di merito, che non merita
censure essendo fondata in fatto ed in diritto, il motivo di ricorso che prospetta una
diversa configurazione dell’attività illecita posta in essere da Di Giovanni Pino si
atteggia come una alternativa ricostruzione dei fatti che non pu formare oggetto di
ricorso di legittimità ,essendo smentita da una decisione di merito,doppia conforme.

Di Giovanni Francesco e Alia Massimiliano,
1) In relazione al Capo 13 d’imputazione, violazione ed erronea applicazione dell’art.
629 c.p. in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. e contestuale mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 606,
comma 1, lett. e), c.p.p.;
2) In relazione al Capo 14) d’imputazione, violazione ed erronea applicazione dell’art.

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Gli assegni per il complessivo importo di € 70.000 sono stati versati da Di Giovanni

629 c.p. in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. e contestuale mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 606,
comma 1, lett. e), c.p.p.;
Il ricorso

è fondato esclusivamente su censure aspecifiche e prive della

necessaria correlazione con il contenuto della decisione impugnata
compiutamente motivata con discorso giustificativo logico e immune da
interne contraddizioni ed ancorata agli elementi di fatto accertati.I1 requisito

porre il giudice dell’impugnazione in grado di individuare i punti e i capi del
provvedimento impugnato oggetto delle censure: inerisce al concetto stesso di
“motivo” di impugnazione l’individuazione di questi punti ai quali la censura
si riferisce (Sez. 4, n. 25308, 06/04/2004, Maviglia, rv. 228926). Si tratta di
un requisito espressione di un’esigenza di portata generale, che implica, a
carico della parte, non solamente l’onere di dedurre le censure che intende
muovere a uno o più punti e le ragioni per le quali si ritiene ingiusta o contro

legem la decisione, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di
individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato (Sez. 4, n.
24054, 01/04/2004, Distante, rv. 228586).

DI GIOVANNI Giuseppe (classe 1962)

1) Violazione dell’art. 603 comma 5 c_tp.p. Erronea applicazione di legge
processuale penale in relazione all’art. 603 c.p.p. (art.

606 lett. b) c.p.p.)

.Mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606 lett. d) c.p.p.) Con motivi
aggiunti ai sensi dell’art. 585 comma IV c.p.p. la difesa di Di Giovanni
Giuseppe chiedeva alla Corte di Appello di disporre la rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale per acquisire la documentazione ivi indicata,
ritenuta necessaria ai fini della decisione in relazione ai fatti di cui ai capi 5-6, 13,
14 e 23 dell’imputazione.La Corte territoriale, all’udienza del 06.06.2017,
nonostante la richiesta ex art. 603 c.p.p., ha invitato le parti a discutere, e
all’esito della camera di consiglio ha pronunciato il dispositivo della sentenza
impugnata.

2) Capo 3 dell’imputazione
2) Erronea applicazione di legge penale in relazione agli artt. 192 commi 1 e 2

5

della specificità dei motivi trova la sua ragione di essere nella necessità di

c.p.p., 533 comma 1 cp.p. e e 644 cp e comunque manifesta illogicità della
motivazione. La motivazione a sostegno della condanna per il reato di cui al
capo 3 dell’imputazione risulta manifestamente illogica e non conforme ai
principi in materia di valutazione delle prove.La manifesta illogicità della
motivazione emerge in primo luogo laddove si consideri che la stessa persona
offesa, Conte Francesco (marito di Donato Stella e

dominus della MD

Escavazioni), ha negato di aver mai ricevuto prestiti da Di Giovanni
Giuseppe ed ha ricordato di aver venduto al predetto una pala meccanica.

La valutazione di inattendibilità di quanto dichiarato da Conte Francesco è
erronea, carente e manifestamente illogica, atteso che le dichiarazioni dallo
stesso rese non sono smentite da altri elementi, né tanto meno sono emersi nel
giudizio, né indicati in sentenza, elementi concreti per ritenere che egli temesse
Di Giovanni Giuseppe.

3) Capo 5 dell’imputazione.
3)- Erronea applicazione di legge penale in relazione agli artt. 192 commi 1 e 2
c.p.p., 533 comma 1 c.p.p. e 644 c.p., e comunque mancanza e manifesta
illogicità della motivazione. La Corte di Appello ha confermato la condanna
di Di Giovanni Giuseppe per il reato di usura contestato al capo 5
dell’imputazione non facendo corretta applicazione dei principi in materia di
valutazione della prova e non rispondendo alle censure difensive contenute
nell’atto di appello.La motivazione della sentenza impugnata è carente in
primo luogo in relazione alla valutazione di attendibilità delle persone offese,
costituite parte civile, e alla credibilità di quanto dalle stesse dichiarato.

4) Capo 6 dell’imputazione.
4)-Erronea applicazione di legge penale in relazione agli artt. 192 commi 1 e 2
c.p.p., 533 comma 1 c.p.p. e 644 c.p., e comunque manifesta illogicità della
motivazione. In relazione alla condanna per il reato di cui al capo 6
dell’imputazione la motivazione della sentenza impugnata va censurata in
primo luogo in relazione al giudizio di attendibilità delle persone offese.Come
già osservato in relazione al capo 5) dell’imputazione, le dichiarazioni delle
persone offese in relazione al prestito di cui al capo 6) sono contraddittorie e
non confermate, anzi smentite, dalle prove documentali.

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A

5) Capo 13 dell’imputazione.
5)-Erronea applicazione di legge penale in relazione agli artt. 629 e 393 c.p. e
art. 56- 629 c.p., e comunque mancanza e manifesta illogicità della motivazione

6) Capo 14 dell’imputazione.
6) Erronea applicazione di legge penale in relazione agli artt. 192 commi 1 e

confermato la condanna dell’odierno ricorrente ritenendo provate le minacce
di cui ai punti b), c) e d) del capo di imputazione, richiamando, in relazione
alle condotte di cui al punto a) quanto osservato relativamente al capo 13
dell’imputazione. A tale conclusione il Giudice di secondo grado giunge in
virtù della ritenuta “coerenza interna delle deposizioni, più volte reiterate,

l’assenza di intenti calunniatori, ed anzi il timore più volte dimostrato nei
confronti di Pino Di Giovanni…” e della asserita presenza di plurimi riscontri
esterni, citando al riguardo gli incontri tra la persona offesa e l’imputato
monitorati dalla Forze dell’Ordine e anche registrati (sent. p. 65-66). La Corte
territoriale,tuttavia, ha valutato solo parzialmente i rilievi difensivi relativi
alla valutazione della credibilità della persona offesa contenuti nell’atto di
appello.

7) Capo 15 dell’imputazione.
7) Erronea applicazione di legge penale in relazione all’art. 132 TUB e
comunque manifesta illogicità della motivazione. La Corte di Appello,
disattendendo le doglianze difensive, ha ritenuto corretta la
qualificazione dei fatti contestati al capo 15 dell’imputazione ai sensi del
primo comma dell’art. 132 Divo 385/1993 (anziché del co. 2, come vigente
prima delle modifiche introdotte con D.1.vo 141/2010) . le dichiarazioni di
Guarneri Giovanni (teste-persona offesa, della cui attendibilità si è già
trattato nel motivo relativo al capo 14) non sono fornite di riscontri e quanto
dichiarato degli altri testi non fornisce alcuna prova in merito ad un’attività di
finanziamento svolta nei confronti del pubblico.Le dichiarazioni di Ferro Fabrizio
riportate in sentenza danno conto di una -.intensa attività commerciale” di
Borgo Service, ma non di un’attività di finanziamento rivolta al pubblico.Allo
stesso modo non costituisce prova dello svolgimento da parte dell’odierno

2 c.p.p.,533 comma 1 c.p.p. e 629 cod.pen.. La Corte di Appello ha

ricorrente di un’attività finanziaria rivolta ad un numero indeterminato di
persone la circostanza che egli abbia consegnato a Napoli Fedele degli assegni
in bianco nell’indicazione del beneficiario o che egli abbia consegnato a
Guarneri Giovanni delle cambiali: si tratta, infatti, di episodi specifici e
delimitati che non dimostrano il carattere “pubblico” dell’attività di
concessione di prestiti.

8)-Erronea applicazione di legge_penale in relazione all’art 648 ter c.p. e
comunque mancanza e manifesta illogicità della motivazione .Non è stata
individuata la prova della consapevolezza del Di Giovanni circa il reato presupposto.
Capo 24 dell’imputazione
9)-Erronea applicazione di legge penale in relazione agli artt.192 commi 1,2,3
cod.proc.pen., 533 comma 1 cod.proc.pen. e comunque manifesta illogicità della
motivazione. La motivazione a sostegno dell’affermazione della certezza della
sussistenza delle minacce risulta manifestamente illogica e carente atteso si
fonda esclusivamente sulle dichiarazioni di Napoli Luciano Antonino, ritenute
riscontrate dall’interrogatorio di Russillo del 22.09.2015 (cfr. sent. p. 75).
10)-Erronea applicazione di legge penale in relazione all’art. 62 bis c.p. e,
comunque, mancanza di motivazione in relazione al diniego di concessione
delle attenuanti generiche
11)-Erronea applicazione di legge penale con riferimento alla determinazione
del reato più grave .A parere del ricorrente oggettivamente il reato più grave,in
ragione delle aggravanti ad effetto speciale contestate è quello di cui ai capi 3,5,6 .
12)13)-Erronea applicazione di legge penale in relazione all’art. 99 comma
4 c.p., con riferimento alla mancata esclusione della recidiva reiterata
contestata, ed in ogni caso, agli effetti sanzionatori della stessa, risultando errato
l’aumento effettuato ai sensi dell’art. 99 comma VI c.p., determinato dalla Corte
di Appello nella misura di anni 1 e mesi 2 e giorni 15 di reclusione perché ingloba
l’aumento per la recidiva irrogato in relazione alle 2 sentenze per reati fiscali
sub 4 e 6, determinato in mesi 2 di reclusione .Tale pena detentiva, come
risulta dal certificato penale aggiornato in atti, è stata sostituita con la
multa, di cui evidentemente non si può tenere conto ai fini e per gli effetti di cui
all’art. 99 comma 6 del codice penale. Pertanto, dal calcolo dell’aumento per la
recidiva determinato a norma dell’art. 99 comma 6 c.p. dovrà essere esclusa

8

Capo 23 dell’imputazione.

la pena di mesi 2 di reclusione di cui al numero 4 del certificato penale, relativo
al decreto penale GIP Novara 11.09.2013.Allo stesso modo non può essere inserita
nel calcolo della recidiva la pena di cui alla sentenza ex art. 444 c.p.p. del
24.10.2014 del Tribunale di Novara, anch’essa revocata perché ai fini della recidiva il
cumulo delle pene valutabili è quello risultante dalle

“condanne precedenti alla

commissione del nuovo delitto non colposo” e ,secondo il ricorrente, tale non è la

E’ fondato ,soltanto parzialmente, il motivo del ricorso di Di Giovanni Giuseppe
(classe 1962) n.12/13 relativo al computo della pena in conseguenza della errata
ritenuta recidiva pluriaggravata, in ragioe dell’esistenza di due sentenza di
condanna per reati fiscali di cui al punto 4) del certificato penale, prodotto dalla
difesa.
Gli altri motivi del predetto ricorso ed i ricorsi di Di Giovanni Giuseppe (classe 76),
Alia Massimiliano e Di Giovanni Francesco devono essere dichiarati inammissibili.
Con i motivi n.12 e 13 del ricorso di Di Giovanni Pino, che ,vertendo sul medesimo
argomento possono essere trattati congiuntamente, il ricorrente prospetta la
illegittimità dell’aumento di due mesi di reclusione di cui al numero 4 del
certificato penale — decreto penale GIP Novara 11.09.2013 , in quanto si tratta di
pena detentiva sostituita con la multa, di cui evidentemente non si può tenere
conto ai fini e per gli effetti di cui all’art. 99 comma 6 del codice penale. Il motivo di
ricorso è fondato e deve essere accolto.
Non puo’,invece, essere accolto il motivo relativo alla sentenza di patteggiamento.
La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti è equiparata, salvo
diverse disposizioni di legge, a sentenza di condanna ai sensi dell’art. 445, comma
primo, cod. proc. pen.. Essa rende possibile gli effetti concernenti la
contestazione della recidiva, della abitualità e della professionalità nel reato, il
riconoscimento di sentenze straniere dello stesso tipo di quello previste dall’art.
444 nuovo cod. proc. pen., l’iscrizione nel casellario giudiziale (essendo esclusa la
menzione delle sentenze previste dall’art. 445 soltanto per i certificati generali
richiesti dall’interessato). 1510

del 06/1 1 / 1991 Cc. (dep. 28/01/1992 ) Rv.

189204
Sono manifestamente infondati gli ulteriori motivi dedotti in ricorso.
Il ricorrente,infatti si è limitato a prospettare alternative valutazioni del materiale
probatorio raccolto, che smentiscono solo in fatto le valutazioni della Corte di merito
9

natura della sentenza di applicazione della pena.

e che,pertanto, non costituiscono motivi di legittimità, essendo percio’ sottratti alla
valutazione della Corte di legittimità. I motivi proposti tendono ad ottenere una
inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli
adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e
giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento. Secondo il costante
insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione
quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la

integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un.,
30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842
del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). La novella codicistica, introdotta
con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46 ,che ha riconosciuto la possibilità di deduzione
del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente
indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di
cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchè gli atti
eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il
requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente
acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere
considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento
impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali
da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque, esclusa
la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a
quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure
anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o
un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.
E stato ulteriormente precisato che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.,
per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre
la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta
che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere
dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano
indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la
contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile “ictu oculi”,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di
macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. (Sez.

10

cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa

4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).
Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza nei confronti di Di Giovanni
Giuseppe (classe 62), va annullata, senza rinvio, in punto di pena e la pena va
rideterminata in anni sei e mesi quattro e giorni 10 di reclusione ed euro 4.600,00
di multa, potendo a cio’ provvedere questa stessa Corte consistendo
l’interpolazione in una mera operazione aritmetica. Nel resto il ricorso va dichiarato
inammissibile.

inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al
versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che
pare congruo determinare in euro duemila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen.. Tutti i ricorrente vanno infine condannati ,in solido,alla rifusione delle
spese in favore delle costituite parti civili che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Di Giovanni Giuseppe
(classe 62) limitatamente alla [determinazione della pena, che ridetermina in anni sei,
mesi quattro, giorni 10 di reclusione ed euro 4.600,00 di mjlta. Dichiara inammissibile
nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Di Giovanni Giuseppe (classe 76) Di Giovanni
Francesco e Alia Massimiliano, che condanna al pagamento delle spese processuali e
della somma di curo duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.
Condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese in favore delle costituite
parti civili, che liquida per Napoli Stefano, Petrarchin Nadia,Napoli Fedele e Guarneri
Giovanni in curo 4.212,00, oltre spese generali nella misura del 15%, cpa ed iva se
dovuta,per Napoli Mario Roberto in euro 3.510,00, oltre spese generali nella misura
del 15%, cpa ed iva se dovuta.
Così ccis in Roma , il 06 marzo 2018
,

Vanno dichiarati inammissibili i ricorsi degli altri ricorrente :alla dichiarazione di

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