Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38010 del 11/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 38010 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRAMUTOLA ROCCO N. IL 02/07/1947
avverso la sentenza n. 177/2012 CORTE APPELLO di POTENZA, del
28/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SA rtre gewPC1
che ha concluso per goAn ch 55\ ek LI rill – 0( L f-k C30-3 o

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 11/06/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 28 giugno 2012, la Corte d’appello di Potenza ha
dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dall’imputato avverso la sentenza del
Tribunale di Potenza del 1° dicembre 2012, disponendo l’esecuzione di detta sentenza.
Con quest’ultima l’imputato era stato condannato alla pena della ammenda per il reato
di cui all’art. 256, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 – così riqualificato il reato
originariamente contestato ex art. 51, comma 1, lettere a) e b) , del d.lgs. n. 22 del

non autorizzata di raccolta di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi analiticamente
indicati nell’imputazione. A fondamento della pronuncia di inammissibilità, la Corte
d’appello ha, in particolare, rilevato che con l’impugnazione venivano svolte
considerazioni di puro fatto e che, dunque, la stessa non aveva la sostanza di un
ricorso per cassazione.
2 – Avverso la sentenza d’appello l’imputato ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione degli artt. 568, comma 5, e
591 cod. proc. pen. Rileva, in particolare, la difesa che il giudice di primo grado aveva
condannato l’imputato ad una pena finale indicata in motivazione nella misura di mesi
4 di arresto ed euro 4000 di ammenda e nel dispositivo unicamente in euro 4000 di
ammenda e che tale profilo ben poteva essere oggetto d’appello, per la prevalenza
della motivazione sul dispositivo. Peraltro, anche a voler seguire il ragionamento della
Corte distrettuale, nel senso della prevalenza del dispositivo sulla motivazione, la
stessa Corte avrebbe comunque dovuto qualificare l’impugnazione come ricorso per
cassazione ai sensi dell’articolo 568, comma 5, cod. proc. pen., essendo state eccepite
l’erronea applicazione della legge penale e l’insufficiente impianto motivazionale
offerto dal giudice di primo grado, con particolare riferimento alla qualificazione
giuridica dell’agente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – L’appello originariamente proposto deve essere qualificato come ricorso per
cassazione e rigettato.
Non vi è dubbio che la Corte d’appello non avrebbe dovuto dichiarare
inammissibile l’impugnazione proposta dall’imputato avverso la sentenza di primo
grado ed avrebbe, invece, dovuto trasmettere detta impugnazione a questa Corte,
potendo la stessa, indipendentemente dalla qualificazione conferitagli dall’imputato,
essere ritenuta un ricorso per cassazione avverso sentenza inappellabile, perché
recante condanna alla sola ammenda. Infatti, a norma dell’art. 568, comma 5, cod.

1997 – per avere effettuato, all’interno di un’area nella sua disponibilità, un’attività

proc. pen., l’impugnazione non può essere ritenuta inammissibile per il solo fatto che
la parte che l’ha proposta le abbia dato una qualificazione giuridica erronea, essendo
comunque onere del giudice incompetente per grado trasmettere gli atti al giudice
competente. Inoltre – contrariamente a quanto rilevato dalla Corte d’appello l’impugnazione in questione contiene, come si vedrà, un motivo di diritto, sul quale
potrebbe astrattamente basarsi un ricorso per cassazione; motivo relativo
all’interpretazione della disposizione incriminatrice circa la qualificazione soggettiva

Nondimeno l’impugnazione proposta nel caso di specie, da qualificare come
ricorso per cassazione, deve essere rigettata in quanto basata su motivi in parte
inammissibili – perché non riconducibili alle categorie di cui all’art. 606 cod. proc.
pen., trattandosi di mere contestazioni dell’impianto motivatorio, per lo più del tutto
generiche – e in parte infondati.
Il ricorrente lamenta, in particolare, che: a) la prova della responsabilità penale
è lacunosa, perché l’unico cenno ai rifiuti pericolosi è quello relativo al rinvenimento di
due batterie al piombo per autoveicoli, delle quali non si è sufficientemente chiarito se
fossero ancora funzionanti, anche se si trovavano sul terreno insieme con altri rifiuti;
b) la violazione della disposizione incriminatrice, perché la stessa punirebbe solo
coloro che esercitino un’attività di gestione di rifiuti in modo secondario o
consequenziale rispetto all’esercizio di un’attività primaria diversa; attività della quale
non vi sarebbe prova nel caso di specie.
Il rilievo sub a) è – come anticipato – inammissibile, perché, anche a
prescindere dalla sua evidente genericità, dalla sua stessa formulazione emerge, quale
dato pacifico, che le batterie in questione erano abbandonate sul terreno insieme ad
altri rifiuti. E ciò, a prescindere dall’ampia e circostanziata motivazione contenuta nella
sentenza di primo grado circa i puntuali accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza,
corredati di documentazione fotografica, dai quali il Tribunale correttamente desume
che l’imputato aveva svolto attività non autorizzata di raccolta dei rifiuti speciali, sia
pericolosi sia non pericolosi, indicati nel verbale di accertamento.
Infondato è il rilievo sub b), dovendosi rilevare che il Tribunale ha
correttamente interpretato la disposizione incriminatrice, ritenendo sufficientemente
provate la volontarietà della condotta di raccolta di rifiuti senza autorizzazione e il suo
collegamento all’attività imprenditoriale dell’imputato, il quale – come lui stesso ha
ammesso – era venditore al dettaglio di elettrodomestici, dotato di partita Iva. Il
vigente art. 256, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 e il previgente art. 51, comma

del reo.

2, del d.lgs. n. 22 del 1997 non richiedono, del resto, una specifica prova della
connessione fra la tipologia dell’attività imprenditoriale svolta dall’imputato e la
condotta di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti da questo posta in essere,
essendo la semplice qualifica di imprenditore, anche di fatto, sufficiente a configurare
il reato.
4. – La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata senza rinvio;
l’appello originariamente proposto, qualificato come ricorso per cassazione, deve

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza della Corte d’appello di Potenza del 28 giugno
2012 e, qualificato l’appello quale ricorso per cassazione, lo rigetta e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 1’11 giugno 2013.

essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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