Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3799 del 05/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3799 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BIANCHI LUISA

Data Udienza: 05/12/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VABANESI LUCA N. IL 17/01/1970
GARATTI FABRIZIO N. IL 15/04/1972
avverso la sentenza n. 1654/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
12/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI
Udito il Procuratore Generale in persona del D
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv

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Uditi difensor Avv.
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17260/2014

1. La Corte di appello di Brescia ha confermato la condanna pronunciata dal gup
di Bergamol all’esito di giudizio abbreviato, di Vabanesi Luca e Garatti Fabrizio
per il reato di cui agli articoli 73 co.1 ed 80 co.2 d.p.r. 309/90, essendo stato
loro contestata la detenzione a fine di cessione a terzi di 50,719 kg di
marijuana (THC grammi 8229,788 pari al 16% ) suddivisi in 11 involucri.
Riteneva la Corte di appello che anche a prescindere dalle dichiarazioni
accusatorie di Imberti Giancarlo, ritenute inattendibili, sussistessero nei
confronti di Vabanesi e Garatti elementi idonei a confermare il giudizio reso
dal primo giudice. Infatti i due erano stati sorpresi sul luogo dove si trovava il
grosso quantitativo di stupefacente, intenti ad aprire le porte del furgone in
cui lo stesso era custodito, mentre Imberti, il venditore, era poco distante ed
aveva in mano le cesoie per aprire le casse. I 50 kg di merce si trovavano
all’interno di una cassa di legno ancora chiusa al momento dell’intervento
delle forze dell’ordine. Confermata altresì l’aggravante dell’ingente quantità
equivalente alle attenuanti generiche, la Corte riduceva la pena a quattro anni
e otto mesi di reclusione ed euro 32000,00 di multa.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione entrambi gli imputati per il tramite
dei rispettivi difensori di fiducia.
2.1 Luca Vabanesi, affidando il ricorso all’avvocato Michele Olivati, deduce,
con un primo motivo, la violazione dell’articolo 192 del codice di rito per il
rigetto della tesi difensiva secondo cui i due imputati erano intenzionati ad
acquistare solo una parte della marijuana, da destinare all’uso personale, e
non tutti i 50 chili. Secondo il ricorrente l’affermazione di responsabilità lungi
dal fondarsi su massime di esperienza, sarebbe basata su indimostrate
congetture; unico dato certo è quello della presenza sul posto dei due, ma la
stessa corte di appello, per giustificare la condanna, ha fatto riferimento a
comportamenti che avvengono “solitamente” come quello per cui l’acquirente
viene convocato dal venditore per effettuare la consegna dell’intero merce di
cui quest’ultimo ha la disponibilità ; è stato invece sottovalutato l’elemento
dell’esposizione a doppio rischio avanzato dalla difesa, secondo cui non è
logico recarsi due volte sullo stesso luogo prima per un controllo e poi per
perfezionare la consegna, essendo pacifico che Vabanesi e Garatti al momento
dell’intervento della polizia non avevano mezzi per portar via l’intero carico;
viceversa erano state sopravalutate le differenze tra le versioni difensive rese
dai due imputati, in realtà di poco conto e compatibili comunque con la tesi,
da entrambi subito sostenuta, della destinazione ad uso personale dello
stupefacente che si accingevano ad acquistare. Con un secondo motivo
deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione aggravante
della ingente quantità. Contesta che il dato ponderale, inferiore ai 50 chili
puri, possa essere stato ritenuto indicativo dell’aggravante. Contesta inoltre
che Vabanesi e Garatti, anche a voler escludere la tesi dell’acquisto per uso

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RITENUTO IN FATTO

3. Entrambi i ricorrenti hanno presentato motivi nuovi a firma dell’avvocato
Oreste Dominioni. Nell’interesse di Vabanesi si deduce la nullità della
sentenza in relazione al trattamento sanzionatorio per effetto della sentenza
della Corte costituzionale n.32 del 25 febbraio 2014. Il ricorrente sottolinea
che già con i motivi principali si era sollecitato un controllo della motivazione
in punto definizione della pena, per cui la questione è sicuramente deducibile
con i motivi nuovi. Trattasi comunque di questione rilevabile di ufficio, come
già è stato ritenuto da numerose sentenze di questa Corte. Rileva ancora il
ricorrente che la pena base di sette anni si appalesa chiaramente illegale in
quanto superiore al massimo ora, ed allora, consentito a seguito della
sentenza di incostituzionalità 32/2014. Sottolinea che nella nuova
determinazione della pena dovrà tenersi conto del fatto che il giudice si era
attestato ai valori minimi edittali e dunque dovrà prendersi a riferimento la
pena minima di due anni. Con un secondo motivo si insiste nella nullità della
sentenza in relazione all’aggravante ex art. 80 ribadendosi quanto già
sostenuto circa l’insussistenza delle circostanze di fatto cui ancorare la
medesima; peraltro l’aggravante dovrebbe considerarsi travolta dalla citata
sentenza della corte costituzionale che ha avuto per effetto il venir meno dei
decreti attuativi ed in particolare del decreto ministeriale 11 aprile 2006 che
stabiliva il valore-soglia; lo stesso legislatore con la legge n. 79 del 2014 di
conversione del decreto-legge n. 36 del 2014, che ha introdotto le nuove
tabelle, ha stabilito che gli atti amministrativi “riprendono” ad avere vigore,
e non già “continuano” ad avere vigore come nel testo del decreto-legge; in
ogni caso i principi espressi al riguardo dell’aggravante della ingente quantità
da questa Corte anche sezioni unite, in particolare con la sentenza n.36258
del 2012 dovrebbero essere – ad avviso del difensore – rivisti essendo mutata
la ratio sottesa al quadro normativo (come già ritenuto dalla sentenza
n.25176/2014 di questa Corte. Nell’interesse di Garatti si rappresenta come i
motivi, principali e nuovi, attinenti alla insussistenza della ingente quantità
debbano essere estesi nei suoi confronti in forza del combinato disposto degli
artt. 587, co.1 e 627, co. 5 cod.proc.pen. dato l’inquadramento
dell’aggravante in questione tra quelle c.d. oggettive. Si contesta poi la
mancata prevalenza delle attenuanti generiche giustificata sulla base del
medesimo parametro utilizzato per ritenere sussistente l’aggravante della
ingente quantità.

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personale, abbiano potuto essere ritenuti destinatari della intera partita e non
di una parte di essa unitamente anche alla l’Imberti.
2.2 L’avvocato Patrizia Sciavo nell’interesse di Fabrizio Garatti deduce un
primo motivo con il quale contesta la ritenuta responsabilità dell’imputato,
avanzando argomentazioni analoghe a quelle del Vabanesi. Si sottolinea in
particolare come la tenuta dell’impianto accusatoria sia stata gravemente
messa in discussione dalla ritenuta inattendibilità dell’Imberti, le cui
dichiarazioni accusatorie erano alla base della sentenza di primo grado. Con
un secondo motivo si duole per il giudizio di bilanciamento delle circostanze
basato sulla stessa ragione che aveva fondato la sussistenza del’aggravante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Entrambi i ricorrenti, con argomenti analoghi che possono essere pertanto
congiuntamente esaminati, censurano la sentenza di appello per aver ritenuto
la responsabilità degli imputati sulla base del solo dato di fatto della loro
presenza in loco, pur dagli stessi giustificata con l’intenzione di acquistare solo
una piccola quantità di stupefacente per destinarlo all’uso personale. Il
motivo è infondato. Occorre premettere che secondo la pacifica
giurisprudenza di questa Corte (per tutte, sezioni unite 24.11.1999 n.24 Rv.
214794) l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha
un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità
della motivazione come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di
legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza,
restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le
deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in
modo logico e adeguato le ragioni del convincimento.
Il controllo della Corte di cassazione sulla tenuta della soluzione cui è
pervenuto il giudice di merito si deve dunque concentrare sulla aderenza dei
dati di fatti presi a base del ragionamento al materiale probatorio acquisito nel
processo e sulla completezza, logicità e congruità della valutazione che dello
stesso sia stata data anche con riferimento ad eventuali massime di
esperienza utilizzate. A tali criteri risponde la ricostruzione della Corte di
appello che ha preso a riferimento del proprio argomentare il dato, certo e
inconfutabile, della presenza dei due attuali ricorrenti accanto al furgone
contenente il rilevante quantitativo di stupefacente, intenti a collaborare con
Imberti nella apertura delle casse; per trarne, con ragionamento
assolutamente conseguente, la conclusione che la situazione, a prescindere
dalle dichiarazioni di Imberti, evidenziava di per sé un diretto collegamento
tra gli imputati e lo stupefacente, che li qualificava quali concorrenti nel
reato. A ciò si è aggiunta la assoluta inconsistenza della giustificazione
addotta dagli imputati per contrastare l’evidenza di tale situazione, avendo i
due asserito di essersi recati da Imberti per acquistare soltanto un modesto
quantitativo di marijuana, senza essere a conoscenza dell’ingente quantitativo
di cui invece quest’ultimo disponeva. A tale versione difensiva la Corte non
ha attribuito credito in considerazione sia delle difformità tra le dichiarazioni
rese dai due circa il quantitativo di stupefacente da acquistare e specialmente
circa il prezzo pattuito (una paio di etti per 550 euro secondo Garatti, 500 gr.
a 500 euro secondo Vabanesi); sia per la assoluta inverosimiglianza di una
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1.1
ricorsi meritano
accoglimento
con riferimento al trattamento
sanzionatorio, nei limiti appresso specificati.

3. Accertata, per quanto sopra detto, la responsabilità degli imputati per
concorso nella detenzione dei 50,719 kg di marijuana, deve valutarsi se sia
stata correttamente ritenuta la aggravante dell’ingente quantità. Al riguardo
rileva il Collegio che la motivazione fornita dalla Corte di appello ha fatto
riferimento sia al quantitativo di THC, pari a grammi 8229,788, ampiamente
superiore a 2000 volte il valore-soglia individuato quale parametro di
riferimento dalle sezioni unite n.36258/2012, per la marijuana ammontante
ad 1 kg.; sia al numero di dosi ricavabili, superiore a 300.000, tale da far
ritenere integrata l’aggravante per il numero di potenziali soggetti interessati
dalla cessione e della fetta di mercato potenzialmente coinvolta dalla
commercializzazione, criterio cui la giurisprudenza di questa Corte faceva
riferimento prima di quello sopra richiamato. La motivazione è dunque idonea
a sostenere il giudizio di sussistenza dell’aggravante anche a prescindere dalle
modifiche normative conseguenti alla dichiarazione di incostituzionalità cui ha
fatto riferimento la difesa dei ricorrenti; non senza comunque considerare che
questa stessa sezione (sentenza 20.6.2014 n.32136 Rv. 260123; sentenza
2.7.2014 n.43465 Rv. 260307) si è già espressa nel senso che per effetto
dell’espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai
sensi del comma primo bis, dell’art. 75, d.P.R. n. 309/1990, come modificato
dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, di conversione, con modificazioni, del D.L.
20 marzo 2014, n. 36, mantengono validità i criteri basati sul rapporto tra
quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile, al fine di
verificare la sussistenza della circostanza aggravante della ingente quantità, di
cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309/1990, formulando al riguardo
osservazioni che il Collegio interamente condivide
4. Infondata è anche la censura relativa al giudizio di comparazione. E’ infatti
pacifico che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, può utilizzare
piu volte lo stesso fattore per giustificare le scelte operate in ordine agli
elementi la cui determinazione è affidata al suo prudente apprezzamento,
purché il fattore stesso presenti un significato polivalente (da ultimo, sez. VI
23.10.2013 n.45623 Rv.257425). Hanno pertanto operato legittimamente,
senza violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, i giudici di questo
processo che hanno valutato ostativo alla prevalenza delle attenuanti
generiche il notevole e potenziale danno per la salute che sarebbe potuto
derivare dalla commercializzazione della sostanza, ponendo l’accento su uno
dei vari fattori che avevano influito sulla ritenuta sussistenza dell’aggravante
in parola.

ricostruzione che voleva che Imberti avesse convocato Vabanesi e Garatti e
da loro si fosse fatto aiutare ad aprire le casse, mostrando l’intero quantitativo
di marijuana, per poi consegnare loro solo una quantità irrisoria della stessa;
non congetturale ma corretta è la massima di esperienza cui ha fatto
riferimento la Corte di appello secondo cui è fuor di logica mostrare a dei
modesti acquirenti l’intero quantitativo di cui si dispone, e ciò prima ancora
che il venditore abbia effettuato il controllo di quanto a sua volta ricevuto da
terzi.

6. La modifica del quadro normativo di riferimento così intervenuta richiede la
valutazione delle situazioni giudicate ed oggetto di ricorso davanti a questa
Corte alla luce del principio di eguaglianza (art. 3 Costituzione) e di quelli
relativi alla successione di leggi nel tempo dettati dagli artt. 2, co.4, codice
penale e 7, par. 1, Convenzione europea sui diritti dell’Uomo, occorrendo in
particolare adeguarsi alla interpretazione della Corte EDU del predetto art. 7,
par. 1, della citata Convenzione europea, secondo cui l’imputato ha diritto di
beneficiare della legge penale successiva alla commissione del reato, che
prevede una sanzione meno severa di quella stabilita in precedenza, fino a che
non sia intervenuta sentenza passata in giudicato (sentenza CEDU Scoppola
C/Italia; Corte cost. n.210/2013).
7. Può in particolare ricordarsi che, come di recente affermato dalle Sezioni
Unite di questa Corte (Sez. U. 29.5.2014 n. 42858 PM in proc. Gatto
Rv. 260695, Rv. 260696, Rv. 260697; Sez. unite 24.10.2013 n.18821 Rv.
258650 )
la dichiarazione di incostituzionalità
di
una “norma penale
sostanziale” (compresa la norma sanzionatoria) attesta, a differenza della
successione di norme derivante dall’intervento del legislatore che è espressione
di una modifica del giudizio relativo al disvalore di un fatto da parte del
Parlamento, fisiologica in uno Stato di diritto,
che la norma dichiarata
costituzionalmente illegittima
non avrebbe mai dovuto essere introdotta
nell’ordinamento, con la conseguenza che la stessa deve essere espunta
dall’ordinamento in quanto affetta da una invalidità originaria che impone e
giustifica la proiezione retroattiva sugli effetti ancora in corso. In tal senso
dispone l’art. 30 della legge n.87 del 1953, disposizione non abrogata
dall’art.673 cod.proc.pen., laddove stabilisce che le norme dichiarate
incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione e specialmente che, quando in applicazione della
norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di
condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali. Derivandone la
6

5. Sono invece fondate le censure sulla determinazione della pena, in
relazione al fatto che il trattamento sanzionatorio cui il giudice ha fatto
riferimento è stato modificato in senso favorevole all’imputato
successivamente alla data della sentenza impugnata.
Infatti con sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, per quanto qui
rileva, è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’ art. 4 bis della legge
21 febbraio 2006 n.49, entrata in vigore il 28.2.2006, nella cui vigenza sono
stati commessi i contestati reati; agli stessi, a seguito di tale dichiarazione di
incostituzionalità e come dalla Corte costituzionale espressamente affermato,
trova applicazione l’art. 73 del d.P.R 309/90 e relative tabelle nella
formulazione precedente (c.d. legge Iervolino – Vassalli) le modifiche apportate
con le disposizioni ritenute incostituzionali, con il ripristino del differente
trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le droghe leggere e le droghe
pesanti; la pena per l’ipotesi qui considerata era, secondo la legge IervolinoVassalli, ed è, da due a sei anni di reclusione oltre la multa, laddove quella
presa a riferimento nella specie è stata da sei a venti anni; quello che secondo
la legge applicata era il minimo edittale è invece il massimo che si sarebbe
potuto applicare .

8. Ritiene pertanto il Collegio di dover annullare la sentenza impugnata per
tenere conto del trattamento sanzionatorio indicato dalla Corte
costituzionale, precisandosi che l’annullamento interviene solo con riguardo
alla determinazione della pena e pertanto, ai sensi dell’art. 624 cod.proc.pen.,
il capo concernente la penale responsabilità è divenuto irrevocabile. Il giudice
di rinvio dovrà determinare la pena tenendo conto dei nuovi termini di
riferimento, entro di essi adeguandola alla gravità del fatto fermo restando
che pur non potendo infliggere una pena superiore a quella in precedenza
inflitta, sarà invece libero di fissare la nuova pena base sopra il minimo
edittale, anche se nel precedente giudizio fosse stato fatto riferimento al
minimo edittale atteso che il mutato quadro normativo sia in tema di
configurazione giuridica che di trattamento sanzionatorio impone un giudizio
autonomo da quello in precedenza svolto, non potendo a tale riguardo
invocarsi il divieto di
reformatio in peius
(v. Sez. U.
n.16208 del 27/03/2014 Rv. 258653 e Sez. U. n. 33752 del 18/04/2013
Rv. 255660).
P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio
applicato e rinvia per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Brescia.
Rigetta nel resto. Per l’articolo 624 cod.proc.pen. dichiara irrevocabile
l’affermazione di responsabilità.
Così deciso in Roma il 5.12.2014

conseguenza che la pena è sicuramente illegale ed è eventualmente possibile
un intervento correttivo fin anche in sede esecutiva.

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