Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3796 del 07/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 3796 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAVALIERE MARIO N. IL 27/02/1957
avverso l’ordinanza n. 642/2013 TRIB. LIBERTA’ di BOLOGNA, del
06/06/2013

r{~

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
e/se tite le conclusioni del PG Dott. ,

4Q, 44:rs

%\,\&

Udit i difensor

Data Udienza: 07/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 6/6/2013, il Tribunale del riesame di Bologna,
provvedendo sulla richiesta di riesame proposta da Cavaliere Mario avverso
l’ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale che applicava la misura della
custodia cautelare in carcere, confermava l’ordinanza impugnata, previa
riqualificazione del delitto contestato di cui all’art. 416 bis cod. pen. in quello di
cui all’art. 416 cod. pen..

che quello di Rimini, sulla richiesta della locale Procura, aveva qualificato
l’associazione per delinquere contestata come associazione semplice in
associazione mafiosa, provvedendo ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen..
La detta associazione – come si è detto nuovamente qualificata ai sensi
dell’art. 416 cod. pen. dal Tribunale di Bologna – secondo la contestazione
faceva capo a Cavaliere Mario, aveva sede presso la società Herisson S.r.l. di
Rimini ed era stata costituita per commettere una serie indeterminata di delitti di
estorsione, rapina, detenzione e porto illegale di armi da fuoco, fittizia
intestazione di beni a nome altrui e trasferimento fraudolento di valori.
Secondo il Tribunale, l’attività investigativa dei carabinieri di Rimini aveva
evidenziato l’operatività di un’associazione per delinquere costituita da
personaggi accomunati dall’intento di inserirsi nel tessuto imprenditoriale e
commerciale della Riviera romagnola, dedita a svariate condotte estorsive
finalizzate anche a costringere i soggetti minacciati a stipulare affari con i
membri del sodalizio; si ravvisava il tentativo di impadronirsi delle attività
imprenditoriali e commerciali della zona così da compiere, attraverso lo schermo
di società apparentemente “pulite”, attività illecite, puntando ad una “stabile
alleanza tra personaggi professionalmente dediti alla commissione di reati contro
il patrimonio ed imprenditori spregiudicati”.
Il sodalizio poteva contare sulla gestione di fatto di alcune società che, in
altra indagine a carico di Ausili Lamberto, si erano rivelate delle “cartiere”
utilizzate per la realizzazione di “frodi carosello”.
Il gruppo aveva stretti collegamenti con altri sodalizi di natura camorristica
operanti nella Regione: in un’indagine parallela, Ausili era stato colpito da
diversa ordinanza cautelare del G.I.P. di Rimini; Ripoli e Romaniello erano i punti
di contatto con il clan camorristico facente capo a Francesco Vallefuoco.
La prova dell’accordo associativo emergeva soprattutto dalle intercettazioni
ambientali nell’ufficio della Herisson, nelle quali i soggetti, che partecipavano a
riunioni convocate con linguaggio criptico, parlavano senza riserve. Era evidente
l’affectio societatis dei partecipi; inoltre il gruppo aveva a disposizione una sede,

2

Il G.I.P. del Tribunale di Bologna aveva emesso l’ordinanza impugnata dopo

uomini e mezzi adeguati, in essi comprese le società “cartiere” da utilizzare per
operare false fatturazioni, reimpiegare il denaro provento delle estorsioni e
operare i trasferimenti di valori al fine di eludere misure di prevenzione.
Non si trattava, peraltro, di associazione mafiosa, ma di associazione per
delinquere semplice.
Cavaliere Mario era il capo e l’organizzatore dell’associazione, colui che dava
indicazioni sulle azioni delittuose da porre in essere, sui tempi e modi della loro
realizzazione e sulla divisione del proventi delle attività criminali tra gli associati;

patrimonio e le condizioni per la dichiarazione di abitualità nel reato.
L’associazione sopra indicata aveva tra l’altro realizzato, su direzione e
coordinamento del Cavaliere, un’estorsione ai danni di Presta Antonio, nonché
una tentata estorsione, con lesioni e violenza privata, nei confronti di Deutsch
Paolo. Ad altri associati sono contestate altre estorsioni nonché condotte di cui
all’art. 12 quinquies legge 356 del 1992.

Affrontando i motivi di ricorso, il Tribunale accoglieva la prospettazione della
difesa di Cavaliere, qualificando nuovamente il reato di associazione mafiosa in
quello di associazione semplice; escludeva dubbi sull’identificazione in Cavaliere
Mario dello “zio Mario” cui gli associati facevano riferimento nelle conversazioni
intercettate (sottolineando che, per di più, il riferimento era del tutto episodico e
che erano numerosissime le intercettazioni attribuibili direttamente a Cavaliere);
riteneva sussistente l’associazione per delinquere, essendo emersi tutti gli
elementi costitutivi del reato associativo; riteneva esattamente contestata
l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991, nonostante il sodalizio non
avesse natura mafiosa, in quanto le estorsioni erano state commesse
avvalendosi del metodo mafioso e le persone offese avevano dichiarato di avere
ricevuto minacce dai membri del sodalizio in cui si richiamava l’appartenenza ad
un gruppo di “napoletani” o di “scissionisti”; le modalità mafiose delle estorsioni
erano conosciute da tutti i componenti del gruppo; indicava Cavaliere come il
mandante della spedizione punitiva nei confronti di Presta Antonio, così come
dell’azione estorsiva ai danni di Deutsch insieme ad Ausili.
Il Tribunale riteneva sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett.
c) cod. proc. pen. e osservava che non erano stati acquisiti elementi specifici dai
quali emergesse le esigenze cautelari potessero essere soddisfatte con misure
diverse dalla custodia in carcere.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Cavaliere Mario, deducendo distinti
motivi.

3

al ricorrente è contestata la recidiva reiterata specifica per i reati contro il

In un primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge.
Il Tribunale aveva ordinato la correzione dell’errore materiale contenuto
nell’ordinanza del G.I.P., integrando il riferimento ai reati fine anche con il reato
sub B) (estorsione ai danni di Presta Antonio) che il dispositivo dell’ordinanza del
G.I.P. non menzionava. In realtà, secondo il ricorrente, non si trattava di
correzione di errore materiale, ma di integrazione in pejus, non consentita al
Tribunale. La cautela era stata disposta per reati diversi da quello di cui al capo

In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento alla ritenuta aggravante di cui all’art. 7 legge 203
del 1991.
L’ordinanza era contraddittoria, in quanto da una parte escludeva la natura
mafiosa dell’organizzazione, dall’altra riteneva sussistente l’aggravante del
metodo mafioso. Per di più, la motivazione esposta per giustificare la sussistenza
dell’aggravante confliggeva con la giurisprudenza sul punto.

In un terzo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento ai reati D, E ed F (tentata estorsione, lesioni e
violenza privata ai danni di Deutsch): l’ordinanza aveva eluso i motivi esposti
nella richiesta di riesame.
Gli elementi indicati a carico del Cavaliere erano del tutto insufficienti.

In un quarto motivo, il ricorrente deduce violazione di legge in relazione
all’art. 416 cod. pen., sostenendo l’insussistenza dell’associazione e comunque la
mancata partecipazione ad essa del ricorrente.
Gli elementi evidenziati non potevano fondare i gravi indizi di colpevolezza
per il reato in questione.

In un ultimo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento
all’applicazione della misura custodiale. Cavaliere compariva sulla scena delle
indagini solo per due mesi; allo stesso erano contestati due soli episodi. Gli
ulteriori elementi evidenziati non dimostravano affatto la necessità della misura
della custodia cautelare in carcere, potendo risultare idonee misure meno
afflittive.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

4

B.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Sembra indubbio che il Tribunale abbia inteso correggere l’errore materiale
presente nel dispositivo dell’ordinanza impugnata, atteso che il G.I.P. aveva
motivato sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza anche per il reato sub
B), salvo non menzionarlo nella misura. Dagli atti si evince che la richiesta di

Bologna contemplava anche la persona di Cavaliere Mario con riferimento al
reato sub B, con la specifica contestazione di essere colui che aveva promosso,
coordinato ed ispirato la commissione del delitto.

La correzione è stata legittimamente operata.
Questa Corte ha costantemente affermato, anche con riferimento alla
sentenza con motivazione non contestuale, che la regola generale secondo cui,
in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione incontra una deroga
nel caso in cui l’esame della motivazione stessa consenta di ricostruire
chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice, sì da
condurre alla conclusione che la divergenza dipende da un errore materiale,
obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo (da ultimo, Sez. 3, n.
19462 del 20/02/2013 – dep. 06/05/2013, Dong, Rv. 255478); ma la regola non
opera in caso di motivazione contestuale, in cui deve essere data prevalenza alla
motivazione, in quanto il contenuto della decisione è racchiuso nell’intero
contesto del provvedimento (Sez. 1, n. 8071 del 11/02/2010 – dep. 01/03/2010,
Costabile e altri, Rv. 246570); la possibilità per il Tribunale del riesame di
correggere eventuali contrasti tra dispositivo e motivazione contenuti nel
provvedimento applicativo di misura cautelare è stata affermata da Cass. Sez. 6,
n. 32359 del 06/05/2003 – dep. 31/07/2003, Scandizzo, Rv. 226517; e, del
resto, costantemente questa Corte ha ritenuto che il provvedimento restrittivo
della libertà personale e l’ordinanza che decide sul riesame sono strettamente
collegati e complementari, con la conseguenza che la motivazione dell’ordinanza
del Tribunale della libertà integra e completa l’eventuale carenza di quella del
G.i.p. ed allo stesso modo la motivazione insufficiente del giudice del riesame
ben può ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato (Sez. 5, n.
16587 del 24/03/2010 – dep. 29/04/2010, Pmt in proc. Di Lorenzo e altro, Rv.
246875, Sez. U, n. 7 del 17/04/1996 – dep. 03/07/1996, Moni, Rv. 205257).

2. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, concernenti la sussistenza dei gravi

5

applicazione della misura cautelare formulata dal Procuratore della Repubblica di

indizi di colpevolezza del reato associativo e dei reati fine sono generici e in fatto
e, quindi, inammissibili: il ricorrente evidenzia alcuni dati di fatto che sostiene
essere a suo favore, senza nemmeno argomentare circa il loro valore decisivo
per dimostrare eventuali contraddizioni dell’ordinanza impugnata.
Per di più, deve darsi atto che la motivazione svolta dal Tribunale in ordine a
tutti i reati contestati è ampia, argomentata e in nessun modo manifestamente
illogica.

all’art. 7 legge 203 del 1991 appare, invece, fondato.

Come premesso, il Tribunale ha nuovamente qualificato il reato associativo
ai sensi dell’art. 416 cod. pen., ritenendo che non sussistessero i presupposti per
ipotizzare l’esistenza di un’associazione mafiosa (decisione non impugnata dal
P.M.); ha ritenuto, peraltro, che i reati fine contestati ai due ricorrenti siano
aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso ai sensi dell’art. 7 legge 203 del 1991.
La decisione fa leva sulla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui per la
configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso” non è
necessaria la dimostrazione o contestazione dell’esistenza di un’associazione per
delinquere di tipo mafioso, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia
assumano veste tipicamente mafiosa (Sez. 1, n. 5881 del 04/11/2011 – dep.
15/02/2012, Giampa’, Rv. 251830); il metodo mafioso, quindi, ben può essere
utilizzato da un gruppo criminale dedito alle estorsioni, qualificato con
riferimento alla fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen. piuttosto che a quella di
cui all’art. 416 bis cod. pen. (Sez. 1, n. 16883 del 13/04/2010 – dep.
04/05/2010, Stellato e altri, Rv. 246753; Sez. 1, n. 4898 del 26/11/2008 – dep.
04/02/2009, Cutolo, Rv. 243346).

Sgombrato il campo da un problema astratto di compatibilità, occorre
tuttavia che il giudice del merito motivi adeguatamente sulla sussistenza della
predetta aggravante, la cui rilevanza è ben superiore ad altre nell’ambito
dell’intero sistema, sia con riferimento alla misura dell’aumento di pena (trattasi
di aggravante ad effetto speciale), sia per il divieto di bilanciamento con
circostanze attenuanti (art. 7, comma 2, legge 203 del 1991), sia per i pesanti
effetti sull’adozione delle misure cautelari (art. 275, comma 3, cod. proc. pen.) e
sul regime penitenziario (art. 4 bis legge 354 del 1975 e norme collegate).
Proprio tale rilevanza impone un’analisi non superficiale della condotta
contestata, così da escludere la sussistenza dell’aggravante nei casi in cui il
“richiamo” alle associazioni mafiose sia effettuato in una situazione niente affatto

6

3. Il secondo motivo di ricorso, concernente la contestata aggravante di cui

corrispondente a quella descritta dall’art. 416

bis

cod. pen.. In effetti,

l’aggravante è integrata quando l’agente si avvale delle “condizioni previste
dall’art. 416 bis cod. pen.”; quando, cioè, si riscontra una “condizione di
assoggettamento e di omertà” derivante dalla “forza di intimidazione del vincolo
associativo”.
La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente richiesto che il giudice di
merito, nell’analizzare l’aggravante in questione, verifichi che il comportamento
tenuto sia oggettivamente idoneo ad esercitare sulle vittime del reato la

comportandosi l’agente come mafioso oppure ostentando, in maniere evidente e
provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella
particolare coartazione e quella conseguente intimidazione che sono proprie delle
organizzazioni di tipo mafioso; l’utilizzo del metodo mafioso non può essere
desunto dalla mera reazione delle stesse vittime alla condotta tenuta dall’agente
(Sez. 6, n. 28017 del 26/05/2011 – dep. 15/07/2011, Mitidieri, Rv. 250541);
d’altro canto, la fattispecie di estorsione richiede già un’obiettiva idoneità della
condotta a coartare la volontà del soggetto passivo, cosicché il rischio è quello di
desumere dall’avvenuta costrizione della persona offesa, insita nel reato,
l’esistenza dell’aggravante: perché questa ricorra è necessario che la condotta
sia idonea a determinare una condizione d’assoggettamento e d’omertà (Sez. 5,
n. 28442 del 17/04/2009 – dep. 10/07/2009, Russo e altri, Rv. 244333); essa
deve, cioè, avere i caratteri propri dell’intimidazione derivante
dall’organizzazione criminale evocata (Sez. 6, n. 21342 del 02/04/2007 – dep.
31/05/2007, Mauro, Rv. 236628).

L’esistenza di un’associazione mafiosa e l’appartenenza ad essa dell’agente
assume, allora, una rilevanza diversa, perché la condizione generalizzata di
assoggettamento e di omertà conseguente all’operatività di associazioni di
questo tipo in determinate zone del territorio permette di ritenere integrata
l’aggravante pur in presenza di condotte apparentemente poco “minacciose”:
cosicché è stata ritenuta integrata l’aggravante nella condotta di colui che
ottenga somme destinate alla distribuzione ai sodali in occasione delle festività
pasquali e natalizie, ponendosi al cospetto delle persone offese come emissario
di un gruppo criminale organizzato e rappresentando loro l’incontrastabilità e
l’ineluttabilità degli scopi dell’associazione (Sez. 1, n. 17532 del 02/04/2012 dep. 10/05/2012, Dolce, Rv. 252649) o in quella di colui che prospetti l’utilizzo
delle somme estorte per aiutare le famiglie degli “amici carcerati”, senza
nemmeno menzionare l’organizzazione criminale nel contesto delle richieste
estorsive, in quanto il mezzo di coartazione della volontà facente ricorso al

7

particolare coartazione psicologica evocata dalla norma menzionata,

vincolo mafioso, e alla connessa condizione di assoggettamento, può esprimersi
in forma indiretta, o anche per implicito (Sez. 6, n. 31385 del 04/07/2011 – dep.
05/08/2011, Carrubba, Rv. 250554).

Se, invece, l’associazione mafiosa non esiste, ovvero non opera nella zona
dove avvengono le richieste estorsive o, comunque, non è in grado di
determinare una generalizzata condizione di assoggettamento ed omertà, la
oggettiva idoneità di cui sopra si è fatto riferimento deve essere attentamente

Da questo punto di vista, la motivazione dell’ordinanza impugnata appare
decisamente carente: il Tribunale osserva che “le vittime delle estorsioni hanno
espressamente dichiarato di avere ricevuto minacce dai membri del sodalizio in
cui si richiamava l’appartenenza ad un gruppo di non meglio precisati
“napoletani”, ovvero al “clan degli scissionisti”; in sostanza, le vittime avevano
avuto l’impressione di avere a che fare con un’organizzazione composta da
persone pericolose, in grado di contare sull’appoggio di numerosi altri soggetti
dediti ad azioni delittuose, nonché capaci di fare del male anche ai loro familiari.
Gli indagati sono riusciti ad ingenerare nelle persone offese l’idea che
l’organizzazione fosse in grado di inviare una serie indeterminata di soggetti
capaci di perseguitarli in caso di mancata adesione alle richieste estorsive; ciò ha
determinato uno stato di soggezione e di omertà delle vittime, idoneo a
configurare l’aggravante in questione”; ma la descrizione appena fatta non
appare effettivamente connessa all’analisi concreta delle due estorsioni che in
questa sede interessano, se si tiene presente, in primo luogo, che Deutsch Paolo
ha presentato denuncia e che, quanto a Presta Antonio, l’utilizzo del metodo
mafioso discenderebbe esclusivamente dal richiamo da parte di Romaniello a non
meglio precisati “napoletani” e al “clan degli scissionisti”.

L’ordinanza, d’altro canto, appare contraddittoria quando – nel passo in cui
esclude la natura mafiosa dell’associazione per delinquere – dà atto
esplicitamente (pag. 29) che “non pare emergere uno stato di soggezione e di
omertà derivante dal timore ingenerato dalla consorteria criminosa in quanto
tale. Invero, le vittime si decidevano ad esaudire le richieste estorsive solo dopo
aver subito minacce e percosse da parte dei membri del gruppo e alcune di loro
non si sono lasciate neppure intimidire, decidendo di sporgere denuncia (vicenda
Deutsch); l’associazione in esame operava in un territorio diverso da quello
campano ed era composto da soggetti provenienti da diverse città italiane,
quindi non appariva immediatamente riconoscibile da parte delle persone offese
quale manifestazione locale della camorra”.

8

verificata.

Trasmessa copia ex art. 23
n,. 1 ter L.
EU52
332

h

04

13Qina, Il
Il giudice di rinvio, pertanto, verificherà, con riferimento agli specifici episodi
estorsivi contestati, se ricorre l’oggettiva idoneità a determinare la condizione di
assoggettamento e di omertà, distinguibile dalla idoneità a coartare la volontà
della vittima insita nel delitto di estorsione.

4. L’annullamento dell’ordinanza impugnata con riferimento all’aggravante di
cui all’art. 7 legge 203 del 1991 comporta inevitabilmente la necessità di un

all’adeguatezza della misura adottata: il Tribunale ha, infatti, fondato la propria
decisione sulla presunzione posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., così
come corretta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 57 del 2013; nel caso
il Giudice di rinvio ritenesse di escludere la sussistenza dell’aggravante in
questione, tale presunzione non sarebbe più operante.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di
cui all’art. 7 d.l. 152 del 1991 ed alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo
esame su tali punti al Tribunale di Bologna. Rigetta nel resto il ricorso.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 7 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

riesame del provvedimento con riferimento alle esigenze cautelari e

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA