Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3795 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3795 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZAVANAIU STEFANO N. IL 09/02/1973
CAVALIERE SIMONE N. IL 30/01/1981
avverso l’ordinanza n. 633/2013 TRIB. LIBERTA’ di BOLOGNA, del
04/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere D tt. GIACOMO ROCCHI;
e/sentite le conclusioni de PG Dott.
\ Cots•

Udit i difensor

Data Udienza: 07/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’8/6/2013, il Tribunale del riesame di Bologna
respingeva le richieste di riesame proposte da Cavaliere Simone e Zavanaiu
Stefano avverso l’ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale, previa
riqualificazione del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. in quello di cui all’art.
416 cod. pen. e correzione del dispositivo dell’ordinanza del G.I.P..
Il G.I.P. del Tribunale di Bologna aveva emesso l’ordinanza impugnata dopo
che quello di Rimini, sulla richiesta della locale Procura, aveva qualificato
l’associazione per delinquere ipotizzata come semplice in associazione mafiosa,
provvedendo ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen..
La detta associazione – come si è detto nuovamente qualificata ai sensi
dell’art. 416 cod. pen. dal Tribunale di Bologna – secondo l’imputazione faceva
capo a Cavaliere Mario, aveva sede presso la società Herisson S.r.l. di Rimini ed
era stata costituita per commettere una serie indeterminata di delitti di
estorsione, rapina, detenzione e porto illegale di armi da fuoco, fittizia
intestazione di beni a nome altrui e trasferimento fraudolento di valori.
Secondo il Tribunale, l’attività investigativa dei Carabinieri di Rimini aveva
evidenziato l’operatività di un’associazione per delinquere costituita da
personaggi accomunati dall’intento di inserirsi nel tessuto imprenditoriale e
commerciale della Riviera romagnola, dedita a svariate condotte estorsive,
dirette anche a costringere i soggetti minacciati a stipulare affari con i membri
del sodalizio; si ravvisava il tentativo di impadronirsi delle attività imprenditoriali
e commerciali della zona così da compiere, attraverso lo schermo di società
apparentemente “pulite”, attività illecite, puntando ad una “stabile alleanza tra
personaggi professionalmente dediti alla commissione di reati contro il
patrimonio ed imprenditori spregiudicati”. Il sodalizio poteva contare sulla
gestione di fatto di alcune società che, in altra indagine a carico di Ausili, si
erano rivelate delle “cartiere” utilizzate per la realizzazione di “frodi carosello”.
Il gruppo aveva stretti collegamenti con altri sodalizi operanti in regione di
natura camorristica: in un’indagine parallela Ausili era stato colpito da diversa
ordinanza cautelare del G.I.P. di Rimini. Ripoli e Romaniello erano i punti di
contatto con il clan camorristico facente capo a Francesco Vallefuoco.
La prova dell’accordo associativo emergeva soprattutto dalle intercettazioni
ambientali eseguite nell’ufficio della Herisson, durante le quali i soggetti, che
partecipavano a riunioni convocate con linguaggio criptico, parlavano senza
riserve. Era evidente l’affectio societatis dei partecipi e il gruppo aveva a
disposizione una sede, uomini e mezzi adeguati, in essi comprese le società
“cartiere” da utilizzare per operare false fatturazioni, reimpiegare il denaro

.

provento delle estorsioni e operare i trasferimenti di valori al fine di eludere
misure di prevenzione. Non si trattava, peraltro, di associazione mafiosa, ma di
associazione per delinquere semplice.
Cavaliere Simone (figlio di Cavaliere Mario) e Zavanaiu Stefano, secondo
l’imputazione, erano meri partecipi dell’associazione ed esecutori materiali dei
reati fine; ad essi è contestata la partecipazione all’estorsione ai danni di Presta
Antonio, costretto a richiamare un assegno che rischiava di essere protestato.
Zavanaiu Stefano avrebbe preso parte anche alla tentata estorsione ai danni di

essere condotte qualificate ai sensi dell’art. 12 quinquies legge 356 del 1992,
attribuendo fittiziamente a Taddei Attilio e De Deo Ettore le quote di alcune
società a responsabilità limitata.
Secondo il Tribunale, Zavanaiu aveva assunto un ruolo centrale
nell’esecuzione di tutte le attività illecite delle associazione e aveva partecipato
alle riunioni organizzative, manifestando la sua consapevole adesione al
sodalizio.
Cavaliere Simone, aveva agito nell’estorsione ai danni di Presta Antonio su
mandato del padre Mario, dopo avere concordato con lui di andare a trovare il
Presta per picchiarlo; lo stesso era stato ascoltato mentre riferiva di avere
percosso Presta chiedendogli la somma di euro 13.000. La sua appartenenza al
sodalizio criminoso si evinceva non solo dalla commissione del reato fine, ma
anche dalla partecipazione alle riunioni del gruppo.
Secondo il Tribunale sussistevano le esigenze cautelari, né erano state
acquisiti elementi specifici dai quali emergesse l’idoneità di misure diverse da
quella custodiale in carcere.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Zavanaiu Stefano, deducendo
distinti motivi.
In un primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento alla contestata aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991.
Benché avesse qualificato l’associazione come semplice e non mafiosa, il
Tribunale aveva ritenuto sussistente l’aggravante in questione che, peraltro,
richiede la sussistenza di condotte specificamente evocative di forza intimidatrice
derivante dal vincolo associativo e non dalle caratteristiche soggettive di chi
agisce, anche in concorso, idonee a determinare una condizione di
assoggettamento e di omertà.
Nel caso di specie, la vanteria di un singolo (Romaniello Massimiliano) che
aveva evocato gli “scissionisti” e, in generale, la camorra campana, non era
sufficiente per integrare l’aggravante, anche perché lo stesso Tribunale

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Deutsch Paolo e ai collegati reati di lesioni e violenza privata e avrebbe posto in

ammetteva l’assenza di uno stato di soggezione e di omertà nelle persone
offese; per ritenere sussistente l’aggravante è necessario l’effettivo ricorso al
metodo mafioso, con un comportamento concretamente idoneo a esercitare sulle
vittime del reato una particolare coartazione psicologica.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione.
Il Tribunale aveva attribuito a Zavanaiu un ruolo centrale nell’esecuzione di

dell’estorsione ai danni di Presta, egli si trovava fuori Rimini e non aveva
partecipato materialmente all’azione. L’acquisizione dei tabulati telefonici chiesta
dalla difesa avrebbe permesso di ricostruire con esattezza la vicenda. In realtà il
Tribunale si era limitato a valorizzare la presenza dello Zavanaiu all’incontro con
Presta negli uffici della Herisson, nel corso della quale era stato Tardio Franco a
parlare, formulando minacce indirette.
Gli indizi erano, quindi, chiaramente insufficienti, al pari di quelli indicati per
la tentata estorsione ai danni di Deutsch, in ordine alla quale il Tribunale aveva
omesso di motivare sulla versione fornita dal ricorrente nell’interrogatorio.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Ricorre per cassazione anche il difensore di Simone Cavaliere, deducendo
violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al reato associativo.
Gli elementi valorizzati dal Tribunale erano nettamente insufficienti a
fondare l’affermazione di responsabilità per il reato associativo: la partecipazione
ad un solo reato fine e ad una sola riunione del gruppo, nel corso della quale
Cavaliere non aveva parlato.

In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento all’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991
contestata per l’estorsione ai danni di Presta Antonio.
Occorreva l’effettivo utilizzo del metodo mafioso che, nel caso di specie,
mancava. La stessa persona offesa aveva escluso di essere stato intimorita o
condizionata dalle condotte degli indagati, né aveva tenuto un atteggiamento
omertoso. Per di più, in quell’episodio, Cavaliere Simone era stato vittima
dell’aggressione di Antonio Presta ed era stato aiutato da altri soggetti solo per
la sua difesa personale; egli era stato inviato dal padre e si era trovato aggredito
e circondato da altre quattro persone; non aveva minacciato Presta, né lo aveva
picchiato o tentato di picchiare; non aveva nemmeno il numero telefonico di
Romaniello Massimo.

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tutte le attività illecite dell’associazione, senza tenere conto che, in occasione

In definitiva, il ricorrente era rimasto coinvolto nella vicenda in maniera del
tutto occasionale.

In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Il Tribunale non aveva affatto valutato un pericolo di recidiva concernente la
persona di Cavaliere Simone, né allo stesso poteva essere riferita la protrazione
delle condotte in un lungo lasso di tempo, avendo preso parte all’unico reato fine

Anche la scelta della misura della custodia cautelare in carcere appariva
priva di motivazione adeguata.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I due ricorrenti non contestano la sussistenza dell’associazione per
delinquere – sulla quale, peraltro, la motivazione dell’ordinanza impugnata è
ampia e convincente – ma solo la partecipazione ad essa.

Si tratta di contestazioni assai generiche: peraltro l’ordinanza motiva
adeguatamente anche con riferimento alle singole posizioni, sottolineando,
quanto a Zavanaiu, il suo ruolo centrale nell’esecuzione di tutte le attività illecite
facenti parte del programma criminoso – ivi comprese le estorsioni e le
intestazioni fittizie delle società relative ai night (settore, quest’ultimo, su cui il
ricorrente non spende parole) nonché la sua partecipazione alle riunioni
associative convocate da Cavaliere Mario presso la sede della Herisson (altro
argomento del tutto tralasciato in ricorso); la difesa si limita, in realtà, a
contestare l’estraneità all’estorsione ai danni di Presta Antonio, ma il Tribunale
sottolinea la sua presenza all’incontro con Presta negli uffici della Herisson
durante il quale Tardio aveva minacciato Presta. La sottolineatura del fatto che a
pronunciare materialmente la minaccia era stata altra persona è assai debole: la
minaccia derivava, ovviamente, dal gruppo presso la cui sede la persona offesa
si trovava.
Quanto a Cavaliere Simone, il Tribunale ha preso in considerazione la
posizione difensiva: ha, peraltro, sottolineato che, nell’estorsione ai danni di
Presta Antonio, egli aveva agito su mandato del padre e nell’interesse dell’intera
associazione; era andato all’incontro con la vittima con il preciso programma di
percuoterla e, in una telefonata successiva, aveva riferito di averlo
effettivamente fatto e di avere avanzato una richiesta estorsiva.

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nel mese di marzo 2012. Si trattava, per di più, di soggetto incensurato.

Il Tribunale deduce l’affectio societatis non solo dalla partecipazione al reato
fine, che, per l’andamento complessivo della vicenda, ha connotazioni
evidentemente associative – deduzione possibile, poiché l’appartenenza di un
soggetto ad un sodalizio criminale può essere ritenuta anche in base alla
partecipazione ad un solo reato fine, laddove il ruolo svolto e le modalità
dell’azione presuppongano un sicuro rapporto fiduciario con gli altri compartecipi
e siano perciò tali da evidenziare con certezza la sussistenza del vincolo (Sez. 3,
n. 43822 del 16/10/2008 – dep. 25/11/2008, Romeo e altri, Rv. 241628) – ma

criminoso, dimostrata da un’intercettazione ambientale ritenuta particolarmente
significativa.

2. I motivi di ricorso concernenti la contestata aggravante di cui all’art. 7
legge 203 del 1991 sono, invece, fondati.

Come premesso, il Tribunale ha nuovamente qualificato il reato associativo
ai sensi dell’art. 416 cod. pen., ritenendo che non sussistessero i presupposti per
ipotizzare l’esistenza di un’associazione mafiosa (decisione non impugnata dal
P.M.); ha ritenuto, peraltro, che i reati fine contestati ai due ricorrenti siano
aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso ai sensi dell’art. 7 legge 203 del 1991.
La decisione fa leva sulla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui per la
configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso” non è
necessaria la dimostrazione o contestazione dell’esistenza di un’associazione per
delinquere di tipo mafioso, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia
assumano veste tipicamente mafiosa (Sez. 1, n. 5881 del 04/11/2011 – dep.
15/02/2012, Giampa’, Rv. 251830); il metodo mafioso, quindi, ben può essere
utilizzato da un gruppo criminale dedito alle estorsioni, qualificato con
riferimento alla fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen. piuttosto che a quella di
cui all’art. 416

bis cod. pen. (Sez. 1, n. 16883 del 13/04/2010 – dep.

04/05/2010, Stellato e altri, Rv. 246753; Sez. 1, n. 4898 del 26/11/2008 – dep.
04/02/2009, Cutolo, Rv. 243346).

Sgombrato il campo da un problema astratto di compatibilità, occorre
tuttavia che il giudice del merito motivi adeguatamente sulla sussistenza della
predetta aggravante, la cui rilevanza è ben superiore ad altre nell’ambito
dell’intero sistema, sia con riferimento alla misura dell’aumento di pena (trattasi
di aggravante ad effetto speciale), sia per il divieto di bilanciamento con
circostanze attenuanti (art. 7, comma 2, legge 203 del 1991), sia per i pesanti
effetti sull’adozione delle misure cautelari (art. 275, comma 3, cod. proc. pen.) e

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anche dalla partecipazione del ricorrente a diverse iniziative assunte dal sodalizio

sul regime penitenziario (art. 4 bis legge 354 del 1975 e norme collegate).
Proprio tale rilevanza impone un’analisi non superficiale della condotta
contestata, così da escludere la sussistenza dell’aggravante nei casi in cui il
“richiamo” alle associazioni mafiose sia effettuato in una situazione niente affatto
corrispondente a quella descritta dall’art. 416

bis

cod. pen.. In effetti,

l’aggravante è integrata quando l’agente si avvale delle “condizioni previste
dall’art. 416 bis cod. pen.”; quando, cioè, si riscontra una “condizione di
assoggettamento e di omertà” derivante dalla “forza di intimidazione del vincolo

La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente richiesto che il giudice di
merito, nell’analizzare l’aggravante in questione, verifichi che il comportamento
tenuto sia oggettivamente idoneo ad esercitare sulle vittime del reato la
particolare coartazione psicologica evocata dalla norma menzionata,
comportandosi l’agente come mafioso oppure ostentando, in maniere evidente e
provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella
particolare coartazione e quella conseguente intimidazione che sono proprie delle
organizzazioni di tipo mafioso; l’utilizzo del metodo mafioso non può essere
desunto dalla mera reazione delle stesse vittime alla condotta tenuta dall’agente
(Sez. 6, n. 28017 del 26/05/2011 – dep. 15/07/2011, Mitidieri, Rv. 250541);
d’altro canto, la fattispecie di estorsione richiede già un’obiettiva idoneità della
condotta a coartare la volontà del soggetto passivo, cosicché il rischio è quello di
desumere dall’avvenuta costrizione della persona offesa, insita nel reato,
l’esistenza dell’aggravante: perché questa ricorra è necessario che la condotta
sia idonea a determinare una condizione d’assoggettamento e d’omertà (Sez. 5,
n. 28442 del 17/04/2009 – dep. 10/07/2009, Russo e altri, Rv. 244333); essa
deve, cioè, avere i caratteri propri dell’intimidazione derivante
dall’organizzazione criminale evocata (Sez. 6, n. 21342 del 02/04/2007 – dep.
31/05/2007, Mauro, Rv. 236628).

L’esistenza di un’associazione mafiosa e l’appartenenza ad essa dell’agente
assume, allora, una rilevanza diversa, perché la condizione generalizzata di
assoggettamento e di omertà conseguente all’operatività di associazioni di
questo tipo in determinate zone del territorio permette di ritenere integrata
l’aggravante pur in presenza di condotte apparentemente poco “minacciose”:
cosicché è stata ritenuta integrata l’aggravante nella condotta di colui che
ottenga somme destinate alla distribuzione ai sodali in occasione delle festività
pasquali e natalizie, ponendosi al cospetto delle persone offese come emissario
di un gruppo criminale organizzato e rappresentando loro l’incontrastabilità e
l’ineluttabilità degli scopi dell’associazione (Sez. 1, n. 17532 del 02/04/2012 –

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associativo”.

dep. 10/05/2012, Dolce, Rv. 252649) o in quella di colui che prospetti l’utilizzo
delle somme estorte per aiutare le famiglie degli “amici carcerati”, senza
nemmeno menzionare l’organizzazione criminale nel contesto delle richieste
estorsive, in quanto il mezzo di coartazione della volontà facente ricorso al
vincolo mafioso, e alla connessa condizione di assoggettamento, può esprimersi
in forma indiretta, o anche per implicito (Sez. 6, n. 31385 del 04/07/2011 – dep.
05/08/2011, Carrubba, Rv. 250554).

dove avvengono le richieste estorsive o, comunque, non è in grado di
determinare una generalizzata condizione di assoggettamento ed omertà, la
oggettiva idoneità di cui sopra si è fatto riferimento deve essere attentamente
verificata.
Da questo punto di vista, la motivazione dell’ordinanza impugnata appare
decisamente carente: il Tribunale osserva che “le vittime delle estorsioni hanno
espressamente dichiarato di avere ricevuto minacce dai membri del sodalizio in
cui si richiamava l’appartenenza ad un gruppo di non meglio precisati
“napoletani”, ovvero al “clan degli scissionisti”; in sostanza, le vittime avevano
avuto l’impressione di avere a che fare con un’organizzazione composta da
persone pericolose, in grado di contare sull’appoggio di numerosi altri soggetti
dediti ad azioni delittuose, nonché capaci di fare del male anche ai loro familiari.
Gli indagati sono riusciti ad ingenerare nelle persone offese l’idea che
l’organizzazione fosse in grado di inviare una serie indeterminata di soggetti
capaci di perseguitarli in caso di mancata adesione alle richieste estorsive; ciò ha
determinato uno stato di soggezione e di omertà delle vittime, idoneo a
configurare l’aggravante in questione”; ma la descrizione appena fatta non
appare effettivamente connessa all’analisi concreta delle due estorsioni che in
questa sede interessano, se si tiene presente, in primo luogo, che Deutsch Paolo
ha presentato denuncia e che, quanto a Presta Antonio, l’utilizzo del metodo
mafioso discenderebbe esclusivamente dal richiamo da parte di Romaniello a non
meglio precisati “napoletani” e al “clan degli scissionisti”.

L’ordinanza, d’altro canto, appare contraddittoria quando – nel passo in cui
esclude la natura mafiosa dell’associazione per delinquere – dà atto
esplicitamente (pag. 32) che “non pare emergere uno stato di soggezione e di
omertà derivante dal timore ingenerato dalla consorteria criminosa in quanto
tale. Invero, le vittime si decidevano ad esaudire le richieste estorsive solo dopo
aver subito minacce e percosse da parte dei membri del gruppo e alcune di loro
non si sono lasciate neppure intimidire, decidendo di sporgere denuncia (vicenda

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Se, invece, l’associazione mafiosa non esiste, ovvero non opera nella zona

Deutsch); l’associazione in esame operava in un territorio diverso da quello
campano ed era composto da soggetti provenienti da diverse città italiane,
quindi non appariva immediatamente riconoscibile da parte delle persone offese
quale manifestazione locale della camorra”.

Il giudice di rinvio, pertanto, verificherà, con riferimento agli specifici episodi
estorsivi contestati, se ricorre l’oggettiva idoneità a determinare la condizione di
assoggettamento e di omertà, distinguibile dalla idoneità a coartare la volontà

3. L’annullamento dell’ordinanza impugnata con riferimento all’aggravante di
cui all’art. 7 legge 203 del 1991 comporta inevitabilmente la necessità di un
riesame del provvedimento con riferimento alle esigenze cautelari e
all’adeguatezza della misura adottata: il Tribunale ha, infatti, fondato la propria
decisione sulla presunzione posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., così
come corretta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 57 del 2013; nel caso
il Giudice di rinvio ritenesse di escludere la sussistenza dell’aggravante in
questione, tale presunzione non sarebbe più operante.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di
cui all’art. 7 D.L. 152 del 1991 ed alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo
esame su tali punti al Tribunale di Bologna. Rigetta nel resto i ricorsi.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 7 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

della vittima insita nel delitto di estorsione.

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