Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3794 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3794 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AGNELLI GIOVANNI N. IL 12/01/1963
avverso l’ordinanza n. 238/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 16/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
SILVIO BONITO;
.e/sentite le conclusioni del PG Dott.
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j-e-P

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 07/11/2013

La Corte osserva in fatto ed in diritto:

1. Con ordinanza del 16 maggio 2013 il Tribunale di Reggio
Calabria, in funzione di giudice del riesame, rigettava l’appello
proposto a mente dell’art. 310 c.p.p. da Agnelli Giovanni avverso
l’ordinanza con la quale la Corte di appello della medesima sede, in
data 12.02.2013, gli aveva negato la revoca ovvero la sostituzione
della misura cautelare in carcere in corso a suo carico dal giorno
8.3.2011 per il reato di cui all’art. 416-bis c.p.p..
A sostegno della decisione il Tribunale osservava: il ricorrente è
stato condannato con sentenza n. 106/2012 dal GUP di Reggio
Calabria alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione per il
reato di cui all’art. 416-bis c.p.; in particolare l’imputato è stato
riconosciuto colpevole di appartenere alla c.d “locale di Oliveto”,
svolgendo per la `ndrangheta operante su quel territorio il ruolo di
segretario e cioè di informatore dei sodali i quali tutti convergevano
nel suo Bar; il reato contestato, ai sensi dell’art. 273 co. 2 c.p.p.,
non consente attenuazioni della misura e prevede la possibilità di
accogliere la domanda difensiva soltanto se acquisiti elementi per
escludere la sussistenza di esigenze cautelari; al riguardo il
ricorrente oppone l’intervenuta sentenza di condanna, la sua
incensuratezza, la volontà di trasferirsi a Ventimiglia e la chiusura
del bar ove per l’accusa egli avrebbe svolto la suo opera delittuosa;
gli esposti dati non sono idonei a superare i limiti di legge, perché,
in particolare, la lontananza territoriale non ha impedito i
collegamenti malavitosi di una potente associazione per delinquere
come quella della quale il ricorrente è stato provato essere un
sodale.
2. Ricorre per l’annullamento dell’impugnata ordinanza l’imputato,
assistito dal difensore di fiducia, il quale illustra a tal fine un unico
ed articolato motivo di impugnazione, con il quale denuncia
illogicità e contraddittorietà della motivazione, nonché violazione di
legge in relazione agli artt. 275 co. 3 c.p.p..
Deduce in particolare con esso la difesa: il ricorrente è stato
condannato per aver svolto il molo di segretario della “locale”
comunicando notizie ed informazioni ai sodali del gruppo i quali
per questo frequentavano il suo bar, punto di riferimento di più
gruppi malavitosi; la chiusura del bar ormai rende impossibile la
reiterazione di quella condotta; l’allontanamento a Ventimiglia, ove
il ricorrente ha una opportunità di lavoro ed ove intende trasferirsi,
dimostrano la sua volontà di recidere ogni legame col territorio e
i

con gruppo al quale si ritiene egli abbia appartenuto; il ricorrente
non ha avuto alcuna carica all’interno della “locale” di
appartenenza, è assolutamente incensurato e non ha mai subito
segnalazioni di polizia fino al processo; il ricorrente ha espiato due
anni di carcerazione preventiva; la motivazione del Tribunale si
appalesa apodittica ed apparente e non a caso in essa compare un
imputato destinatario del provvedimento diverso dal ricorrente.

3. Il ricorso è infondato.
Ed invero, il ricorrente è stato giudicato colpevole di appartenere ad
una associazione per delinquere di stampo mafioso, sicchè allo stato
la misura cautelare poggia non più soltanto su gravi indizi di
colpevolezza, ma su una delibazione giurisdizionale di merito
ancorchè non ancora definitiva.
Tanto premesso, osserva il Collegio che la valutazione della
fattispecie dedotta in giudizio non può prescindere
dall’applicazione della norma di particolare rigore di cui all’art. 275
co. 3 c.p.p..
In tema di revoca della custodia cautelare in carcere applicata nei
confronti di soggetto indagato per il reato di associazione di tipo
mafioso, l’articolo 275, comma 3, del c.p.p. pone infatti una
presunzione di pericolosità e di adeguatezza ex lege della misura,
che possono essere superate con la dimostrazione non solo della
rescissione del vincolo o, se si preferisce, dell’intervenuta
dissociazione, ma anche di altri accadimenti dai quali possa
desumersi l’impossibilità del singolo di continuare a fornire il suo
contributo alla associazione criminosa: in altri termini, occorre
anche la dimostrazione di quei fatti – umani o naturali – che rendono
impossibile che il soggetto possa continuare a fornire il suo
contributo all’organizzazione per conto della quale ha operato
(Cass., Sez. V, 19/11/2004, n. 48430).
Nel caso in esame non risulta acquisita la prova nè di una
rescissione del vincolo associativo da parte dell’imputato, nè
tampoco di una sua dissociazione, mentre le circostanze a sé
favorevoli illustrate dalla difesa risultano adeguatamente valutate e
bilanciate dal giudice di merito che ne ha, con logica motivazione,
delibato l’insufficienza a vincere la presunzione di cui alla norma di
rigore.
Ha in particolare il Tribunale rilevato la scarsa consistenza della
circostanza data dalla chiusura del bar gestito dal ricorrente, luogo
di incontro dei sodali e l’irrilevanza di un suo trasferimento a
Ventimiglia, attesa la nota dimensione nazionale e sovranazionale
dell’azione criminale delle associazioni malavitose calabresi.
2

Trasmessa copia ex art. 23
n. I ter L. 8 , 3-;5 n. 332
111
Roma, n_211+

4. Il ricorso va in conclusione rigettato, considerate le questioni in
diritto comunque prospettate dal ricorrente, il quale va pertanto
condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese
processuali.
P. T. M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali. DISPONE trasmettersi a cura della
cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto
penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, addì 7 novembre 2013
Il cons. est.
Il Presidente

A ciò oppone la difesa ricorrente una differente lettura dei dati in
argomento, tra cui quella relativa allo stesso ruolo ricoperto nel
gruppo dall’imputato, il quale peraltro ha subito per questo una
severa condanna, lettura alternativa a quella argomentata
logicamente dal giudice di merito e per questo improponibile in
questa sede di legittimità.

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