Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37921 del 06/07/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37921 Anno 2018
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: FILIPPINI STEFANO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GIORDANO LICCARDO MAURIZIO nato a PALERMO il 24/04/1966

avverso la sentenza del 18/04/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO FILIPPINI;

Data Udienza: 06/07/2018

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La CORTE APPELLO di PALERMO, con sentenza in data 18/04/2017, confermava la condanna alla
pena ritenuta di giustizia pronunciata dal TRIBUNALE di PALERMO, in data 24/02/2016, nei
confronti di GIORDANO LICCARDO MAURIZIO in relazione al reato di cui all art. 648 CP (più grave)
ed altro.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità per i reati di
ricettazione e truffa sulla sola base dell’acritico recepimento delle dichiarazioni della persona offesa;
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento dell’ipotesi
– violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento
dell’attenuante ex art. 62 n. 4 CP.
Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato e comunque del tutto generico. Il
giudice di appello ha rilevato come non sia stata neppure contestata l’attendibilità della persona
offesa ed ha affermato sia la valenza ingannatoria dell’azione truffaldina, sia la penale
responsabilità per la ricettazione tenuto conto, a quest’ultimo proposito, dell’accertata, e mai
convincentemente giustificata, disponibilità dei titoli di provenienza furtiva in oggetto (all’evidenza
acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di circolazione).
In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata – quanto alla qualificazione giuridica
del fatto accertato – al consolidato orientamento di questa Corte (per tutte, Sez. II, n. 29198 del
25/05/2010, Fontanella, rv. 248265), per il quale, ai fini della configurabilità del reato di
ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o
non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice
della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede; d’altro canto
(Sez. II, n. 45256 del 22/11/2007, Lapertosa, Rv. 238515), ricorre il dolo di ricettazione nella
forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o
ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel
verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di
cose di sospetta provenienza. Né si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso
delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose
medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che
potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice,
e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del
libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007, Rv. 236914).
Si è anche, più specificamente, chiarito (da ultimo, Sez. II, n. 22120 del 07/02/2013, Mercuri, Rv.
255929), che chi riceva od acquisti un assegno bancario al di fuori delle regole che ne disciplinano
la circolazione è necessariamente consapevole della sua provenienza illecita.
Comunque, come accennato, del tutto generici risultano i rilievi difensivi in tema di penale
responsabilità.
Quanto al tema dell’ipotesi attenuata di ricettazione, dell’entità della pena e dell’attenuante ex art.
62 n. 4 CP si è logicamente fatto riferimento al valore non certo contenuto dell’importo portato
dall’assegno (euro 3.500,00).
Pienamente adeguata è la motivazione offerta a proposito del diniego delle attenuanti generiche
(numerosi preceedenti penali); infatti, la mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile

attenuata di ricettazione e delle attenuanti generiche;

in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio
affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il
diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli
altri da tale valutazione (Sez. 2, n.3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del
16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Né sussistono criticità in relazione alla graduazione della pena, posto che la stessa, anche in
relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena
base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico
(Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata,
specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia
di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a
dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: ‘pena congrua’,
‘pena equa’ o ‘congruo aumento’, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a
delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596) .
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento
della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.

Così deciso il 06/07/2018

inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della

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