Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3792 del 03/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3792 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ALDEGHI FEDERICO, nato il 19/09/1984
avverso la sentenza n. 632/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
24/01/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 3/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere
Dott. EMILIO IANNELLO;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FULVIO BALDI che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 4 aprile 2012 il Tribunale di Lecco, all’esito di giudizio
abbreviato, dichiarava Aldeghi Federico colpevole dei reati p. e p. dagli artt. 186,
commi 2, lett. c) e 2 bis, 186-bis e 187, comma 8, cod. strada a lui ascritti per

aver guidato un’autovettura in stato di ebbrezza conseguente all’uso di bevande
alcoliche (tasso alcolemico accertato mediante etilometro pari a 1,81 g/I alla
prima misurazione e 1,74 g/I alla seconda) e per essersi inoltre rifiutato di
sottoporsi agli accertamenti qualitativi tesi a verificare lo stato di alterazione
conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, con le aggravanti di
avere commesso il fatto nei primi tre anni dal conseguimento della patente di
guida di categoria B e di aver provocato un incidente stradale: fatt@ commesso; il

Data Udienza: 03/12/2014

3/2/2011.
Ritenuta la continuazione tra i reati e concesse le attenuanti generiche, con
giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, l’Aldeghi era pertanto
condannato, applicata la riduzione per il rito, alla pena di sei mesi di arresto ed C
3.000,00 di ammenda, con i benefici della sospensione condizionale della pena e
della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario. Era
altresì disposta la sospensione della patente di guida per la durata di un anno.

d’appello di Milano, in parziale riforma della decisione impugnata, escludeva
l’aggravante di cui all’art. 186-bis, comma 3, cod. strada ma confermava per il
resto la sentenza di primo grado.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del proprio
difensore articolando sei motivi.

3.1. Con il primo deduce violazione di legge in relazione alla attribuzione di
rilievo penale al rifiuto opposto all’invito degli agenti operanti di sottoporsi ad
accertamenti per la rilevazione dello stato di alterazione psico-fisica derivante
dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Sostiene che la clausola di riserva contenuta in apertura del comma 8
dell’art. 187 cod. strada («salvo che il fatto costituisca reato»),

specie se

raffrontata alla previsione di cui alla comma 7 dell’art. 186 cod. strada, implica
che la fattispecie ivi prevista non costituisce reato e che il richiamo, in essa
contenuto, alle sanzioni di cui a tale ultima previsione, deve intendersi riferito
esclusivamente a quelle di natura amministrativa (sospensione della patente).
Ne discende, secondo il ricorrente, che l’imputato avrebbe dovuto essere
assolto da tale imputazione non essendo la fattispecie prevista come reato.

3.2. Con il secondo deduce ancora violazione dell’art. 12, comma 1,
preleggi, assumendo che, attribuendo rilevanza penale alla fattispecie prevista
dalla citata norma del codice della strada, il giudice di merito si è discostato in
modo evidente dal contenuto letterale della disposizione.

3.3. Con il terzo motivo deduce altresì violazione dell’art. 81 cod. pen. in
relazione all’applicato aumento per la continuazione, in quanto indebitamente
operato con riferimento a una fattispecie non costituente reato.

3.4. Con il quarto motivo deduce violazione del divieto di reformatio in pejus

2. Interposto appello dall’imputato, con sentenza del 24/1/2014, la Corte

(art. 597, comma 3, cod. proc. pen.) con riferimento al giudizio di comparazione
tra le circostanze.
Assume, infatti, che la Corte d’appello ha operato una riforma peggiorativa
della decisione sul punto del giudice di primo grado, affermando la prevalenza
dell’unica aggravante ritenuta in sentenza sulle attenuanti generiche (a fronte
delle due aggravanti considerate invece sussistenti dal tribunale con giudizio di
equivalenza con le dette attenuanti).

osservando che, se il giudice di primo grado aveva ritenuto le circostanze
attenuanti generiche equivalenti alle due aggravanti contestate, la Corte
d’appello, allora, una volta esclusa la sussistenza di una di tali aggravanti,
avrebbe dovuto logicamente concludere per un giudizio di prevalenza delle
attenuanti generiche rispetto alla residua aggravante.

3.6. Con il sesto motivo deduce, infine, violazione di legge assumendo che il
giudizio di comparazione operato dalla Corte d’appello si risolve nella mancata
applicazione dell’art. 62-bis cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I primi tre motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili, sono infondati.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il mancato coordinamento
tra l’art. 186, comma 7, cod. strada e l’art. 187, comma 8, cod. strada (che alla
prima disposizione fa rinvio) non è d’ostacolo a ritenere che la formulazione
letterale della norma richiamante e della norma richiamata escluda che il rifiuto
di sottoporsi a narcotest costituisca mero illecito amministrativo e non invece
ipotesi contravvenzionale al pari dell’omologo rifiuto di sottoporsi al test
alcoolimetrico (Sez. 4, n. 24604 del 12/03/2014, Manco, non massimata; Sez. 4,
n. 3270 del 05/06/2012, dep. 2013, Bovo, Rv. 255003).
La formulazione parzialmente diversa delle clausole di riserva con cui
esordiscono l’art. 187, comma 8, e l’art. 186, comma 7 (nel testo attualmente in
vigore: «salvo che il fatto costituisca reato», la prima, e «salvo che il fatto
costituisca più grave reato», la seconda) non può condurre, infatti, diversamente
da quanto sostenuto dall’odierno ricorrente, a svuotare di significato il rinvio
ricettizio enunciato nella disposizione richiamante a quella contenente la
disciplina della fattispecie di reato applicabile in caso di rifiuto di sottoporsi a
narcotest, come avverrebbe ove si intendesse il richiamo come operato alle sole
sanzioni di natura amministrativa. Tale operazione, infatti, da un lato, non è

3.5. Con il quinto motivo deduce al riguardo anche vizio di motivazione,

consentita dalla formulazione della norma che, nel far richiamo alle «sanzioni di

cui all’art. 186, comma 7» non contiene alcuna specificazione della loro natura
che valga a escludere dal rinvio quelle di carattere penale pure previste nella
norma richiamata (seppure in virtù, a sua volta, di un rinvio alla previsione di cui
all’art. 186, comma 2, lett. c); dall’altro, non può dirsi imposta dalla clausola di
apertura, di per sé equivoca e ben più plausibimente spiegabile, come appunto
è stato fatto nei precedenti citati, alla stregua di un mero difetto di
coordinamento tra la norma richiamante e quella richiamata, concretatosi in

particolare, del suo inciso di apertura, successivamente alla modifica della
seconda (norma richiamata), quale introdotta dall’art. 33, comma 1, lett. g),
legge 29 luglio 2010, n. 120.
Questa, invero, rivedendo la scelta operata nel 2007, allorquando il rifiuto di
sottoporsi ad accertamenti per il rilevamento del tasso alcolemico era stato
depenalizzato (dall’art. 5, comma 2, lett.

d, d.l. 3 agosto 2007, n. 117,

convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160) – donde la
parallela modifica dell’art. 187, comma 8, cod. strada con l’introduzione
dell’inciso in questione – ha nuovamente qualificato detto rifiuto come reato,
senza che, per un’evidente mera disattenzione compilativa, si sia provveduto ad
eliminare, dal testo del predetto comma 8 dell’art. 187, l’inciso iniziale introdotto
nel 2007.

5. Sono parimenti infondati i rimanenti motivi di ricorso, pure essi riferiti ad
una medesima questione e, quindi, congiuntamente esaminabili.
Giova rilevare anzitutto che l’assunto posto in premessa del primo di essi
(quarto motivo), secondo cui la Corte d’appello avrebbe riformulato il giudizio di
comparazione tra le circostanze in termini peggiorativi attribuendo prevalenza sulle attenuanti generiche – all’unica aggravante residuata dalla parziale riforma
(quella di aver provocato un incidente stradale: art. 186, comma 2-bis), è frutto
di una non corretta lettura delle statuizioni contenute nella sentenza. Se è vero,
infatti, che la motivazione sembra in effetti contenere un giudizio di «prevalenza

delle aggravanti sulle attenuanti generiche» (v. pag. 3 della sentenza impugnata,
ultimo inciso nella parte motiva), occorre nondimeno prendere atto che in
dispositivo, in realtà, pur escludendosi l’aggravante di cui all’art. 186-bis, comma
3, cod. strada, la sentenza esprime una statuizione di

«conferma» della

decisione di primo grado «nel resto» e, quindi, anche in punto di giudizio di
comparazione tra circostanze eterogenee.
Se ne desume che, con quella motivazione, pur imprecisa ed equivoca, la
Corte territoriale ha voluto solo giustificare il mantenimento del giudizio di
4

particolare nell’omesso aggiornamento della prima (norma richiamante) e, in

equivalenza tra attenuanti generiche e aggravante, pur essendo venuta meno
una delle due aggravanti considerate in primo grado.
Con riferimento ai restanti profili di censura è sufficiente rilevare che l’esito
di tale nuovo giudizio di comparazione, confermativo della equivalenza già
ritenuta in primo grado, pur venuta meno una delle due aggravanti inizialmente
considerate, è perfettamente legittimo e ammissibile sul piano logico e giuridico.
Ed invero, secondo indirizzo prevalente nella giurisprudenza di legittimità,
da ultimo confermato dalle Sezioni unite, il giudice di appello, dopo aver escluso

accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto di

reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il
giudizio di equivalenza tra le circostanze, purchè questo sia accompagnato da
adeguata motivazione (Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola, Rv. 255660).
Si osserva infatti, condivisibilmente, che, posta «la innegabile autonomia e

discrezionalità del giudizio di comparazione, che non sempre conduce ad
attribuire un peso quantitativamente apprezzabile ad ogni elemento considerato
(sicché un’alterazione dei termini in comparazione non comporta
necessariamente una alterazione altresì del giudizio precedentemente
espresso)», non potendo trovare applicazione
esclusivamente matematica»,

«una logica rigidamente ed

non può nemmeno trovare spazio una

«presunzione assoluta della necessità di modifica del precedente giudizio
implicante un’obbligatoria formulazione di un giudizio più favorevole da parte del
giudice d’appello»; si verrebbe, infatti, altrimenti, «ove non si riconoscesse al
giudice di appello – allorquando dall’accoglimento dell’impugnazione consegua
la necessità di un nuovo giudizio di comparazione – uno spazio deliberativo
autonomo … ad attribuire la stessa ‘efficacia demolitrice’ del giudizio di
comparazione operato in primo grado a tutti i casi di sottrazione di una o più
circostanze aggravanti od aggiunta di una o più circostanze attenuanti, siano
esse afferenti a dati marginali per qualità e quantità ovvero siano esse di
estremo rilievo qualitativo o quantitativo».
Nel caso di specie la Corte territoriale non si è sottratta all’onere della
necessaria revisione del giudizio di comparazione e di motivarne il relativo esito,
evidenziando per l’appunto il particolare peso attribuibile alla residua circostanza
aggravante, per tal motivo ritenuta – con non illogica valutazione di merito,
come tale insindacabile in questa sede – inidonea di per sé a giustificare

il

mantenimento del giudizio di equivalenza.

6. Il ricorso va pertanto rigettato con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
5

una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in

l’A.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 3/12/2014

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