Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3789 del 07/11/2013

Penale Sent. Sez. 1 Num. 3789 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
B.B.
avverso l’ordinanza n. 3307/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
07/05/2013
senjjta la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI ;
‘ett e/sentite le conclusioni del PG Dott. \ Qs.

Udit i difen o Avv.WA

Ose:VimierKkh

L

oey\f,

Data Udienza: 07/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7/5/2013, il Tribunale di Napoli, provvedendo sulle
richieste di riesame proposte da A.A. e B.B. avverso le
ordinanze del G.I.P. dello stesso Tribunale che applicavano nei loro confronti la
misura della custodia cautelare in carcere, confermava le ordinanze impugnate.
Ai ricorrenti è contestato il reato di concorso esterno all’associazione
camorristica del clan dei casalesi, avendo contribuito al controllo delle attività

reinvestimento in attività immobiliari, imprenditoriali, finanziarie e commerciali
degli ingenti capitali derivati dall’attività delittuosa, all’affermazione del controllo
egemonico sul territorio e al conseguimento di vantaggi e profitti ingiusti.
Più specificamente, B.B. avrebbe mantenuto i rapporti con una
società che aveva realizzato programmi informatici per la raccolta illegale delle
scommesse, provvedendo anche al pagamento del canone del server della
società; A.A. avrebbe abusivamente esercitato la raccolta di
scommesse su eventi sportivi attraverso le piattaforme informatiche predisposte
dal sodalizio mafioso diretto da Venosa Salvatore, mediante due esercizi,
intestati alla moglie e al figlio, titolari di autorizzazione dell’Amministrazione dei
Monopoli di Stato, intervenendo anche sui gestori di altre agenzie di scommesse.
Inoltre è contestata ad entrambi la partecipazione ad un’associazione per
delinquere, costituita con tecnici esperti informatici e titolari di un sito illegale di
scommesse clandestine, ma anche con titolari di attività economiche lecite
nonché con soggetti appartenenti al clan dei casalesi, al fine di commettere un
numero indeterminato di delitti di abusiva raccolta delle scommesse clandestine,
raccolta esercitata attraverso piattaforme informatiche all’uopo realizzate;
ancora, è contestato il delitto di illecita concorrenza con minaccia e violenza,
aggravato ai sensi dell’art. 7 legge 203 del 1991, ai danni di un gestore di
un’agenzia abusiva di scommesse; ad entrambi, infine, è contestato il delitto di
esercizio abusivo dell’organizzazione di scommesse riservate per legge allo Stato
e al C.O.N.I..
Il Tribunale richiamava le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e gli
accertamenti tecnici compiuti, anche attraverso il massiccio ricorso
all’intercettazione di flussi telematici. Erano state realizzate piattaforme web
illegali per la raccolta clandestina delle scommesse su eventi sportivi, con
un’organizzazione gerarchica (webmaster, master e agenzie) e una struttura
clandestina parallela a quella autorizzata, ma con parziale sovrapposizione tra la
struttura legale e quella illegale: l’attività illecita, infatti, veniva spesso svolta in
agenzie autorizzate, verosimilmente con il raggiro dei consumatori finali, ai quali

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economiche, in particolare al settore delle scommesse sportive, al

venivano consegnate ricevute riportanti i loghi contraffatti delle società
autorizzate.
Le intercettazioni telefoniche e i pedinamenti avevano dimostrato che al
vertice dell’organizzazione (come “superwebmaster”) si trovavano Di Nardo
Giovanni e B.B.; ciascuno dei partecipi era, poi, in possesso di
usernames e password che permettevano di accedere solo alle operazioni
compiute dagli utenti sottordinati. La struttura dell’organizzazione era stata
ricostruita anche attraverso le schermate – estrapolate nel corso

Di Nardo e B.B. erano stati ripetutamente ascoltati mentre
risolvevano innumerevoli problemi tecnici segnalati dai soggetti che
raccoglievano le scommesse. Il Tribunale rilevava che B.B. aveva
ammesso, nell’interrogatorio di garanzia, la natura illecita del sistema di gioco
elaborato.

Quanto alla contiguità del gruppo al clan dei casalesi, il Tribunale richiamava
le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenuti intrinsecamente attendibili:
Diana Francesco, Barone Michele, Tammaro Diana, Venosa Salvatore, che prima
del suo arresto aveva assunto un ruolo apicale nel clan dei casalesi, Pirozzi
Giuliano.
Venosa Salvatore, in particolare, aveva riferito di essere entrato nel
business delle scommesse on line illegali nel 2011, con Di Nardo Giovanni (che
era fidanzato con sua sorella) e B.B. (Luigi, o “Gigino” di Giugliano),
socio del Di Nardo; B.B., in quel periodo, era in dissidio con i fratelli Alfiero,
con cui in precedenza collaborava. Venosa aveva rilevato il sito “Domitiabet” in
precedenza utilizzato dagli Alfiero e aveva iniziato a dirigere una nuova
piattaforma informatica (GSL), mentre, per risolvere i problemi di pagamento,
B.B. era stato costretto a firmare assegni e cambiali in favore di
Vittorio Alfiero.
Le intercettazioni telefoniche avevano dimostrato l’esistenza dei contrasti tra
B.B. e Alfiero Vittorio nonché l’attività di superwebmaster svolta dal
primo, anche in collaborazione con Di Nardo e Alfiero; diversi erano anche i
riferimenti alle somme versate da B.B. al clan dei casalesi (diecimila euro
da mandare “al paese”).
In definitiva, secondo il Tribunale, la struttura associativa che aveva al
proprio vertice Di Nardo Giovanni e B.B. e cui partecipava anche
A.A., interagiva con i clan camorristici della zona: con il clan dei
casalesi, attraverso Venosa Salvatore, con il gruppo Schiavone del medesimo
clan, attraverso i fratelli Alfiero, e con il clan Mallardo; la immedesimazione

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dell’intercettazione – visualizzate dai due superwebmasters.

organica tra le figure apicali dell’associazione e la componente camorristica – in
particolare Venosa Salvatore – induceva il Tribunale a ritenere fondata la
contestazione ai ricorrenti del delitto di concorso all’associazione mafiosa,
essendo evidente il rapporto sinallagmatico instauratosi attraverso lo scambio tra
la partecipazione riservata al clan agli utili dell’illecita attività e la protezione
garantita dal sodalizio camorristico, in grado di assicurare l’esclusiva sul
territorio.

entrambi i fratelli AB(che il Tribunale riqualificava come violenza privata
aggravata ai sensi dell’art. 7 legge 203 del 1991) confermava tale conclusione:
si trattava di un intervento svolto con metodo mafioso su un gestore di un circolo
ove venivano raccolte scommesse clandestine, non autorizzate
dall’organizzazione criminale.
In definitiva, secondo il Tribunale, gli AB integravano la figura
dell’imprenditore colluso con l’associazione camorristica e non quella
dell’imprenditore vittima.

Secondo il Tribunale, anche A.A. era consapevole e partecipe
del sistema: i “conti gioco” da lui gestiti dipendevano dall’account del fratello
Salvatore ed egli versava una quota dei profitti a Luigi, quale superwebmaster,
alla stessa stregua di tutti i gestori che raccoglievano le scommesse utilizzando i
siti illegali; nei suoi colloqui con Luigi risultava chiaro il riferimento alla “tassa”
pagata all’associazione camorristica.

Il Tribunale riteneva sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274, cod.
proc. pen. ed applicava la presunzione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc.
pen..

2. Ricorre per cassazione il difensore di A.A., deducendo
distinti motivi.
In un primo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento
al contestato concorso esterno all’associazione mafiosa. Il concorrente esterno
deve aver tenuto una condotta espressiva della sua disponibilità a partecipare
all’associazione e deve avere agito con la coscienza e volontà di concorrere alla
realizzazione del suo programma delinquenziale; deve essere consapevole dei
metodi e dei fini dell’associazione mafiosa e della efficacia causale della sua
attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione e il rafforzamento
dell’associazione. Per il reato è necessario il dolo diretto.

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L’episodio di illecita concorrenza mediante violenza e minaccia contestata ad

Tali principi dovevano indurre il Tribunale a ritenere insussistente il reato
con riferimento a A.A.: il Tribunale, infatti, faceva leva su un unico
episodio di violenza privata aggravata, in cui lo stesso aveva dimostrato di non
conoscere nemmeno il circolo “concorrente” e, quindi, di non cercare affatto la
protezione del clan camorristico per garantirsi il monopolio dell’attività; in
aggiunta, il secondo colloquio intercettato, intercorso tra Di Nardo Giovanni e
Panzariello Angelo, non dimostrava affatto che fosse effettivamente stata
operata l’intimidazione del “concorrente”.

nell’ordinanza impugnata avesse fatto qualche riferimento a lui e che B.B., nella sua confessione, avesse escluso ogni responsabilità del fratello.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce analogo vizio dell’ordinanza
impugnata con riferimento alla contestata aggravante di cui all’art. 7 legge 203
del 1991: non emergeva nessuna appartenenza né concorso esterno
all’associazione camorristica, né l’utilizzo da parte sua del metodo mafioso.

In un terzo motivo si deduce analogo vizio con riferimento alla contestata
partecipazione all’associazione per delinquere: non erano stati evidenziati
specifici comportamenti dell’indagato, titolare di due punti scommesse
autorizzati e privo della qualifica di webmaster; non si riscontravano specifici
episodi di collusione criminosa con altri indagati; inoltre la conversazione con il
fratello Luigi riportata nell’ordinanza faceva riferimento all’attività lecita posta in
essere dal ricorrente.

In un ultimo motivo il ricorrente deduce vizio della motivazione con
riferimento al reato di violenza privata aggravata, sulla base delle considerazioni
già esposte.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Ricorre per cassazione anche il difensore di B.B., chiedendo
l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente al capo B (concorso
esterno all’associazione camorristica) e alla ritenuta aggravante di cui all’art. 7
legge 203 del 1991 con riferimento agli altri reati contestati.

Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento
al concorso esterno all’associazione mafiosa.
In primo luogo si sottolinea che il riferimento al clan Mallardo contenuto
nell’ordinanza impugnata era del tutto estraneo alla contestazione, che

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Il ricorrente sottolinea come nessuno dei collaboratori di giustizia menzionati

menzionava il concorso esterno al clan dei casalesi.
Si deduce, poi, l’assenza di vaglio critico delle dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia. In particolare, Francesco Diana ascriveva a sé e a Russo Angelo, con
la collaborazione tecnica ed operativa di Alfiero Vittorio, la gestione camorristica
delle scommesse illegali nel casertano, mentre Venosa Salvatore non faceva
alcun riferimento a Russo Angelo e a Diana Francesco e descriveva il business
delle scommesse illegali come gestito da Di Nardo Giovanni e da B.B.:
due versioni, quindi, del tutto differenti.

vertice del clan dei casalesi e dell’associazione del Di Nardo e dello B.B., era
fondata nei confronti di quest’ultimo l’accusa di concorrente esterno
nell’associazione camorristica – cadeva di fronte alla constatazione che a Venosa
non era contestata la partecipazione all’altra associazione: non vi era, quindi,
alcuna immedesimazione delle posizioni apicali delle due associazioni. Per di più,
lo stesso Venosa Salvatore aveva dichiarato, in un passo non menzionato nelle
ordinanze, di avere estromesso B.B. dall’associazione, dopo averlo costretto
a pagare una somma di denaro ad Alfiero, e di avere iniziato a gestirla insieme a
Di Nardo Giovanni.
Irrilevante era, poi, l’episodio della minaccia contestata al capo D: non solo
non era in alcun modo riscontrata, ma essa riguardava il territorio di Giugliano in
Campania, nel quale il clan dei casalesi non opera.
Anche il riferimento alle somme da mandare “al paese” era erroneamente
riferita al clan dei casalesi: in altra ordinanza a carico di S.S. più
2, esattamente si interpretava la menzione del “paese” come riferimento al clan
egemone nel territorio che, operando S.S. in Giugliano in Campania, non
poteva essere il clan dei casalesi.
Mancava, infine, un’adeguata motivazione con riferimento alla contestata
aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso di A.A. è fondato e impone
l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata quanto al reato di concorso
nell’associazione mafiosa ex art. 416

bis cod. pen. contestato al capo B

dell’imputazione.
La stessa lettura dell’ordinanza impugnata mostra con evidenza che le
posizioni dei due fratelli AB sono state accomunate benché essi fossero
coinvolti in ruoli e “professionalità” del tutto differenti tra loro: B.B.,
“mago” dell’informatica, capace di creare e di gestire siti internet e di realizzare

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Il ragionamento del Tribunale – secondo cui, poiché Venosa Salvatore era al

un’organizzazione telematica “a cascata” assai complessa e composta di
numerosissimi componenti, nonché di risolvere qualunque problema tecnico che
si presentasse ai vari livelli della struttura; capace, anche, di intervenire con
artifici informatici per alterare i risultati delle scommesse, così da truffare gli
scommettitori; e ancora di realizzare un meccanismo che permettesse
l’emissione di false ricevute di scommessa con i loghi delle società autorizzate,
così da permettere la sovrapposizione della struttura illegale a quella legale.
Una professionalità (purtroppo rivolta verso le attività illecite) notevolissima

alla pari con i gruppi camorristici fin dagli anni ’90, con reciproco comune
guadagno (salvo incappare in contrasti per lui assai pericolosi per la tendenza a
falsare i risultati, anche a danno degli stessi clan).
A.A., da parte sua, era semplice gestore (tramite la moglie e il
figlio) di due luoghi di raccolta di scommesse legali utilizzati per la raccolta di
scommesse clandestine.

Non era certo sorprendente prendere atto che i fratelli avessero contatti tra
loro: ciò che il Tribunale del riesame ha del tutto omesso di verificare è se la
parentela tra A.A. e B.B. avesse permesso al primo di ottenere un
ruolo differente da quello risultante dalla gestione di due “corner” di ricevimento
scommesse in quella costruzione rigidamente gerarchica ampiamente descritta
dall’ordinanza.
Esattamente il ricorrente osserva che di tale ruolo differente (ad esempio:
persona di fiducia del fratello) non vi è alcuna traccia: non a caso

A.A. è ignorato dai collaboratori di giustizia (che, quindi, con lui non avevano
mai avuto a che fare) e la conversazione del 22/6/2012 menzionata alle pagine
23 e seguenti dell’ordinanza dimostra, per usare le parole del Tribunale del
Riesame, “che A.A. doveva versare una quota dei profitti a Luigi quest’ultimo in qualità di superwebmaster – alla stregua di tutti i gestori di
corner che raccoglievano le scommesse utilizzando i siti illegali”; non solo: “nella
struttura verticistica caratterizzante l’organizzazione piramidale delineata in
premessa, A.A. pur sempre doveva fare capo – oltre che a Luigi al fratello Salvatore”.
Come si vede, una posizione subordinata; o meglio: un ruolo identico a
quello degli altri gestori dei corner, con gli incassi, il versamento delle quote di
profitti ai livelli superiori, un utile dignitoso ma non stratosferico (i due fratelli
parlavano di un utile dal 10 al 30%).

Di conseguenza – prescindendo dalla contestazione dell’episodio di violenza

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e, forse “esclusiva” nella zona, tale da permettere a B.B. di trattare

privata aggravata ai sensi dell’art. 7 legge 203 del 1991 – l’addebito a B.B. di un concorso con l’associazione mafiosa con cui il fratello Luigi aveva a
che fare è priva di qualsiasi fondamento.

2. Ma proprio con riferimento a tale episodio i motivi esposti nei due ricorsi
appaiono anch’essi fondati e impongono l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata.
Se gli elementi indiziari di tale reato si limitano a quelli esposti

gravità indiziaria per il reato ipotizzato.
Si deve, in primo luogo, rimarcare – per completare la trattazione
concernente la posizione di A.A. rispetto al reato di cui agli artt.
110 e 416 bis cod. pen. – che, per quanto appare nella prima delle due
conversazioni intercettate, egli era stato coinvolto dal fratello Luigi non perché
fosse dedito ad azioni violente od intimidazioni, ma solo perché la sala giochi
abusiva si trovava poco distante da uno dei corner da lui gestito; per di più,
appare evidente dalla conversazione – come giustamente evidenziato dal
ricorrente – che egli ignorava del tutto l’esistenza di tale sala giochi.

Premesso questo, è il contenuto delle due conversazioni a non dimostrare
affatto che “gli indagati, quantomeno con minaccia – attuata secondo il classico
metodo camorristico – realizzavano il loro intento di far desistere dall’attività di
raccolta di scommesse (illecite) il loro concorrente”, come ritiene il Tribunale.
In primo luogo non appare chiaro il contenuto del contrasto tra B.B. e l’anonimo gestore della sala giochi abusiva: che senso ha il riferimento di
quest’ultimo “a suo fratello”? Non si può escludere che il fratello fosse in qualche
modo accreditato con l’organizzazione capeggiata da B.B. e che il
gestore utilizzasse questo accredito. In effetti, B.B., quando
“garantisce” al fratello che “non è così”, potrebbe riferirsi alle problematiche
organizzative, che impongono che anche quel gestore faccia direttamente
riferimento a lui: il fratello (che ben conosce i meccanismi) sarebbe stato
incaricato di spiegargli “come funziona”.

Ma, soprattutto, è il contenuto della seconda telefonata a non dimostrare
alcunché: anche dando per ammesso che Di Nardo Giovanni facesse riferimento
alla stessa sala giochi abusiva di cui – venti giorni prima – B.B. aveva
parlato con A.A., Panzariello Angelo dimostrava di non sapere
affatto quale fosse la situazione: “gli pareva” che lo avessero avvisato (il gestore
della sala) e “gli pareva” che non stesse più giocando, aggiungendo subito dopo:

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nell’ordinanza impugnata, essi sono palesemente insufficienti a integrare la

“non lo so di preciso perché io non ci entro più là dentro”.
Nessun accertamento della polizia giudiziaria

risulta dopo tale

conversazione: non è stato, quindi, accertato che quella sala giochi abusiva,
individuata dopo la prima conversazione intercettata, avesse cessato di operare.

Appare evidente, pertanto, che – alla luce degli atti menzionati
nell’ordinanza – vi sono indizi del tutto !abili di un intervento effettivo su quel
gestore, sull’esserne autore A.A. (che Di Nardo e Panzariello non

Il Giudice di rinvio dovrà accertare se esistono ulteriori elementi
maggiormente pregnanti che rendano gli indizi di colpevolezza relativi a quel
reato gravi, sia quanto alla sussistenza del fatto, sia quanto alla attribuibilità a
A.A. della condotta.

3. Il ricorso di A.A. è, invece, infondato quanto ai restanti reati
contestati: l’ordinanza impugnata motiva ampiamente e in maniera del tutto
logica sulla organizzazione criminale dedita alle scommesse clandestine e sulle
modalità realizzate per utilizzare anche i punti di raccolta di scommesse legali come i due che facevano capo a A.A. – per raccogliere scommesse
da parte dell’organizzazione.
Appare del tutto inverosimile – e, comunque, la conversazione del
22/6/2012 già menzionata la smentisce in maniera eloquente – la tesi della
assoluta liceità dell’attività del ricorrente e l’ignoranza della struttura complessa
di cui egli, con i suoi corner, faceva parte.

4. L’ordinanza impugnata deve essere, infine, annullata con rinvio quanto a
A.A. con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari e alla
scelta della misura: l’annullamento senza rinvio per il reato di concorso
all’associazione mafiosa incide sull’applicabilità dell’art. 275, comma 3, cod. proc.
pen.; la nuova valutazione in ordine alla sussistenza e all’attribuibilità a
A.A. del reato sub D imporrà al giudice di rinvio una nuova
valutazione globale della posizione del ricorrente sotto questo profilo.

5. Con riferimento al ricorso di B.B., si è già provveduto quanto
alla contestazione del reato sub D.

Non sussistono i vizi denunciati quanto al reato di partecipazione
all’associazione mafiosa: in particolare, l’attendibilità dei collaboratori di giustizia
è stata vagliata dal Tribunale e, soprattutto, le loro dichiarazioni sono state

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menzionano), sulle modalità di quell’intervento e sulla sua efficacia.

valutate congiuntamente all’esito davvero eloquente delle intercettazioni
telefoniche e dei pedinamenti e alla ricostruzione della struttura
dell’organizzazione operata mediante l’intercettazione dei flussi telematici.
Le considerazioni del ricorrente, da una parte appaiono sostanzialmente in
fatto, oppure (come nel caso del riferimento alla somma da versare al “paese”)
suggeriscono interpretazioni differenti delle conversazioni intercettate,
operazione non permessa in questa sede, dall’altra tentano di evidenziare
un’erronea ricostruzione dei fatti senza tenere conto che quella di B.B.

contrasti con essi sorti nel corso del tempo, in conseguenza (pare) del suo
comportamento scorretto.
Le apparenti discrasie si comprendono, quindi, in una visione diacronica dei
fatti descritti dai vari collaboratori e solo in parte registrati dalle intercettazioni:
in ogni caso, la motivazione è ampia e niente affatto illogica nel negare che
B.B. fosse semplicemente costretto a pagare il pizzo al (o ai) clan per
continuare a gestire la sua attività illecita (per la quale è confesso), ma si fosse
associato con i soggetti camorristi per ottenere un comune vantaggio da tale
attività svolta in comune, forte egli della “professionalità” di cui si è già detto,
indispensabile al funzionamento del meccanismo posto in essere.

Il ricorso di B.B., quindi, deve essere rigettato quanto ai reati
diversi da quello sub D.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nei confronti di A.A. limitatamente al reato di cui al capo B; annulla l’ordinanza nei confronti
di B.B. e A.A. in relazione al reato sub D e rinvia per
nuovo esame sul punto, nonché in ordine alle esigenze cautelari relative a
A.A., al Tribunale di Napoli. Rigetta nel resto i ricorsi.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 7 novembre 2013

~TATA

è una posizione “movimentata”, sia per i rapporti con più clan criminali, sia per i

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