Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37887 del 07/01/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 37887 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. VALERIO Giuseppe, nato a Monreale (PA) il 20/10/1946,
2. VALERIO Maurizio, nato a Monreale (PA) il 18/05/1976,
3. VALERIO Giovanni, nato a Palermo il 27/04/1969,
avverso la sentenza del 02/12/2013 della Corte di Appello di Milano;
esaminati gli atti, i ricorsi e la sentenza impugnata;
udita la relazione svolta dal consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Francesco
Mauro Iacoviello, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

FATTO E DIRITTO
1. All’esito di indagini preliminari i tre imputati indicati in epigrafe (rispettivamente
padre e figli) sono stati tratti a giudizio per rispondere del reato di concorso in
estorsione plurima in pregiudizio degli architetti Gianfranco Bianchi e Maurizio Zaninello,
ai quali -recatisi il 9.7.2008 nel loro studio, ove erano presenti l’architetto Bianchi e la
figlia dell’architetto Zaninello- rivolgevano, con toni violenti e aggressivi, gravi minacce
di attentati alla loro incolumità per costringerli a rinunciare ai compensi, per un
complessivo importo di euro 21.000, loro dovuti (e pur da entrambi ripetutamente
sollecitati anche per mezzo di un legale) per le attività professionali di natura iffiX

Data Udienza: 07/01/2015

progettuale svolte per conto delle società edilizie facenti capo ad essi Valerio ovvero
comunque ad appagarsi di una inferiore e irrisoria somma; ciò a pretesa compensazione
dei crediti asseritamente vantati da essi Valerio per addotti inadempimenti contrattuali
dei due professionisti. Evento non verificatosi per la reazione dei due architetti che, a
riprova del fondamento delle loro pretese creditorie, ottenevano dall’autorità giudiziaria
un decreto ingiuntivo per il pagamento delle loro prestazioni (decreto che vedeva
respinta l’opposizione interposta dai Valerio).

16.1.2013 dal Tribunale di Pavia, sono stati riconosciuti colpevoli del reato di concorso
in tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona (art. 393
c.p.), così diversamente qualificato il fatto in origine contestato, in danno del solo
architetto Bianchi e, per l’effetto, sono stati condannati alla pena di tre mesi di
reclusione ciascuno e al risarcimento del danno in favore della parte civile Bianchi,
liquidato in misura di euro 5.000. Per l’omologa condotta di ragion fattasi in danno
dell’architetto Zaninello (in seguito deceduto) il Tribunale ha dichiarato non doversi
procedere nei confronti di Giovanni Valerio per precedente giudicato (sentenza
irrevocabile del giudice di pace di Pavia del 12.5.2010, che lo ha condannato, su querela
dello Zaninello, per il reato di cui all’art. 612 c.p. con riferimento alla descritta illecita
condotta del 9.7.2008), mandando assolti i due coimputati (dal medesimo reato ex art.
612 c.p.) per non aver commesso il fatto (unico autore delle minacce mosse a Zaninello
essendo risultato Giovanni Valerio).
3. Adita dalle impugnazioni dei tre prevenuti, la Corte di Appello di Milano, con
sentenza in data 2.12.2013, ne ha valutato destituite di pregio le censure fondate sulla
pretesa impossibilità di azionare in sede giudiziaria le loro pretese risarcitorie nei
confronti dell’architetto Bianchi per addotti inadempimenti o errori professionali allo
stesso attribuiti (situazione smentita in fatto dalla rituale opposizione, ancorché
respinta, proposta dai Valerio avverso il decreto ingiuntivo emesso dall’A.G. a beneficio
del Bianchi e del suo collega). Per tanto la Corte distrettuale ha confermato in punto di
responsabilità e di pena la decisione di primo grado, riformata unicamente con riguardo
al beneficio della sospensione condizionale della pena riconosciuto a Giovanni Valerio.
4. Avverso la sentenza di merito di secondo grado hanno proposto ricorso per
cassazione i tre imputati, con unico cumulativo atto, deducendo i vizi di violazione di
legge e di carenza e palese illogicità della motivazione di seguito sintetizzati.
4.1. Violazione dell’art. 393 c.p.
In modo improprio la Corte di Appello ambrosiana ha ritenuto la condotta attuata
dagli imputati il 9.7.2008, volta unicamente a chiarire i rapporti contrattuali tra le parti,

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2. Giudicati in primo grado con rito ordinario i tre imputati, con sentenza resa il

inquadrabile nella fattispecie di cui all’art. 393 c.p. Erroneamente, infatti, la Corte
muove dall’assunto che il decreto ingiuntivo conseguito dal Bianchi e dallo Zaninello sia
stato emesso prima del suddetto episodio. Così non è, perché il decreto ingiuntivo
azionato dai due architetti reca la data del 15.10.2008 e soltanto dopo la relativa
notifica di tale provvedimento i tre Valerio sono stati in condizione di adire l’autorità
giudiziaria per far valere le proprie ragioni (con la proposta opposizione al decreto
ingiuntivo). Prima la società Edilvalerio non avrebbe potuto far dichiarare anche
parzialmente inesistente il debito verso i due architetti, la cui carente o deficitaria opera

attività progettuali edificatorie commissionate dai Valerio.
4.2. Ingiustificato diniego delle attenuanti generiche e mancato contenimento della
pena nella misura minima edittale.
La sentenza impugnata ricorre ad un medesimo argomento (pretesa intensità del
dolo ed elevate valenze intimidatorie dell’azione criminosa) per respingere i due diversi
motivi di appello. Censurando anche il contegno processuale dei tre imputati, la Corte
territoriale omette di rilevare che Maurizio Valerio è persona incensurata.
4.3. Violazione degli artt. 53 ss. Legge 689/1981.
La conversione della inflitta pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria è
stata negata dai giudici del gravame in base alla sola ritenuta esistenza di precedenti
penali dei tre imputati. Il che non è vero almeno per Maurizio Valerio, del tutto
incensurato. In ogni caso non ricorre per alcuno dei tre ricorrenti la situazione
soggettiva ostativa prevista dall’art. 59 L. 689/81.
4.4. Eccessiva erronea quantificazione del danno liquidato alla parte civile.
La sentenza non ha enunciato i motivi che hanno indotto a ritenere equa la misura
del solo danno morale determinata in favore della parte civile Bianchi (euro 5.000).
Misura senz’altro esorbitante, quando si considerino la dinamica dei fatti e la natura di
mero tentativo della condotta criminosa attribuita ai tre imputati.
5. I ricorsi non possono trovare accoglimento per l’infondatezza della censura
relativa al merito fattuale della regiudicanda (addotta insussistenza del reato tentato di
ragion fattasi) e per l’indeducibilità e infondatezza manifesta dei motivi di impugnazione
relativi al trattamento punitivo applicato altre imputati.
5.1. Quando si abbia riguardo alla esauriente ricostruzione dell’episodio criminoso
che integra l’imputazione di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni (così come è
stata giuridicamente definita ex art. 521 c.p.p. la condotta illecita in origine contestata
agli imputati a titolo di tentata estorsione), ricostruzione ripercorsa dalle due uniformi
decisioni di merito e in particolare dalla Corte di appello all’esito di un’autonoma
rilettura delle fonti di prova acquisite nel dibattimento di primo grado, è agevole rilevare

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professionale è oggettivamente testimoniata dall’ing. Ermete Gorla, loro succeduto nelle

l’incongruenza della tesi dei ricorrenti in punto di asserita impossibilità di ricorrere
all’autorità giudiziaria per far valere le proprie ragioni di ritenuto speculare credito
(ovvero di inesistenza del debito verso i due professionisti) vantato verso gli architetti
Bianchi e Zaninello per la inadeguatezza dei loro contributi professionali.
La posteriorità (e non l’anteriorità) all’episodio criminoso del 9.7.2008 del decreto
ingiuntivo richiesto e ottenuto dai due professionisti nei confronti della società gestita
dai Valerio non assume rilevanza dirimente, attesa la pacifica possibilità per i tre
imputati di rivolgersi, prima di ricorrere alla attuata azione intimidatoria in danno dei

rivendicare, a torto o a ragione, i propri interessi patrimoniali verso il Bianchi e lo
Zaninello. In vero emerge ex actis (sentenza di primo grado), in primo luogo, che fino al
giugno 2008 i due professionisti avevano indirizzato, con altrettante missive di un
avvocato, almeno tre richieste di pagamento delle loro competenze professionali senza
ricevere risposta alcuna dai Valerio, che ben avrebbero potuto contestare in sede
giudiziaria il presunto credito dei due architetti. In ogni caso, in secondo luogo, essendo
stato stipulato tra le parti (come si riconosce negli atti impugnatori dei prevenuti) nel
2007 uno specifico contratto d’opera (o di collaborazione professionale) tra i Valerio
(società Edilvalerio) e i due architetti, non è revocabile in dubbio che i ricorrenti ben
avrebbero potuto adire l’autorità giudiziaria. Sia invocando la risoluzione del contratto
per inadempimento ai sensi dell’art. 1453 cod. civ., sia istando per il risarcimento del
danno patito dall’ipotizzato inesatto adempimento contrattuale dei due professionisti.
Tutto ciò non è avvenuto, avendo i tre imputati creduto di dovere illecitamente, con una
indebita azione di pretesa autotutela, minacciare e intimidire i due architetti per indurli a
rinunciare ai loro sicuri crediti o a ridurne in un modesto importo l’entità.
Tale evenienza riconduce il comportamento dei tre imputati nell’alveo della
fattispecie criminosa sanzionata dall’art. 393 c.p. Premesso che per la configurabilità di
tale reato non occorre l’esistenza di una contesa giudiziale già in essere, essendo
necessaria e sufficiente l’esistenza di una controversia anche soltanto di fatto tra le parti
(ex plurimis: Sez. 6, n. 41586 del 19/06/2013, Luppino, Rv. 257801), nel caso oggetto
degli odierni ricorsi i tre imputati già erano in grado di azionare in sede giudiziaria le
proprie ragioni per contestare e contraddire le pretese creditorie dei due architetti. A ciò
dovendosi aggiungere che, per gli effetti di cui all’art. 393 c.p., non si richiede che le
possibili azioni giudiziali siano giuridicamente ammissibili o che le relative pretese siano
meritevoli di accoglimento, bastando la mera possibilità di fatto di ricorrere al giudice.
5.2. Le subordinate censure dei ricorrenti relative al trattamento sanzionatorio
(motivi di ricorso secondo, terzo e quarto), sono -come anticipato- indeducibili o
palesemente infondate.

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due architetti (ed integrante il reato di ragion fattasi), all’autorità giudiziaria per

Ciò vale per il diniego ai tre imputati delle circostanze attenuanti generiche e per
la mancata determinazione della inflitta pena nella misura minima edittale prevista
dall’art. 393 c.p. Le argomentazioni sinteticamente enunciate al riguardo dalla sentenza
impugnata (per altro adeguate alla genericità o sommarietà dei corrispondenti motivi di
appello) sono lineari e coerenti, immuni da censure in questa sede (intensità del dolo,
elevata valenza intimidatoria della condotta illecita; presenza di tre persone). A ciò va
aggiunto che, diversamente da quanto dedotto in ricorso, l’imputato Maurizio Valerio
non è (al pari dei due coimputati) incensurato, poiché -come si evince dal certificato

rettamente rilevato- lo stesso annovera una condanna per il delitto di omesso
versamento di ritenute previdenziali.
Analoghe considerazioni vanno svolte per la mancata conversione della pena
detentiva, che i giudici di appello hanno sufficientemente motivato, nell’esercizio del loro
potere discrezionale in punto di definizione del trattamento punitivo, alla luce dei
parametri valutativi dettati dall’art. 133 c.p. (precedenti penali annoverati da tutti e tre
gli imputati) e di una non illogica prognosi di inefficacia dissuasiva della sanzione
convertita a norma della legge 689/81 (Sez. 5, n. 10941 del 26/01/2011, Orabona, Rv.
249717; Sez. 3, n. 37814 del 06/06/2013, Zicaro, Rv. 256979).
Quanto, infine, alla liquidazione del danno morale riconosciuto a titolo di
risarcimento alla parte civile Bianchi, la motivazione della sentenza impugnata (immune
da contraddittorietà) si basa su apprezzamenti di fatto, discrezionali ed equitativi,
sottratti a scrutinio di legittimità (cfr.: Sez. 5, n. 35104 del 22/06/2013, Baldini, Rv.
257123; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258170).
A seguito del rigetto delle impugnazioni i tre ricorrenti vanno per legge condannati
alla rifusione delle spese processuali del presente grado di giudizio.
P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Roma, 7 gennaio 2015

penale presente in atti al momento della sentenza di secondo grado e come da questa

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