Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37862 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37862 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bolognini Tommaso, nato a Taranto il 15/03/2014,

avverso la sentenza del 29/05/2014 della Corte di appello di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito per l’imputato l’avv. Domenico Rana che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. Tommaso Bolognini ricorre per l’annullamento della sentenza del
29/05/2014 della Corte di appello di Lecce che, in parziale riforma della sentenza
del 14/01/2013 del Tribunale di Taranto, ha concesso il beneficio della
sospensione condizionale della pena confermando, nel resto, la condanna alla
pena principale di quattro mesi di reclusione (oltre pene accessorie) inflitta per il

Data Udienza: 18/06/2015

reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per aver omesso di
versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno di imposta 2006 per
l’importo di C 265.829,99.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc.
pen., vizio di motivazione insufficiente in ordine alla sussistenza dell’elemento
psicologico che la Corte di appello ha tratto dalla mera condotta omissiva, senza
valorizzare in alcun modo la successiva richiesta di rateizzazione del debito che
dimostra, ad un tempo, la carenza di liquidità che aveva impedito di far fronte al

1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod.
proc. pen., erronea applicazione dell’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000 che la Corte di
appello ha escluso sul solo rilievo che il debito non è stato estinto prima
dell’apertura del dibattimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è inammissibile perché generico e totalmente infondato.

3.Le questioni sollevate con l’odierno ricorso trovano risposta negli approdi
ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv. 255757, secondo
la quale:
a) il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella
coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo
considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo
scopo specifico di evadere le imposte;
b) la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione
annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve,
quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine
lungo previsto;
c) il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato
al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta

il soggetto

d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del
servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario,
organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione
tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un
nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta
esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata,
per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento

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pagamento del debito tributario e la mancanza di volontà dell’inadempimento.

della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda
dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.

4. Sviluppando e riprendendo il tema della «crisi di liquidità» d’impresa
quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella
citata sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che
è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono
investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi

circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata
tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova
che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse
economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale
adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le
possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a
consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle
somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per
cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9/10/2013,
n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467
del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
4.1.La richiesta di rateizzazione del debito non è, a tal fine, prova
sufficiente, poiché se ne può dedurre, al più, una carenza di liquidità, null’altro.
4.2.Nè se ne può desumere la mancanza dell’elemento soggettivo.
4.3.0ccorre sul punto sgombrare il campo da un equivoco di fondo che
rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica del problema: per la
sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione, tantomeno
l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto.
4.4.Quando il legislatore ha voluto attribuire all’elemento soggettivo del
reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il
bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo
espresso, escludendo, per esempio, dall’area della penale rilevanza le condotte
solo eventualmente (e dunque non intenzionalmente) volte a cagionare l’evento
(art. 323, cod. pen., artt. 2621, 2622, 2634, cod. civ., art. 27, comma 1, d.lgs.
27 gennaio 2010, n. 39), incriminando, invece, quelle ispirate da un’intenzione
che va oltre la condotta tipizzata (i reati a dolo specifico), attribuendo rilevanza
allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata (per es., art.
424 cod. pen.), assegnando al momento finalistico della condotta stessa il
compito di individuare il bene offeso (artt. 393 e 629 cod. pen., 416, 270, 270bis, 305, cod. pen., 289-bis, 630, 605, cod. pen.).

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economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la

4.5.11 dolo del reato in questione è integrato dalla condotta omissiva posta
in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma,
quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto
con il precetto violato.
4.6.Ne consegue che il primo motivo di ricorso è inammissibile perché
generico e totalmente infondato.

5.E’ totalmente infondato anche il secondo motivo di ricorso.

necessario che il debito tributario sia integralmente estinto mediante pagamento
«anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione
all’accertamento previste dalle norme tributarie».
5.2.Non è sufficiente, come il ricorrente pretende, l’accesso alle procedure
conciliative o l’adesione all’accertamento: è comunque necessaria l’estinzione
«mediante pagamento>>.

Il pagamento può anche essere conseguente

all’accertamento con adesione, che ovviamente di regola presenta una serie di
vantaggi per il contribuente, ma l’atto di adesione non è condizione sufficiente
per l’estinzione dei debiti; questi dovranno essere integralmente pagati,
compresi sanzioni amministrative ed interessi. (Sez. 3, n. 30580 del
13/05/2004, Pisciotta, Rv. 229355; Sez. 3, n. 176 del 05/07/2012, Zorzi, Rv.
254146; Sez. 3, n. 26464 del 19/02/2014, Manzoni, Rv. 259299; Sez. 3, n.
11352 del 10/02/2015, Murari, Rv. 262784, che ha affermato il medesimo
principio in caso di rateizzazione del debito di imposta già iscritto a ruolo).
5.3.Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
5.4.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 18/06/2015

5.1.11 tenore letterale dell’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000 è chiaro: è

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