Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3786 del 17/10/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3786 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Li Causi Luigi n. il 25/6/1958
Ittica del Golfo s.r.l.
avverso la sentenza n. 3573/2011 pronunciata dalla Corte d’appello di
Palermo il 26/6/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 17/10/2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. O. Cedrangolo, che ha
concluso per l’annullamento senza rinvio delle ordinanze collegiali impugnate e per l’annullamento con rinvio della sentenza d’appello;
udito per le parti civili Pace Giuseppe, Pace Vincenzo, Pace Mario, Pace
Carmela, Pace Gaspare, Pace Giacomo e Sansica Teresa, l’avv.to G.
Frazzitta del foro di Marsala, che ha concluso riportandosi alle note scritte depositate;
udito per la Zurich Assicurazioni, l’avv.to S.P. Genco, del foro di Trapani,
che ha concluso per il rigetto dei motivi d’impugnazione proposti contro
la Zurich;
udito per la Ittica del Golfo S.r.l. l’avv.to G. Oddo del foro di Palermo
che ha concluso per raccoglimento del proprio ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv.to V. Incalcaterra del foro di Marsala che ha
concluso per l’accoglimento del proprio ricorso.

Data Udienza: 17/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 28/1/2011, il Tribunale di Trapani ha assolto
Luigi Li Causi dall’accusa di omicidio colposo asseritamente commesso ai danni
del lavoratore Giacomo Pace; con la stessa sentenza il Tribunale di Trapani ha
assolto la Ittica del Golfo s.r.l. dall’illecito amministrativo alla stessa ascritto, ai
sensi del D.Lgs. n. 231/2001, in conseguenza del comportamento contestato al
Li Causi.
L’imputato, in qualità di legale rappresentante della Ittica del Golfo s.r.l.

e allevamento di tonni) era stato originariamente accusato dell’omicidio colposo
del dipendente, Giacomo Pace, annegato nel corso di un’operazione di controllo e
di vigilanza delle gabbie dei tonni collocate a circa un miglio dal porto, a causa
della mancata osservanza, da parte dello stesso, delle norme contravvenzionali
specificamente indicate nel capo di imputazione.
Secondo i termini dell’accusa, il Li Causi, in violazione dei tradizionali
parametri della colpa generica e della normativa sulla sicurezza del lavoro, aveva
adibito il Pace alle mansioni di controllo, vigilanza e ispezione dell’impianto di
ingrasso e di allevamento dei tonni, mediante l’uso, da solo, di un natante
avent’eypotenza superiore 30 kW, nonostante il mancato conseguimento, da
parte del lavoratore, della prescritta e obbligatoria patente nautica indispensabile
per la conduzione dell’imbarcazione.
In occasione del fatto oggetto d’esame, il Pace, alle ore 1.30 del 6/6/2009,
alla guida del natante messogli a disposizione dalla società datrice di lavoro,
aveva raggiunto, come di consueto, l’impianto di allevamento e d’ingrasso dei
tonni e, ivi giunto, per propria imperizia, rimaneva con l’elica del natante
incastrata in una cima e, non riuscendo più a liberarsi, finiva, anche a causa
delle avverse condizioni del mare, per essere sbalzato in mare e quindi per
annegare.
A fondamento dell’assoluzione, il primo giudice – al di la dell’accertata
esperienza Idi fatto’ del lavoratore nella conduzione del natante (essendo lo
stesso in possesso di tutti i requisiti per ottenere il rilascio del titolo di
conduttore di traffico locale) – aveva evidenziato come non fosse stato possibile
chiarire le cause effettive del decesso della vittima, non potendo ad esempio
escludersi che la stessa avesse cercato rifugio in mare volontariamente nel
tentativo di raggiungere le vicine gabbie dei tonni.
Su appello del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trapani e
delle parti civili costituite, con sentenza in data 26/6/2013, la corte d’appello di
Palermo, in riforma della sentenza impugnata, ritenuta la responsabilità

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(società esercente attività di piscicoltura e acquacoltura con impianto di ingrasso

dell’imputato per i reati allo stesso ascritti, lo ha condannato alla pena di sei
mesi di reclusione e dell’ammenda di euro 100,00, oltre al risarcimento dei danni
in favore delle parti civili costituite, condannando altresì la Ittica del Golfo s.r.l.
alla sanzione amministrativa di 300 quote del valore di euro 300,00 ciascuno,
nonché alla sanzione interdittiva dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti,
contributi o sussidi per la durata di tre mesi.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno

2. L’imputato propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi
d’impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per
violazione della legge processuale, per avere la corte territoriale utilizzato, ai fini
della decisione, le risultanze dell’inchiesta formale, effettuata dall’Ufficio
Direzione marittima di Palermo ai sensi dell’art. 1241 cod. nav. acquisita in sede
d’appello (ex art. 603, comma 2, cod. proc. pen.) nonostante l’opposizione della
difesa, che aveva originariamente avanzato richiesta di giudizio abbreviato sulla
base di un compendio probatorio privo di detta documentazione sopravvenuta.
Ciò posto, avendo il giudice d’appello fondato integralmente la propria
sentenza di condanna sul contenuto della documentazione acquisita in appello, lo
stesso avrebbe inammissibilmente esteso la propria cognizione ad elementi
probatori radicalmente non utilizzabili.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio
di motivazione, per avere la corte d’appello del tutto omesso di pronunciarsi in
ordine all’eventuale condanna in solido del responsabile civile, Zurich
Assicurazioni, pur in presenza della regolare citazione e dell’intervento di tale
parte processuale.
Con l’ultimo motivo, l’imputato si duole della violazione di legge in cui
sarebbe incorsa la sentenza impugnata, per avere la corte d’appello
erroneamente applicato nella specie la disciplina in materia di sicurezza sul
lavoro, attesa l’assoluta irrilevanza della violazione delle norme relative al
rilascio della patente nautica in relazione alle circostanze del decesso del Pace
(stasi dell’imbarcazione con aggrovigliamento della fune di ormeggio sull’elica
della barca), ed avuto riguardo all’erronea interpretazione, da parte del giudice
d’appello, della norma di cui all’art. 263 reg. cod. nav. (relativa all’abilitazione
della vittima alla conduzione dell’imbarcazione in esame), tenuto conto della
riconducibilità della figura del Pace a quella del conduttore di traffico locale
abilitato alla conduzione di navi di stazza lorda non superiori a 10 tonnellate,

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proposto ricorso per cassazione l’imputato e la Ittica del Golfo s.r.I..

adibite al trasporto di merci nel circondario di iscrizione della nave e nei due
circondari limitrofi.
Da ultimo, il ricorrente censura l’interpretazione delle norme sulla sicurezza
del lavoro fatta propria dal giudice d’appello, là dove ha affermato che il
documento di sicurezza della Ittica del Golfo s.r.l. avrebbe dovuto essere redatto
sulla base del decreto legislativo n. 271/1999, viceversa non applicabile nel caso
di specie, trattandosi di nave da diporto non impiegata in attività di traffico

3. Con un primo motivo, la Ittica del Golfo s.r.l. censura la sentenza
impugnata (unitamente alle ordinanze di corrispondente contenuto pronunciate
nel corso del giudizio) nella parte in cui ha ritenuto ammissibile la costituzione
delle parti civili per la rivendicazione dei danni asseritamente subìti ad opera
della società ricorrente, quale ente responsabile ai sensi del d.lgs. n. 231/2001,
in contrasto con l’orientamento su tale punto venutosi consolidando nella
giurisprudenza nazionale e in quella sovranazionale della Corte di giustizia
dell’Unione Europea.
Con un secondo motivo la società ricorrente si duole della violazione della
legge processuale e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte
territoriale nell’ammettere l’acquisizione agli atti del giudizio degli esiti
dell’inchiesta formale esperita in sede amministrativa dalla Direzione marittima
di Palermo, in assenza dei necessari requisiti di assoluta indispensabilità dell’atto
istruttorio, ai fini del giudizio, richiesti dall’art. 603 cod. proc. pen..
Con un terzo motivo, la società ricorrente si duole della violazione di legge e
del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel pronunciare
la condanna dell’imputato e, conseguentemente, della società ricorrente, in
assenza di alcuna certezza in ordine alle cause concrete del decesso della
vittima, senza procedere ad alcuna rigorosa confutazione, al di là di ogni
ragionevole dubbio, delle argomentazioni indicate dal primo giudice a
fondamento della decisione di assoluzione pronunciata.
Sotto altro profilo, la corte territoriale avrebbe omesso di specificare
l’immediato nesso di derivazione causale tra le violazioni ascritte alla colpa
dell’imputato (a loro volta riflesse nell’accertamento di responsabilità operato a
carico della Ittica del Golfo s.r.l.) e il decesso del lavoratore, per altri verso
incorrendo nel travisamento della prova relativa alla supposta disponibilità, da
parte del lavoratore, al momento del fatto, di un unico natante, a dispetto della
circostanza (riconosciuta dalla stessa sentenza di primo grado: cfr. pag. 2)
secondo cui l’azienda aveva posto a disposizione del lavoratore un ulteriore

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commerciale (cfr. art. 4, lett. b), d.lgs. cit.).

natante denominato Shark 1 e un gommone della lunghezza di m. 8,90, per la
cui conduzione non era indispensabile il conseguimento di alcuna patente
nautica: premessa che avrebbe imposto al giudice di secondo grado la
spiegazione delle ragioni per cui il lavoratore avesse deciso di usare
l’imbarcazione più grande, nonostante la disponibilità di un mezzo per il cui uso
non sarebbe stato necessario violare alcuna disposizione del codice della
navigazione.
Allo stesso modo, secondo i rilievi critici articolati dalla società ricorrente, il

il lavoratore deceduto avesse deciso di non esercitare il proprio controllo da terra
(come peraltro previsto dalle disposizioni del piano di sicurezza della società
datrice di lavoro) assumendo l’imprudente e improvvida iniziativa di imbarcarsi,
peraltro attraverso l’utilizzazione di un mezzo per la cui conduzione non era in
possesso della prescritta patente e senza indossare il salvagente, presente a
bordo del imbarcazione, che gli avrebbe consentito di non annegare: circostanze
nel loro complesso idonee a giustificare la qualificazione del comportamento del
lavoratore nei termini dell’abnormità tale da dissolvere qualunque ipotetico nesso
di causalità tra le asserite violazioni ascritte al datore di lavoro e il decesso del
lavoratore.
Secondo la prospettazione critica della società ricorrente, la corte territoriale
sarebbe inoltre incorsa in un’erronea interpretazione della disciplina relativa alla
redazione del piano di sicurezza della società ricorrente, avendo impropriamente
richiamato la disciplina di cui al decreto legislativo n. 271/1999 nella specie
inapplicabile, ed avendo erroneamente richiamato la pretesa violazione della
normativa di cui al d.p.r. n. 435/1991 in considerazione della accertata
disponibilità, da parte del lavoratore deceduto, dei titoli idonei alla conduzione
dell’imbarcazione utilizzata ai fini del traffico locale, di là dal trascurabile rilievo
del dato formale.
Da ultimo, la società ricorrente – rimarcati gli aspetti di contraddittorietà,
contenuti nella sentenza impugnata in relazione alla ricostruzione del fatto,
rispetto alle risultanze dell’inchiesta amministrativa condotta (alla cui stregua era
risultata, quale causa del decesso del Pace, il relativo annegamento a seguito
dell’ormeggiamento dell’imbarcazione utilizzata alla boa esistente in prossimità
dell’impianto sottoposto a vigilanza) – ha inoltre evidenziato come la sentenza
d’appello non avesse considerato l’avvenuta predisposizione, da parte della Ittica
del Golfo s.r.1, del dovuto piano di sicurezza, come attestato da tutta la
documentazione prodotta e analiticamente richiamata in ricorso, senza neppure
precisare in termini specifici la natura del supposto interesse della società datrice

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giudice d’appello avrebbe omesso di giustificare adeguatamente le ragioni per cui

di lavoro eventualmente collegato al comportamento penalmente rilevante
dell’imputato, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001.
Con l’ultimo motivo d’impugnazione, la società ricorrente si duole della
violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver
omesso di pronunciare la condanna solidale della Zurich Assicurazioni chiamata
in giudizio quale responsabile civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
ritenersi fondati nei termini che seguono.
Deve trovare preliminarmente accoglimento la censura sollevata dalla Ittica
del Golfo s.r.l. con riguardo all’avvenuta ammissione della costituzione delle parti
civili nel processo penale per la rivendicazione dei danni asseritamente subìti ad
opera della società ricorrente, quale ente responsabile ai sensi del d.lgs. n.
231/2001.
Al riguardo, ritiene il collegio di far proprie le condivise argomentazioni
illustrate in una precedente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. 6,
Sentenza n. 2251 del 05/10/2010, dep. 22/01/2011, Rv. 248791), secondo cui,
nel processo instaurato per l’accertamento della responsabilità da reato dell’ente,
non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l’istituto non è
previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001 e l’omissione non rappresenta una lacuna
normativa, ma corrisponde ad una consapevole scelta del legislatore.
In particolare, la parte civile non è menzionata nella sezione II del capo III
del decreto dedicata ai soggetti del procedimento a carico dell’ente, né ad essa si
fa alcun accenno nella disciplina relativa alle indagini preliminari, all’udienza
preliminare, ai procedimenti speciali, alle impugnazioni ovvero nelle disposizioni
sulla sentenza, istituti che, invece, nei rispettivi moduli previsti nel codice di
procedura penale contengono importanti disposizioni sulla parte civile e sulla
persona offesa.
Peraltro, accanto alla materiale “assenza” di riferimenti riguardanti la parte
civile, il d.lgs. 231/2001 contiene alcuni dati specifici ed espressi che confermano
la volontà di escludere questo soggetto dal processo. Da un lato, vi è l’art. 27
che nel disciplinare la responsabilità patrimoniale dell’ente la limita
all’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria, senza fare alcuna
menzione alle obbligazioni civili; dall’altro lato, appare particolarmente
significativa la regolamentazione del sequestro conservativo, di cui all’art. 54.
L’omologo istituto codicistico di cui all’art. 316 c.p.p. pone questa misura
cautelare reale sia a tutela del pagamento della “pena pecuniaria, delle spese del

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4. I ricorsi proposti dall’imputato e dalla Ittica del Golfo s.r.l. devono

procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario”, sia delle “obbligazioni
civili derivanti dal reato”, in quest’ultimo caso attribuendo alla parte civile la
possibilità di richiedere il sequestro; invece, il citato art. 54 d.igs. 231/2001
limita il sequestro conservativo al solo scopo di assicurare il pagamento della
sanzione pecuniaria (oltre che delle spese del procedimento e delle somme
dovute all’erario), sequestro che può essere richiesto unicamente dal pubblico
ministero.
Anche qui il legislatore ha compiuto una scelta consapevole, escludendo la

norma codicistica, presuppone la richiesta della parte civile (Cass., Sez. 6,
Sentenza n. 2251/2010, cit.).
Deve dunque conclusivamente affermarsi, sulla base della disciplina positiva
richiamata, come la costituzione di parte civile nel processo penale per la
rivendicazione del risarcimento dei danni nei confronti dell’ente responsabile ai
sensi del d.lgs. n. 231/2001 non sia ammessa, con la conseguente nullità della
corrispondente ammissione avvenuta nel corso del presente giudizio e della
successiva condanna dell’ente al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

5. Appaiono viceversa prive di fondamento le doglianze avanzate da
entrambi i ricorrenti con riguardo all’asserita illegittimità dell’assunzione, in sede
d’appello, degli atti relativi all’inchiesta formale esperita in sede amministrativa
dalla Direzione marittima di Palermo con riguardo all’incidente occorso al Pace,
avuto riguardo alla pretesa valenza ostativa della natura del rito abbreviato e
alla dedotta insussistenza, in ogni caso, dei presupposti di legge per dar luogo
alla ridetta acquisizione.
Sul punto, varrà richiamare l’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza
di legittimità (che questo collegio condivide e ribadisce, anche in relazione al
caso di specie, in ragione della ritenuta correttezza dell’interpretazione dei dati
normativi ivi prospettata), ai sensi del quale il giudice di appello deve ritenersi
tenuto ad ammettere le prove sopravvenute all’instaurazione del giudizio (quale
quella oggetto dell’odierno esame), pur quando quest’ultimo sia stato celebrato
in primo grado con il rito abbreviato, salvo che non si tratti di prove vietate dalla
legge ovvero manifestamente superflue o irrilevanti (cfr. Sez. 2, Sentenza n.
44947 del 17/10/2013, Rv. 257977).
La richiamata pronuncia di questa Corte ha al riguardo evidenziato come in
tema di giudizio abbreviato, il potere d’integrazione probatoria

ex officio

attribuito al giudice dall’art. 441, comma quinto, cod. proc. pen. (per il quale
quando il giudice ritiene di non potere decidere allo stato degli atti assume,

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funzione di garantire le obbligazioni civili, funzione che, nella struttura della

anche, d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione) è preordinato alla
tutela dei valori costituzionali che devono presiedere, anche nei giudizi a prova
contratta, all’esercizio della funzione giurisdizionale e risponde, pertanto, alle
medesime finalità cui è preordinato il potere previsto dall’art. 507 cod. proc. pen.
in dibattimento. (V. Sez. 5 sent. n. 4648 del 19.12.2005, Rv 233632).
Tale potere del giudice è conseguente al principio costituzionale di
obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost. che implica il controllo
del giudice sull’attività del P.M. e poteri sostitutivi in caso di inerzia del P.M. o di

Nessuna lesione dei diritti della difesa è in tal senso ipotizzabile dal
momento che, allorché l’imputato richiede il giudizio abbreviato, non può non
considerare, da un lato, anche la possibilità, prevista dalla legge, che il giudice
acquisisca nuovi elementi e, dall’altro, che sopravvengano nuove prove.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, dunque, in caso di sopravvenienza
o scoperta di nuove prove dopo il giudizio di primo grado, il giudice di appello, in
presenza di istanza di parte, è tenuto a disporre la rinnovazione del
dibattimento, con il solo limite costituito dalle ipotesi di richieste concernenti
prove vietate dalla legge ovvero manifestamente superflue o irrilevanti. (Cass.,
Sez. 1, Sentenza n. 39663 del 7.10.2010 dep. 10.11.2010, Rv 248437).
Inoltre, in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mentre
nell’ipotesi di cui al primo comma la rinnovazione è subordinata alla condizione
che il giudice ritenga, nell’ambito della propria discrezionalità, che i dati
probatori già acquisiti siano incerti e che l’incombente processuale richiesto
rivesta carattere di decisività, diversamente, nell’ipotesi del secondo comma, il
giudice è tenuto a disporre la rinnovazione delle nuove prove sopravvenute o
scoperte dopo il giudizio di primo grado, ma con il limite costituito dalle ipotesi di
richieste concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o
irrilevanti (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8382 del 22.1.2008 dep. 25.2.2008 Rv
239341).
Qualora la richiesta di rinnovazione del dibattimento nel giudizio di appello
sia volta ad assumere nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di
primo grado, l’ammissione è subordinata solo al giudizio di superfluità e
irrilevanza manifesta e cioè di prove del tutto incongrue rispetto al

thema

decidendum (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 552 del 13.3.2003 dep. 23 12.1.2004,
Rv 227022).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, ad esito del contraddittorio sul punto
instaurato tra le parti, ha espressamente dato atto della specifica idoneità
dell’atto istruttorio sopravvenuto ad assicurare una più opportuna e compiuta

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incompletezza delle indagini preliminari.

conoscenza dei fatti, avuto riguardo alla specificità dell’episodio oggetto
d’esame, costituito da un infortunio sul lavoro occorso in mare (cfr. l’ordinanza
della Corte d’appello di Palermo del 12/11/2012 in atti).
La decisione così assunta dalla corte palermitana deve ritenersi fondata sul
vigore di un discorso giustificativo del tutto immune da vizi d’indole logica o
giuridica, come tale idoneo a sottrarsi integralmente alle censure al riguardo
sollevate dagli odierni ricorrenti.

formulate dai ricorrenti in relazione al discorso giustificativo condotto dalla Corte
d’appello con riguardo alla ricostruzione dei profili di colpa addebitabili
all’imputato e al corrispondente riconoscimento del nesso di causalità tra le
violazioni normative ascritte al Li Causi e il decesso del Pace.
Osserva sul punto il Collegio come la Corte d’appello, nel rimarcare il proprio
dissenso rispetto alla motivazione assolutoria articolata dal primo giudice, dopo
aver ricostruito il quadro normativo in ipotesi applicabile al caso di specie (ed
aver rilevato le supposte violazioni formali obiettivamente ascrivibili alla condotta
del Li Causi), abbia del tutto omesso di esplicitare in termini concreti – e,
correlativamente, di tematizzare, sul piano probatorio – le questioni concernenti
il riscontro ‘in fatto’ delle trasgressioni dell’imputato effettivamente rilevanti sul
piano della tutela antinfortunistica del lavoratore e della relativa reale incidenza
causale sullo sviluppo dinamico degli eventi ch’ebbero a condurre al decesso del
Pace; e ciò, tanto sul piano del riscontro dell’eventuale inadeguatezza delle
imbarcazioni poste a disposizione del lavoratore (siccome in ipotesi prive delle
necessarie dotazioni di sicurezza), quanto in relazione all’asserita adibizione del
Pace allo svolgimento di mansioni rispetto alle quali lo stesso non sarebbe stato
adeguatamente formato, sì da esporlo all’assunzione di rischi lavorativi non
fronteggiabili attraverso l’esplicazione delle proprie effettive e concrete capacità
professionali.
Sul punto, il discorso condotto con insistenza dal giudice d’appello, con
riferimento alla circostanza del mancato conseguimento, da parte del Pace, dei
necessari titoli abilitativi alla conduzione dell’imbarcazione utilizzata, ovvero della
violazione della disciplina rivolta alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, deve
ritenersi minato da una misura d’irriducibile astrattezza, avendo la corte
palermitana propriamente omesso di approfondire, tanto sul piano
argomentativo quanto in termini probatori, il nesso di immediata e diretta
derivazione causale del decesso del lavoratore per annegamento dall’ipotizzata
violazione della disciplina concernente la conduzione di imbarcazioni nel traffico

6. Del tutto fondate devono per converso ritenersi le censure critiche

locale o dall’ipotizzata violazione della disciplina sull’iscrizione dell’imbarcazione
Shark 2 negli appositi registri amministrativi, ovvero della normativa riguardante
i requisiti d’idoneità soggettivi e oggettivi per la conduzione delle navi minori e
dei galleggianti (art. 25 I. n. 472/1999: cfr.

folio 9 e segg. della sentenza

impugnata).
È appena il caso di evidenziare come la circostanza che il Pace non dovesse
(né potesse) essere incaricato dello svolgimento delle mansioni nella specie a lui
affidate, in presenza delle asserite inadempienze del datore di lavoro, ancora non

derivazione causale tra le trasgressioni del datore di lavoro (e dunque tra la
colpa di questi) e le occorrenze del decesso del lavoratore, avendo la corte
territoriale propriamente trascurato di procedere alla confutazione della decisiva
obiezione sul punto articolata dal primo giudice, secondo cui l’evento lesivo si
sarebbe comunque verificato pur quando il datore di lavoro avesse in ipotesi
rispettato tutte le norme protettive partitamente richiamate nella sentenza
impugnata.
E ciò, tanto più in presenza dell’avvenuto accertamento, attestato dal primo
giudice: 1) della regolare dotazione, dell’imbarcazione utilizzata dal Pace, della
prescritta strumentazione di sicurezza (documentatamente attestato dal primo
giudice: cfr. pag. 5 della sentenza di primo grado); 2) della (incontestata)
pluriennale e sperimentata competenza marinaresca del lavoratore deceduto
(cfr. pag. 6 della sentenza di primo grado); 3) della frequente ricorrenza
dell’incidente occorso nella specie (consistito nell’attorcigliannento del cavo di
ormeggio nell’elica dell’imbarcazione) indipendentemente dall’esperienza (in
ipotesi ineccepibile) o dal conseguimento delle necessarie abilitazioni
amministrative, da parte del responsabile della navigazione, o dall’entità
dell’imbarcazione (cfr. la dichiarazione resa dal teste Maurizio Ricevuto, Capitano
di Corvetta, richiamata alla pag. 14 della sentenza di primo grado).
Ed ancora, tanto più in assenza di alcuna certezza probatoria circa le
effettive modalità di verificazione del decesso del lavoratore (annegato tra i
marosi in un quadro di pessime condizioni meteomarine: cfr. pag. 4 della
sentenza di primo grado), a fronte del rilevato corretto funzionamento della
pompa di sentina (destinata al drenaggio dell’acqua eventualmente imbarcata)
(cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado) e della riscontrata esistenza, al
momento del rinvenimento dell’imbarcazione da parte dei soccorritori, di un utile
spazio di riparo per il Pace sulla parte dell’imbarcazione ancora non sommersa
(cfr. pagg. 4-5 della sentenza di primo grado).

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vale ad attestare, di per sé, il concreto riscontro del nesso di concreta

La corretta considerazione di tali occorrenze di fatto avrebbe
necessariamente imposto, al giudice d’appello, un adeguato impegno
argomentativo destinato ad articolare criticamente (in dissenso rispetto alla già
pronunciata assoluzione dell’imputato in primo grado) le ragioni dell’avvenuta
esclusione, oltre ogni ragionevole dubbio, della decisiva e autonoma incidenza
causale di un’ipotesi di forza maggiore in nessun modo fronteggiabile,
indipendentemente dalle prospettate inadempienze cautelari addebitabili al
datore di lavoro del Pace.

di legittimità, ai sensi del quale la titolarità di una posizione di garanzia non
comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di
responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di
colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da
parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della
prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata
mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza
del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (Cass.,
Sez. 4, Sentenza n. 43966 del 06/11/2009, Rv. 245526); e tanto, sul
presupposto che, in tema di reati colposi, l’addebito soggettivo dell’evento
richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo
stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal
fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere
soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non
avrebbe potuto comunque essere evitato (Sez. 4, Sentenza n. 16761 del
11/03/2010, Rv. 247017).
Il complesso delle considerazioni che precede, nell’evidenziare il riscontro di
gravi lacune interpretative e motivazionali addebitabili alla sentenza impugnata,
di questa impone l’annullamento, tanto con riguardo alla ritenuta colpevolezza
dell’imputato, quanto in relazione alla conseguente responsabilità ascritta alla
Ittica del Golfo s.r.I., con il conseguente rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Palermo per un nuovo esame.

7. L’accoglimento dei motivi di ricorso di cui al precedente par. 6 (e il
conseguente annullamento della sentenza di condanna impugnata) vale a
ritenere assorbito il doveroso esame delle censure, sollevate da entrambi i
ricorrenti, riferite all’omessa pronuncia della condanna nei confronti della Zurich
Assicurazioni, già citata e intervenuta in giudizio in qualità di responsabile civile.

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Vale sul punto il richiamo al consolidato insegnamento della giurisprudenza

P.Q.M.
La Corte di cassazione, annulla la impugnata sentenza con rinvio alla Corte
d’Appello di Palermo altra Sezione per nuovo esame.
Roma, 17/10/2014

Il Consigliere est.
(Marco D ll’Utri)
Il Presidente

CORTE SUPEW.,
iv

(Gaetanino Zecca)

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