Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37859 del 24/04/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37859 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RANIERI ROSA nato a BARI il 15/04/1949

avverso la sentenza del 10/10/2017 del TRIBUNALE di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GRAZIA MICCOLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO
che ha concluso chiedendo

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’
udito il difensore

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10 ottobre 2017, il Tribunale di Bari ha confermato la pronunzia con la quale
il Giudice di Pace della stessa città aveva condannato Rosa RANIERI alla pena di euro 50,00 di
multa per il reato di cui all’art. 612 cod. pen.

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Data Udienza: 24/04/2018

2. Avverso tale sentenza l’imputata ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per
cassazione articolato in un unico motivo, con il quale si deducono violazione di legge e correlati
vizi motivazionali in ordine agli artt. 210, comma 6, e 192, commi 1, 3 e 4, cod. proc. pen.
2.1. Sostiene la ricorrente che la motivazione fornita dal giudice di appello in ordine
all’unico elemento di prova posto a fondamento della condanna – la testimonianza di tale Rino
Chiarolla (marito della parte civile) – risulta carente e illogica, laddove afferma che le
dichiarazioni del testimone sono caratterizzate da “serenità e precisione circostanziale”. Non si
comprende come il Tribunale, trascurando le incongruenze rilevabili nella deposizione, abbia

esattamente intendersi con tale espressione.
2.2. La testimonianza del Chiarolla è, inoltre, inutilizzabile in quanto assunta in violazione
dell’art. 210, comma 6, cod. proc. pen. Il teste, infatti, al momento della deposizione rivestiva
la qualità di imputato di un procedimento connesso ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b) cod.
proc. pen., per cui avrebbero dovuto essergli fatti gli avvisi di cui all’art. 64, comma 3, lett. c)
del codice di rito, che invece sono stati omessi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1. Priva di pregio è anzitutto la doglianza relativa alla illogicità della motivazione resa dal
Tribunale in ordine all’attendibilità del teste Rino Chiarolla; essa si risolve, a ben vedere, nel
tentativo di sollecitare una rivalutazione della prova dichiarativa, pacificamente non consentita
in questa sede.
È infatti insindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della
motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e
attendibilità delle fonti di prova (Sez. 5, Sentenza n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623; Sez.
2, Sentenza n. 20806 del 05/05/2011, Rv. 250362).
Non è peraltro ravvisabile, nel caso di specie, alcun profilo di illogicità o carenza della
motivazione: il Tribunale ha infatti ritenuto di poter desumere la prova della colpevolezza
dell’imputata dalle dichiarazioni rese in dibattimento dal coniuge della persona offesa, dando
puntualmente conto delle circostanze – riferite dallo stesso – che hanno permesso di fondare il
giudizio di attendibilità del teste; giudizio peraltro avvalorato dalla testimonianza della figlia della
stessa imputata, la quale aveva confermato in giudizio che i rapporti di vicinato tra la persona
offesa e l’imputata erano tesi.
Il motivo di ricorso risulta peraltro generico, in quanto con esso ci si limita a contestare la
valutazione espressa dal giudice in ordine alla precisione circostanziale delle dichiarazioni rese
dal teste Chiarolla. Tale testimonianza sarebbe infatti, a parere della ricorrente, intrinsecamente
poco verosimile “alla luce delle plurime incongruenze rilevabili”.
Deve tuttavia rilevarsi la mancanza di qualsivoglia indicazione in merito alle circostanze che,
come si sostiene, renderebbero inverosimile il racconto del predetto teste; merita in proposito
ricordare che la generica prospettazione di un’inadeguata valutazione delle prove non è
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colto dalla mera lettura del verbale la “serenità” delle predette dichiarazioni, né che cosa debba

sufficiente a integrare il necessario requisito di specificità del motivo di ricorso, essendo invece
necessario indicare le ragioni per cui si ritiene errata la valutazione che il giudice ha compiuto
delle prove legittimamente acquisite nel dibattimento.
Parimenti priva di pregio risulta la censura della ricorrente in relazione alla scelta del Tribunale
di fare riferimento, per la valutazione delle dichiarazioni rese dal teste in questione, al verbale
di udienza del Giudice di pace del 21 gennaio 2016; in particolare, ci si duole della mancanza di
una “analisi concreta” della testimonianza del Chiarolla.
La doglianza è manifestamente infondata: come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte,

caso in cui il giudice di appello proceda alla riforma della sentenza di assoluzione sulla base di
un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva (Sez. U,
Sentenza n. 27620 del 28/04/2016, Rv. 267488); a tale proposito, è stato infatti osservato che
l’apporto informativo che deriva dalla diretta percezione della prova orale è condizione essenziale
della correttezza e completezza del ragionamento avuto riguardo dell’<

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