Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37851 del 06/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37851 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
I.M.E. SRL parte offesa nel procedimento
c/
LOMBARDI STEFANO N. IL 02/02/1964
MESSINA ALFIO N. IL 01/01/1950
LASTELLA DOMENICO N. IL 25/04/1939
MANGHI MASSIMILIANO N. IL 15/11/1966
AMBROSIO FRANCESCO N. IL 04/12/1954
avverso il decreto n. 1049/2012 GIP TRIBUNALE di PAVIA, del
12/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
lette/sgtite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 06/06/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il GIP di Pavia con ordinanza 12.6.2012, all’esito dell’udienza camerale, ha
dichiarato inammissibile l’opposizione della IME srl alla richiesta di archiviazione del
procedimento penale nei confronti di Lombardi Stefano, Messina Alfio e altri indagati in
ordine ai reati di turbata libertà dell’industria e del commercio (art. 513 cp) e illecita
concorrenza con minaccia e violenza (513 bis cp.
Per giungere a tale conclusione ilo GIP ha osservato che la IME srl nell’atto di
opposizione ha chiesto un supplemento di indagine che però non potrebbe modificare il

quadro probatorio già ampiamente delineato. Ha ritenuto legittima la scelta di TEVA
P.F.C. di risolvere il contratto di manutenzione con IME riguardante l’impianto di
Villanterio sotto il profilo penale, salve eventuali pretese civilistiche, e irrilevante il
mancato svolgimento di una gara d’appalto da parte della committente TEVA prima di
concludere il nuovo contratto con CGSi. Ha ritenuto che la volontà di dipendenti TEVA
dello stabilimento di Villanterio di mantenere i dipendenti IME ritenuti più validi non
contraddiceva la scelta della società di unificare la gestione della manutenzione dei
quattro stabilimenti e non costituiva atto di concorrenza sleale o elemento costitutivo dei
predetti reati,
Il GIP ha inoltre ritenuto lecita la condotta della IGS consistente nel contattare
alcuni operai IME (non legati con quest’ultima da patto di non concorrenza), per
assumerli-a sua volta, mancando la violenza e l’uso di mezzi fraudolenti, tanto che gli
interpellati hanno rinunziato per ragioni economiche, osservando che IME ha continuato
la propria attività presso altri clienti e che per la risoluzione dei rapporti non risulta il
verificarsi di danni diversi da quelli connessi al rischi dell’impresa.
Ha ritenuto inconferenti le indagini richieste dall’opponente IME, perché i fatti
risultavano ampiamente esposti nell’atto di querela mentre ii contatti telefonici che
potrebbero emergere dai tabulati risultavano irrilevanti, come pure era irrilevante il fatto
che il Lombardi avesse dimostrato preoccupazione per la perdita degli operai più esperti.
2. Il difensore della IME ricorre per cassazione contro il suddetto provvedimento
denunziando la violazione dell’art. 111 cost per abnormità del decreto e per mancanza o
apparenza di motivazione,
Dopo avere integralmente trascritto l’atto di opposizione e il contenuto
dell’ordinanza di archiviazione impugnata, la ricorrente rimprovera al GIP di non avere
motivato sulla irrilevanza delle richieste di prova e di avere minimizzato sulla condotta
degli indagati; di non avere motivato sulla sussistenza provata delle minacce e violenze
e sulle offerte di una paga inferiore ai dipendenti IME; rileva l’inconferenza della
mancanza di un patto di non concorrenza e richiama il dovere di fedeltà che avevano i
lavoratori IME verso l’azienda, dovere che gli indagati hanno tentato di scardinare con la
violenza e minaccia di perdita del posto di lavoro se non avessero accettato di passare
alle dipendenze della CGS. Contesta la mancata acquisizione dei tabulati telefonici.
2

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
4.

Gli indagati hanno depositato due memorie difensive concludendo per

l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La vicenda prende le mosse da un rapporto di appalto per la manutenzione di un
impianto industriale (lo stabilimento di Villanterio) tra la società TEVA (committente) e la

IME (appaltatrice) e la successiva risoluzione dello stesso su iniziativa della prima, che
affida l’appalto ad altra società (la CGS). Secondo la tesi dell’esponente, i legali
rappresentanti della CGS, (società subentrata nella manutenzione dell’impianto
industriale di Villanterio) in concorso con Lombardi e Messina della TEVA, avrebbero
contattato alcuni dipendenti della IME per una assunzione alle dipendenze della CGS a
condizioni economiche inferiori sotto la minaccia della perdita del posto di lavoro presso
il suddetto stabilimento. Di qui la querela proposta dal legale rappresentante della IME,
sfociata nell’opposto provvedimento di archiviazione.
2. Come chiaramente emerge dagli atti, il provvedimento impugnato è stato emesso
non de plano, ma all’esito di udienza camerale fissata dal GIP a seguito di opposizione
alla richiesta di archiviazione secondo le previsioni dell’art. 409 e 410 cpp..
E’ pacifico in giurisprudenza che l’ordinanza di archiviazione è impugnabile
nell’attuale ordinamento processuale soltanto nei rigorosi limiti fissati dall’art. 409 c.p.p.,
comma 6, e tali limiti sussistono quale che sia il procedimento a conclusione del quale
viene formulata. La citata norma, nel fare espresso e tassativo richiamo ai casi di nullità
previsti dall’art. 127 c.p.p., comma 5, legittima infatti il ricorso per cassazione soltanto
nei casi in cui le parti non siano state poste in grado di esercitare le facoltà previste dalla
legge e cioè l’intervento in Camera di consiglio (cfr. tra le varie, cass. Sez. 1, Ordinanza
n. 8842 del 07/02/2006 Cc. dep. 14/03/2006 Rv. 233582).
Si tratta di una interpretazione giurisprudenziale pacifica ed ampiamente
consolidata (v. per tutte Cass. Sez. Un. 09/06/1995, Bianchi) ed anche le numerosi
questioni di legittimità costituzionale della suddetta disposizione sono state
re.42~4ge ritenute manifestamente infondate soprattutto in base al rilievo che la
norma in questione accorda alla parte gli stessi diritti riconosciuti a chi impugna il
decreto di archiviazione e non viola gli artt. 111 e 112 Cost. perché il provvedimento di
archiviazione non ha natura di sentenza e nel contempo il principio della obbligatorietà
della azione penale non comporta la apertura di un processo anche quando esso appaia
palesemente superfluo (v. Cass. 20/09/1991, Di Salvo; Cass. 26/19/1995, Ronchetti). È
quindi inammissibile il ricorso per Cassazione avverso il decreto o la ordinanza di
archiviazione per vizio di motivazione o per travisamento dell’oggetto o per omessa
considerazione di circostanze di fatto già acquisite (v. Cass. 20/06/1994, Migliaccio;

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Cass. 23/12/1992, Cassiano). In sostanza, poiché il ricorso per Cassazione avverso il
provvedimento di archiviazione è consentito nei soli casi di mancato rispetto delle regole
poste a garanzia del contraddittorio, non possono in alcun modo essere oggetto di
censura le valutazioni espresse dal giudice a fondamento della ordinanza di archiviazione
e neppure le considerazioni in base alle quali il P.M. abbia richiesto la archiviazione,
essendo il giudice investito della richiesta del tutto libero di motivare il proprio
convincimento anche prescindendo dalle valutazioni dell’organo titolare dell’azione
penale (v. Cass. 28/09/1999, Mezzaroma).

Ciò comporta la immediata inammissibilità di tutti i profili di ricorso in oggetto,
come sopra esposti, per quanto attinente a pretesi difetti di valutazione o di motivazione
del provvedimento impugnato, anche in relazione a supposta pretermissione o erronea
valutazione delle tesi della parte offesa esposte negli scritti difensivi e nell’atto di
opposizione, rilevandosi l’inappropriato richiamo alla giurisprudenza citata nel ricorso che
riguarda la ben diversa ipotesi del decreto di archiviazione emesso

de plano con

contestuale inammissibilità dell’opposizione.
3. Restano da esaminare i medesimi profili di ricorso nell’ottica della prospettata
abnormità del provvedimento del G.I.P., che, a dire della parte ricorrente, lo renderebbe
ricorribile per cassazione e quindi annullabile, con riguardo al fatto che il suddetto
giudice non avrebbe motivato sulla superfluità o irrilevanza delle ulteriori richieste di
prova e sulla inerzia del PM in ordine alle richieste già formulate nel corso del
procedimento e poi reiterate nella opposizione, minimizzando sulla condotta degli
indagati e dando una motivazione assurda in ordine alla richiesta di acquisizione dei
tabulati telefonici (cfr. pagg. 14 e 15 ricorso).
Secondo un principio ormai consolidato – ed al quale va senz’altro data
continuità – è affetto da abnormità, non soltanto il provvedimento che, per la
singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale
ma, altresì, quello che, pur essendo in astratto espressione di un legittimo potere, si
esplichi al di fuori dei casi consentiti o delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole
limite. Si è aggiunto, in dette decisioni, che l’abnormità dell’atto può riguardare tanto il
profilo strutturale – quando l’atto si pone al di fuori del sistema normativo – quanto il
profilo funzionale – quando esso, pur non ponendosi al di fuori del sistema, determini
la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. 4, Sentenza n. 10744 del
06/12/2011 Cc. dep. 19/03/2012 Rv. 252657 Cass. S.U. rv. 209603, 215094, 238240;
cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 38753 del 2012).
Ora, nel caso di specie, il GIP di Pavia con l’ordinanza resa all’esito dell’udienza
camerale fissata a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione, ha dichiarato
l’inammissibilità rilevando che le indagini richieste dall’opponente non potrebbero
modificare, ai fini della decisione da assumere, il quadro probatorio già ampiamente
delineato e ha dato conto di tale convincimento attraverso un percorso argomentativo
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(riportato nella narrativa che precede) che, lungi dal risolversi in una mera clausola di
stile, spiega le ragioni della inutilità delle investigazioni richieste in maniera
logicamente coerente: il giudice ha dunque esercitato correttamente un potere che gli
deriva espressamente dalla legge (artt. 409 e 410 cpp) e che in concreto, non può di
certo ritenersi eccentrico e tale da porsi fuori del sistema.
Insomma, la dichiarazione di inammissibilità dell’opposizione, costituisce
esercizio dei poteri propri del giudice per le indagini preliminari e dunque non colloca

dep. 14/03/2013 Rv. 254272; cfr. altresì, Sez. 1^, 4.12.2008/27.1.2001, P.M. in proc.
e. Schepis, Rv 242223).
Solo per completezza, va osservato che nella specie non ricorre neppure la
seconda tipologia di abnormità, quella funzionale, per il fatto che l’archiviazione non
produce alcuna stasi del procedimento.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna della parte
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento
della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 6.6.2013.

l’atto fuori dal sistema processuale (v, Sez. 2, Sentenza n. 11938 del 26/02/2013 Cc.

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