Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37848 del 19/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37848 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cutuli Dario, nato a Catania il 27-05-1988
Sutera Angelo, nato a Catania il 24-07-1976
Sciuto Domenico, nato a Catania il 24-10-1984
avverso la sentenza del 15-04-2014 della Corte di appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito D’Ambrosio che ha
concluso per l’inammissibilità dei ricorsi
Uditi per i ricorrenti l’avvocato Vincenzo Merlino che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso Sutera;

Data Udienza: 19/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Dario Cutuli, Angelo Sutera e Domenico Sciuto ricorrono per cassazione
impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di
Catania, in riforma della sentenza emessa, a seguito di giudizio abbreviato, dal
Gup presso il medesimo tribunale, ha assolto gli imputati dal reato di cui al capo
b) della rubrica perché il fatto non sussiste e, ritenuto il reato ascritto ad Angelo
Sutera unificato dal vincolo della continuazione con quello di cui alla sentenza
della Corte di appello di Catania del 26 aprile 2012, irrevocabile il 6 dicembre

di reclusione ed euro 2000 di multa; ha determinato la pena per Dario Cutuli in
anni due, mesi quattro di reclusione ed euro 10.000 di multa ed ha determinato
la pena per Domenico Sciuto in anni tre di reclusione ed euro 1200 di multa per
il reato di detenzione al fine di spaccio e cessione di sostanze stupefacenti (art.
73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309).

2. Per la cassazione dell’ impugnata sentenza, con separati ricorsi, Angelo
Sutera, Domenico Sciuto, tramite i rispettivi difensori, e Dario Cutuli,
personalmente, sollevano i seguenti motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi
dell’articolo 173 disposizione di attuazione codice di procedura penale, nei limiti
strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Angelo Sutera deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione nonché l’erronea applicazione della legge penale
(articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), codice di procedura penale).
Assume che la Corte di appello ha accolto la doglianza difensiva
riconoscendo il vincolo della continuazione tra la sentenza irrevocabile e la
presente regiudicanda ma non ha ammesso la sussistenza del fatto di lieve entità
nel processo in corso, epilogo che invece era stato affermato con riferimento al
fatto già giudicato ed in ordine al quale era contestata la detenzione per fini di
spaccio di 94 dosi di marijuana, pari a 192,3 g. Ad avviso del ricorrente, la corte
di appello ha erroneamente ritenuto di configurare come reato più grave quello
oggetto del presente procedimento nonostante la quantità di sostanza
stupefacente illecitamente detenuta fosse inferiore e motivando la maggiore
gravità del reato sub ludice sulla base dell’elevato numero di cessioni registrate
in un solo giorno e sulla base del fatto che il ricorrente fosse stabilmente in
servizio nel villaggio Dusmet per la cessione di marijuana, ma senza indicare il
numero delle cessioni, né la quantità della sostanza stupefacente detenuta o
ceduta.
Nel corso della discussione orale, il difensore ha infine segnalato che la
Corte di appello, nel determinare la pena, ha applicato la diminuente del rito

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2013, ha determinato la pena complessiva per il predetto Sutera in anni quattro

esclusivamente per il reato più grave, aumentando in maniera secca la pena per
il reato satellite.
2.2. Dario Cutuli lamenta violazione di legge nonché mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella misura in cui non
sono state considerate le circostanze addotte dalla difesa al fine di mitigare il
trattamento sanzionatorio posto che il fatto contestato doveva essere sussunto
nel quinto comma dell’articolo 73 d.p.r. 309 del 1990 sul rilievo che la condotta
illecita realizzata dal ricorrente fosse il frutto di una sua maldestra iniziativa

delinquenziale; che le modalità della condotta fossero rudimentali; che la
sostanziale inesistenza di precedenti penali e la totale assenza di acquisizioni
investigative dovesser oescludere che il ricorrente avesse tenuto condotte
analoghe.
2.3. Domenico Sciuto deduce, con un primo motivo, l’inosservanza o
erronea applicazione della legge penale nonché l’illogicità e la mancanza di
motivazione su punti decisivi per il giudizio.
Assume che erroneamente è stata affermata la responsabilità penale del
ricorrente al di là di ogni ragionevole dubbio, posto che né dal servizio di
osservazione e pedinannento e neppure dalle intercettazioni sarebbe stato
possibile desumere le prove della responsabilità.
Con un secondo motivo, lamenta l’illogicità della motivazione in relazione
alla mancata qualificazione del fatto come di lieve entità ai sensi del quinto
comma dell’articolo 73 d.p.r. 309 del 1990.
Con un terzo motivo, deduce la mancanza e l’illogicità della motivazione
sotto il profilo della mancata applicazione delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto da Angelo Sutera è parzialmente fondato mentre i
restanti ricorsi sono inammissibili.

2. E’ motivo comune a tutti i ricorrenti, per Sutera e Cutuli costituisce
motivo esclusivo, quello per il quale essi lamentano la mancata applicazione del
fatto di lieve entità.
Sul punto, la Corte d’appello ha sostenuto che, quanto alle posizioni di Dario
Cutuli e di Domenico Sciuto, non potesse ritenersi la lieve entità del fatto
ostando al riconoscimento della relativa ipotesi innanzitutto la quantità non certo
modesta dello stupefacente sequestrato, pari ad oltre 300 dosi (per il solo
Cutuli), oltre alle plurime cessioni che sono risultate dal servizio di osservazione
da parte della polizia giudiziaria nonché alle modalità dell’attività illecita

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personale e non espressione di un suo inserimento in alcun organigramma

mediante la predisposizione di apposito nascondiglio, la frequenza delle cessioni
in un breve lasso di tempo e la personalità dei soggetti gravati da precedenti
penali.
Quanto infine alla posizione di Angelo Sutera, la Corte d’appello ha
osservato che l’ipotesi di lieve entità dovesse escludersi sulla base dell’elevato
ntimero di cessioni registrate in un solo giorno, sulla base del fatto che il
ricorrente è stato riconosciuto come soggetto “stabilmente in servizio” nel
villaggio Dusmet per la cessione di marijuana, sulla base dell’organizzazione

che, sebbene non idonea a radicare il reato associativo, era dimostrativa che lo
svolgimento dell’attività delittuosa avveniva in modo professionale e non certo
occasionale o episodico.
Nel pervenire a tale conclusione, i Giudici d’appello hanno fatto corretta
applicazione del consolidato principio di diritto affermato da questa Corte, nella
sua più autorevole composizione, secondo il quale la circostanza attenuante
speciale del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del
1990 (ora titolo autonomo di reato) può essere riconosciuta solo in ipotesi di
minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e
quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi,
modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici
previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione
resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, P.G. in
proc. Rico, Rv. 247911).
I rilievi sollevati dai ricorrenti, in relazione alla ratio decidendi della sentenza
impugnata in parte qua,

sono allora del tutto generici, perché essi non

contrastano i dati fattuali utilizzati dalla Corte di appello per escludere la minima
offensività del fatto ma oppongono, peraltro in modo assertivo, la dubbia
esistenza di ulteriori circostanze che – in presenza, come nella specie, di uno o
più dati ostativi – non consentono, secondo il dictum delle Sezioni Unite, di
reclamare la sussistenza del fatto di lieve entità.
Non hanno perciò fondamento il secondo motivo proposto da Domenico
Sciuto e i rispettivi motivi proposti da Angelo Sutera e da Dario Cutuli.

3. Sono inammissibili, perché non consentiti o manifestamente infondati,
anche il primo ed il terzo motivo del ricorso Sciuto.
Quanto all’affermazione della responsabilità, il ricorrente omette di
considerare, non confrontandosi minimamente con la sentenza impugnata in
parte qua, che la Corte d’appello ha evidenziato come il ricorrente fosse stato
oggetto di una diretta osservazione da parte della polizia giudiziaria, in data 7
novembre 2007, in occasione della consegna da parte del ricorrente di droga a
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dell’attività illecita mediante contatti con altri soggetti (fornitori e collaboratori)

due soggetti (Barzillona e Coco) che nei giorni successivi eseguivano
numerosissime cessioni a diversi soggetti, oltre al fatto che le intercettazioni
telefoniche avevano dimostrato il contatto assiduo e protratto nel tempo da parte
del ricorrente stessi con l’ambiente criminale degli stupefacenti.
Ne consegue che l’assunto del ricorrente è del tutto assertivo e
completamente disarticolato rispetto ai fatti, come accertati nel giudizio di
merito, insuscettibili pertanto di essere sottoposti a rivisitazione nel giudizio di
legittimità.
Quanto infine al mancato riconoscimento delle circostanze generiche, va

d’appello ha ritenuto corretto il giudizio di bilanciamento con le aggravanti sulla
base della personalità negativa di tutti i ricorrenti, compreso lo Sciuto, attestata
dalla recidiva.
Al cospetto dunque di una logica ed adeguata motivazione circa i poteri
discrezionali che la legge conferisce al giudice di merito, il motivo di ricorso non
supera la soglia dell’ammissibilità.

4. Va invece annullata senza rinvio la sentenza impugnata da Angelo Sutera
limitatamente alla determinazione della pena.
4.1. Occorre premettere che la Corte di appello, nell’accogliere il motivo di
gravame diretto a riconoscere il vincolo della continuazione tra i fatti da
giudicare e quelli già giudicati con la sentenza del 26 aprile 2012, irrevocabile il 6
dicembre 2013, ha rideterminato la pena ritenendo più gravi i fatti sub iudice ed
ha fissato in anni 4 e mesi 6 di reclusione ed euro 3000,00 di multa la pena per il
reato base, con riferimento alla quale ha operato la diminuzione di 1/3 per il rito,
aumentandola di un anno per la continuazione, in relazione alla sentenza della
Corte di appello di Catania del 26 aprile 2012, e pervenendo alla pena finale di
anni 4 di reclusione ed euro 2000 di multa.
4.2. Le Sezioni Unite penali hanno fissato il principio di diritto per il quale la
riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato si applica dopo che
la pena è stata determinata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di
pene stabilite dagli artt. 71 ss. cod. pen., fra le quali vi è anche la disposizione
limitativa del cumulo materiale, in forza della quale la pena della reclusione non
può essere superiore ad anni trenta (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, P.G. in
proc. Volpe e altri, Rv. 237692).
4.3. La quinta Sezione di questa Corte ha fatto scaturire dal predetto
indirizzo e da altri affermati da questa Corte in materia di esecuzione penale, il
principio secondo il quale, riconosciuta, in fase di cognizione o di esecuzione, la
continuazione tra più reati, oggetto, alcuni, di condanna all’esito di giudizio
abbreviato e, altri, di condanna all’esito di giudizio ordinario, la riduzione ex art.
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ricordato che esse sono state concesse dal giudice di primo grado e la Corte

442 cod. proc. pen. va applicata solo sulla pena determinata per i reati giudicati
con rito abbreviato, anche nel caso in cui il reato più grave sia stato giudicato
con il rito speciale e il cumulo di pene inflitte nei diversi procedimenti superi gli
anni trenta di reclusione, e, quindi, risulti un’unica pena “temperata” ai sensi
dell’art. 78 cod. pen., atteso che la diminuente di un terzo non può operare per i
reati definiti con giudizio ordinario (Sez. 5, n. 47073 del 20/06/2014, Esposito,
Rv. 262144).
4.4. Il Collegio condivide il precedente orientamento limitatamente ai casi in

quello abbreviato), il giudice, riconosciuta la continuazione tra reati giudicati in
via ordinaria e reati giudicati con il rito speciale, determini la violazione più grave
in relazione al reato giudicato con il rito ordinario, procedendo nel contempo
all’aumento di pena per la continuazione in ordine ai reati satelliti (giudicati con il
rito abbreviato) e riducendo la pena di un terzo con riferimento ad essi soltanto.
Quando invece il giudice – nella fase della cognizione – procede, come nella
specie, con il rito abbreviato e riconosce la continuazione tra reati giudicati con
il rito ordinario e reati giudicati con il giudizio abbreviato, determinando la
violazione più grave, come nel caso in esame, con riferimento a questi ultimi,
intaccando quoad poenam il giudicato formatosi in relazione al reato satellite
definito con il rito ordinario, la riduzione spettante per la scelta del rito
abbreviato va applicata sulla pena finale determinata dopo l’aumento disposto
per i reati – satellite giudicati con il rito ordinario.
Le Sezioni Unite (Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, cit.), per quanto qui
rileva, hanno sottolineato che la formula «in caso di condanna, la pena che il
giudice determina è diminuita di un terzo», impiegata nell’art. 442, comma 2,
cod. proc. pen., trova agevole riferimento, in caso di pluralità di reati, nel
secondo comma del successivo art. 533 (pure richiamato dall’art. 442, comma
1), il quale testualmente recita: «se la condanna riguarda più reati, il giudice
stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve
essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla
continuazione»: scansione, questa, da cui si desume, secondo le Sezioni Unite,
che, con riguardo alla condanna concretamente inflitta, la commisurazione delle
singole componenti della pena complessiva attiene ad una fase precedente la
deliberazione finale.
Simili rilievi esegetici, che si armonizzano peraltro con le intenzioni del
legislatore, postulano, sempre secondo le Sezioni Unite, che l’operazione
riduttiva per la scelta del rito costituisca un

posterius rispetto alle altre,

ordinarie, operazioni di dosimetria della pena, che la legge attribuisce al giudice,
significativamente affermando come la “disposizione dell’art. 78 c.p., segnando il
limite dell’esercizio della potestà punitiva sta tuale nell’irrogazione delle pene

6

\Tt>”

cui, nella fase della cognizione (sia che si proceda con il rito ordinario o con

detentive temporanee, appartenga legittimamente all’area delle regole di natura
sostanziale del codice penale sul concorso dei reati e delle pene

[come] si

desume altresì dalla disciplina del reato continuato. Il terzo comma dell’art. 81
c.p. pone, infatti, un limite ulteriore rispetto alla previsione del primo comma,
nel senso che la pena, pure aumentata fino al triplo di quella che dovrebbe
infliggersi per la violazione più grave, tuttavia «non può essere superiore a
quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti», sicché
devono intendersi richiamate, in funzione moderatrice dell’aumento di pena per
la continuazione, tutte le disposizioni degli artt. 71 ss. c.p. sul cumulo materiale,
col temperamento stabilito dall’art. 78 c.p. (Cass., Sez. I 11/3/1981, Polelli, rv.
149476; Sez. V, 4/12/1981, Bottari, rv. 151654). Ebbene, va sottolineato in
proposito che non si è mai dubitato in dottrina e in giurisprudenza (v., per tutte,
Cass., Sez. I, 29/1/1993, El Bakali, rv. 195960) che l’aumento per la
continuazione – determinato, come si è visto, anche in ossequio al limite
quantitativo fissato ai sensi dell’art. 78 c.p. – debba precedere la riduzione finale
di un terzo, che opera sulla pena determinata in concreto per tutti i reati che
hanno formato oggetto del giudizio abbreviato e che abbiano dato luogo alla
configurazione del reato continuato”.
Ora – nel caso di riconoscimento della continuazione, in un procedimento
celebrato nelle forme del giudizio abbreviato, con reati oggetto di una sentenza
irrevocabile quantunque pronunciata con il rito ordinario – non vi è dubbio che
formano oggetto del rito speciale, sebbene limitatamente alla determinazione del
trattamento sanzionatorio, anche i reati già giudicati che abbiano dato luogo alla
configurazione del reato continuato, quando la pena irrogata con la precedente
sentenza non sia mantenuta ferma ma sia stata complessivamente rideterminata
sulla base di quella da infliggersi per il reato più grave sottoposto al giudizio
(abbreviato) in corso con applicazione dell’aumento ritenuto equo in riferimento
al reato meno grave già giudicato.
D’altra parte non può essere omesso il rilievo, già in passato con lucidità
evidenziato dalle Sezioni Unite Nicolini (Sez. U, n. 7682 del 21/06/1986 in
motiv.), che l’ applicazione della continuazione tra reato già giudicato e reato sub
iudice – qualunque sia il rapporto di gravità tra i due reati – implica in ogni caso
una riconsiderazione del fatto già definitivamente accertato sia pure al solo fine
di riconoscerne la dipendenza da un unico disegno criminoso, restando solo
precluso un giudizio, non più modificabile, sul fatto costituente reato, ma non la
rettificazione del trattamento sanzionatorio stabilito con la sentenza irrevocabile
di condanna.
Ne consegue che, riconosciuta, in fase di cognizione, la continuazione tra più
reati, oggetto, alcuni, di condanna all’esito di giudizio abbreviato e, altri, di
condanna all’esito di giudizio ordinario, la riduzione spettante per la scelta del

7

,

rito abbreviato ex art. 442 cod. proc. pen. va applicata, nel caso in cui il reato
più grave sia stato giudicato con il rito speciale, sulla pena finale determinata
dopo l’aumento disposto per i reati – satellite anche se definiti con il rito
ordinario.

5. La Corte territoriale, pure procedendo nella fase dell’impugnazione in
relazione ad un procedimento celebrato nelle forme del rito abbreviato, ha
invece operato la riduzione solo con riferimento al reato sub iudice ritenuto di

L’impugnazione da parte del ricorrente del capo della sentenza che ha
applicato la pena sulla base di una errata, sebbene ritenuta a torto,
qualificazione giuridica del reato stimato più grave, con ricadute sul trattamento
sanzionatorio nel suo complesso, consente di procedere all’annullamento della
sentenza impugnata che deve essere disposto in parte qua senza rinvio perché
alla determinazione della pena può provvedere direttamente (art. 620, comma 1
lett. I) cod. proc. pen.) la Corte di cassazione sulla base di un procedimento
esclusivamente aritmetico (alla pena di anni quattro, mesi sei ed euro 3.000,00
stabilita per il reato più grave va aggiunta infatti la pena di anni uno di
reclusione determinata in continuazione dalla Corte di appello per il reato
satellite = anni cinque, mesi sei di reclusione ed euro 3.000,00 di multa che va
ridotta di 1/3 per la diminuente del rito = anni tre, mesi otto di reclusione ed
euro 2000 di multa).
Il ricorso Sutera va infine rigettato nel resto.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Sutera Angelo,
limitatamente alla quantificazione della pena che determina in anni tre, mesi otto
di reclusione ed euro 2000 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Sciuto Domenico e Cutuli Dario che
condanna al pagamento delle spese processuali e di euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deciso il 19/05/2015

maggiore gravità.

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