Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37805 del 09/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37805 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da Jendoubi Nouri Ben Salah, nato a Bizerte (Tunisia)
il 7.2.1970, e da Durieux Julien Charles, nato a Oullins (Francia) il 7.3.1971;
avverso la sentenza emessa il 3 febbraio 2012 dalla corte d’appello di Bologna;
udita nella pubblica udienza del 9 maggio 2013 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Svolgimento del processo
Il tribunale di Bologna, con sentenza 17.7.2000, dichiarò Durieux Julien
Charles colpevole del reato continuato di detenzione a fini di spaccio e di offerta in vendita di Kg. 3,5 di cocaina, condannandolo alla pena di anni 9 di reclusione e lire 60 milioni di multa e Jendoubi Nouri Ben Salah colpevole dei reati
continuati di ricezione di partite di cocaina e della loro offerta in vendita, condannandolo alla pena di anni 5 e mesi 8 di reclusione e lire 40 milioni di multa.
La corte d’appello di Bologna, con sentenza 7.12.2005, confermò la sentenza di primo grado.
A seguito di ricorsi per cassazione questa Corte, con sentenza del
15.1.2009, rigettando tutti gli altri motivi di gravame, annullò la sentenza di secondo grado con rinvio alla corte d’appello per la rivalutazione dell’entità della
pena, quanto alla posizione di Durieux, e quanto a Jendoubi per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art 603 cpp mediante esame del
Mar. I 1 o Di Cesare, essendo inutilizzabile, per violazione dell’ art 238 co 2 bis
cpp, la sua testimonianza assunta nel procedimento in cui non era ancora parte il
predetto Jendoubi.

Data Udienza: 09/05/2013

La corte d’appello di Bologna, in sede di rinvio, con sentenza del 3 febbraio 2012, rideterminò la pena quanto a Jendoubi in anni 4 e mesi 4 di reclusione ed € 20.000 di multa e quanto a Durieux in anni 6 e mesi 8 di reclusione
ed € 30.000 di multa.
Il Durieux, a mezzo dell’avv. Alessandro Cristofori, propone ricorso per
cassazione deducendo:
1) violazione di legge perché la corte d’appello avrebbe dovuto escludere
una pluralità di atti penalmente rilevanti quoad poenam posto che il ricorrente
aveva svolto un’unica trattativa che si era sviluppata in un’ampia sequenza temporale, sicché era ravvisabile un unico comportamento illecito di offerta di sostanza stupefacente.
2) avrebbero dovuto essere concesse le attenuanti generiche essendo passati dai fatti 15 anni, durante i quali non aveva posto in essere ulteriori condotte
illecite.
Il Jandoubi, a mezzo dell’avv. Manuele Ciappi, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) vizio di motivazione perché nella specie si era trattato non di agenti sotto copertura ma di veri e propri agenti provocatori, in quanto la trattativa per la
cessione della sostanza stupefacente di tipo cocaina aveva preso avvio esclusivamente a seguito dell’attività svolta dai carabinieri. L’azione criminosa è stata
quindi determinata in modo assoluto e decisivo dalla condotta tenuta da costoro,
sicché si verte nell’ipotesi di reato impossibile e comunque si tratta di condotta
non punibile. Inoltre, le dichiarazioni provocate da un agente sotto copertura
non sono utilizzabili. Né sono utilizzabili le dichiarazioni del mar. Di Cesare.
2) violazione di legge in ordine alla mancata concessione della attenuante
di cui all’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990, in quanto è stato condannato unicamente sulla base delle dichiarazioni del mar. Di Cesare che sono inutilizzabili.
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso di Durieux è manifestamente infondato in
quanto esattamente la corte d’appello ha ravvisato l’esistenza di una pluralità di
condotte criminose, riunite sotto il vincolo della continuazione, nell’accusa contestata all’imputato (capo 48) — e ritenuta provata — di avere detenuto a fini di
spaccio sostanza stupefacente tipo cocaina e di averla più volte offerta in vendita a militari dei carabinieri sotto copertura dall’aprile al novembre del 1996.
Il secondo motivo del Durieux è inammissibile per intervenuto giudicato.
Invero, la doglianza per la mancata concessione delle attenuanti generiche era
già stata proposta dall’imputato con il precedente ricorso per cassazione e respinta dalla sentenza di questa Corte.
Il ricorso del Durieux deve pertanto essere dichiarato inammissibile per
manifesta infondatezza dei motivi. In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.,
segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una
somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stes-

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so, si ritiene congruo fissare in E 1.000,00.
Il ricorso di Jendoubi è invece infondato.
Quanto al motivo con cui si deduce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni
rese dall’imputato al militare dei carabinieri che agiva sotto copertura, è sufficiente ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «In tema di indagini per l’accertamento dei reati concernenti le sostanze stupefacenti, gli investigatori operanti “sotto copertura” possono rendere testimonianza su quanto
hanno appreso dall’imputato nel corso dell’investigazione, dal momento che,
nell’ambito dell’operazione svolta, sono stati soggetti partecipanti all’azione e
non hanno agito come ufficiali di polizia giudiziaria con i poteri autoritativi e
certificatori connessi alla qualifica» (Sez. VI, 5.12.2006, n. 41730, Ani, m.
235590, Sez. IV, 30.11.2004, n. 6702 del 2005, Meta, m. 230720).
Quanto al motivo secondo cui si sarebbe trattato non già di agenti sotto
copertura ma di veri e propri agenti provocatori, va ricordato in proposito che
secondo la più recente e condivisibile giurisprudenza di questa Corte non sono
lecite le operazioni sotto copertura consistenti nell’incitamento o nell’induzione
alla commissione di un reato da parte soggetto indagato, in quanto all’agente infiltrato non è consentito commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate
non punibili e di quelle strettamente e strumentalmente connesse. Una simile
condotta, oltre a determinare responsabilità penale dell’infiltrato, produce, quale
ulteriore conseguenza, l’inutilizzabilità della prova acquisita e rende l’intero
procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell’art. 6 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (Sez. II, n. 38488 del 9 ottobre 2008; Sez. III, n. 26763 del 3 luglio 2008; Sez. III, n. 17199 del 7.4.2011, Ediale). Per potersi ritenere esistente
la figura dell’agente provocatore, però, occorre che la condotta del provocatore
assuma una rilevanza causale nel fatto commesso dal provocato nel quale venga
suscitato un intento delittuoso prima inesistente. La giurisprudenza di questa
Corte ha considerato la questione con riferimento ad ipotesi in cui veniva invocata, quale conseguenza dell’attività dell’agente provocatore, l’applicazione dell’art. 49 c.p., evidenziando come assuma rilievo la circostanza che l’azione delittuosa sia voluta e realizzata dal reo in base ad impulsi e modalità concrete a lui
autonomamente riconducibili e non derivi in via assoluta ed esclusiva dall’istigazione dell’agente provocatore, la cui attività viene a rappresentare un fattore
estrinseco che ha solo dato spunto all’azione del provocato (Sez. V, n. 11915 del
26 marzo 2010; Sez. VI, n. 16163 del 17/04/2008; Sez. I, n. 9370 del 28 ottobre
1996).
In sostanza, anche secondo la giurisprudenza CEDU, deve ritenersi che
l’attività degli agenti infiltrati deve essere circoscritta e coperta da garanzie anche quando si tratta di reati di particolare gravità e che l’intervento degli agenti
provocatori, quando sia determinante per la commissione del reato (nel senso
che senza il loro intervento il reato non sarebbe stato commesso), se utilizzato
nel processo penale, può falsare irrimediabilmente il carattere equo del processo. Ciò, invece, deve escludersi quando risulti che l’indagato è pronto a commettere la violazione anche in mancanza dell’intervento degli agenti di polizia, i

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quali si limitano a disvelare un’intenzione criminale esistente, ma allo stato latente, fornendo al ricorrente l’occasione di concretizzarla. In altri termini, mentre non lede il diritto all’equo processo l’intervento della PG (suscettibile di utilizzazione probatoria in ambito processuale) che si limiti a disvelare un’intenzione criminosa in fieri, contrasta con l’equa amministrazione della giustizia un
intervento di agenti provocatori che sia essenziale per fare commettere un reato
a chi non era intenzionato a porlo in essere.
Nel caso di specie emerge in modo evidente che gel_e_asain-esarae non si è
verificata una situazione di questo genere, perché i carabinieri non hanno determinato in modo essenziale il Jandouni (che altrimenti non avrebbe avuto
intenzione di compiere una azione del genere) a ricevere dal Durieux varie
partite di 2-3 etti di cocaina e poi cederle a terzi fra cui i militari sotto copertura,
ma hanno solo disvelato una intenzione criminale palesemente già esistente,
anche se allo stato latente, fornendo all’imputato unicamente l’occasione per
concretizzarlaQuanto all’attenuante di cui all’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990,
la corte d’appello la ha esclusa con congrua, specifica ed adeguata motivazione,
osservando che era emerso che i quantitativi di cui Jendoubi disponeva (etti di
cocaina per volta), garantendo contestualmente forniture seriali e non solo occasionali ai potenziali acquirenti, non rientravano nei parametri ponderali di cui
alla attenuante in esame.
Il ricorso di Jendoubi deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso di Durieux Julien Charles, che condanna
pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Rigetta il ricorso di Jendoubi Nouri Ben Salah, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 9
maggio 2013.

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