Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3779 del 09/10/2014
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3779 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
NAPOLI
FERRANDINO GIOVAN GIUSEPPE N. IL 21/05/1992
avverso la sentenza n. 33184/2013 GIP TRIBUNALE di NAPOLI, del
13/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. nv (.3 o «OhAmo
che ha concluso per <.€l'kusikivim.144 4.41% 41
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. Udito, pe arte c . • e, U 't i dife or Avv. Data Udienza: 09/10/2014 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13/1/2014 il G.I.P. del Tribunale di Napoli, ai sensi
dell'art. 444 cod. proc. pen., applicava a Ferrandino Giovanni Giuseppe,
riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e
applicata la diminuente del rito, la pena (sospesa) di un anno e otto mesi di
reclusione, per il delitto p. e p. dall'art. 589 cod. pen., commesso con violazione 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli, lamentando
violazione di legge e comunque mancanza e/o contraddittorietà della
motivazione in relazione alla concessione delle circostanze attenuanti generiche,
con giudizio di prevalenza sulla aggravante, nonché in ordine alla determinazione
della pena. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile.
Secondo principio ripetutamente affermato nella giurisprudenza di questa
Suprema Corte, l'obbligo della motivazione della sentenza non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo
sviluppo delle linee argomentative, cioè, è necessariamente correlato
all'esistenza dell'atto negoziale con cui l'imputato dispensa l'accusa dall'onere di
provare i fatti dedotti nell'imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa
la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p., deve essere
accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle
deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario,
una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata
compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la
pronunzia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (Sez. U, n. 10372 del
27/09/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, Di
Benedetto, Rv. 191135). E si tratta di orientamento che è stato concordemente
accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che
riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, l'esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la
costante giurisprudenza di legittimità, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni
2 delle norme sulla circolazione stradale (acc. in Ischia il 10/3/2013). Unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni.
E - quel che più conta - ha chiarito che le parti non hanno interesse a
impugnare una siffatta motivazione, censurandola come insufficiente e
sollecitandone una più analitica, laddove la statuizione del giudice coincidk
esattamente con la volontà cristallizzata nell'accordo processuale.
D'altra parte, attesa la natura pattizia del rito, l'imputato che chiede la pena
Pattuita, rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l'accusa; e questa non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il
patto dal medesimo accettato. 4. I principi ora richiamati sono stati ribaditi e puntualmente declinati anche
con specifico riferimento al caso in cui ricorrente avverso la sentenza di
patteggiamento sia la parte pubblica, che si duole della entità della pena.
Si è infatti chiarito che, qualora il pubblico ministero abbia prestato il proprio
consenso alla applicazione di un determinato trattamento sanzionatorio,
l'impugnazione della sentenza che tale accordo abbia recepito, ad opera della
parte pubblica rappresentata dal Procuratore Generale territoriale - come
avvenuto nel caso di specie - è consentita solo qualora esso si configuri come
illegale; con la precisazione che per qualificare come illegale la pena, non basta
eccepire che il giudice non abbia correttamente esplicitato i criteri valutativi che
lo hanno indotto ad applicare la pena concordata dalle parti, ma occorre che il
risultato finale del calcolo non risulti conforme alla legge (cfr. Sez. 4, n. 6791 del
31/01/2014, Ambrosio, non massimata; Sez. 6, n. 42837 del 14/05/2013,
Zaccaria, Rv. 257146; Sez. 6, n. 18385 del 19/02/2004, Obiapuna, Rv. 228047;
Sez. 4, n. 38286 del 08/07/2002, Leone, Rv. 222959; Sez. 5, n. 5210 del
28/10/1999, dep. 2000, Verdi, Rv. 215467).
La Corte regolatrice ha, cioè, ripetutamente affermato che la parte pubblica
non può dedurre il vizio di motivazione, in riferimento al trattamento
sanzionatorio applicato in sentenza resa ex art. 444 cod. proc. pen., qualora lo
stesso trattamento risulti conforme al patto, in quanto con la prestazione del
consenso le parti esonerano il giudice dall'obbligo di rendere conto dei punti non
controversi della decisione; e ciò anche con riferimento all'intervenuto
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche o di altre circostanze
attenuanti previste dalla legislazione speciale e del relativo giudizio di
bilanciamento. 3 Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare che il medesimo imputato 5. Tanto considerato, è poi appena il caso di osservare che il percorso
argomentativo sviluppato dal G.i.p. di Napoli soddisfa pienamente lo specifico
obbligo motivazionale, che viene in considerazione nel caso di sentenza di
patteggiamento, nei termini sopra delineati.
Ed invero il giudicante ha considerato che l'imputato risultava meritevole
delle attenuanti generiche in considerazione del suo stato di incensuratezza,
della giovane età e del concorso di colpa della vittima stessa (ravvisato in
ragione del mancato uso delle cinture di sicurezza). motivazionali imposti al giudice del merito, tanto più - per le ragioni dette nell'ambito di una sentenza di applicazione di pena concordata, giovando in
particolare rilevare che, a dispetto delle generiche contestazioni sul punto mosse
dal ricorrente, l'incidenza causale del mancato uso delle cinture di sicurezza
emerge, per così dire, in re ipsa della descritta dinamica del tragico incidente
(nel quale la vittima, che viaggiava nel sedile anteriore lato passeggero
dell'autovettura condotta dall'imputato, a causa dell'urto certamente imputabile
a colpa del conducente con la ringhiera posta sul lato destro della strada, è stata
sbalzata fuori dalla stessa precipitando nel vuoto per circa 25-30 m) e la
rimproverabilità della violazione della relativa regola cautelare imposta dal codice
della strada alla stessa vittima non può ritenersi esclusa dal fatto che analogo
rimprovero debba muoversi al conducente, tenuto a sincerarsi del rispetto di tale
regola da parte delle persone da lui trasportate. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 9/10/2014 Tali sia pur sintetiche indicazioni soddisfano ampiamente gli obblighi