Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37786 del 23/05/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 37786 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DE VITA GIUSEPPE GASPARE nato a MARSALA il 07/09/1972

avverso la sentenza del 04/10/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SALVATORE DOVERE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO
che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
E’ presente l’avvocato LANIA ROSSANA del Foro di ROMA, che deposita nomina a
sostituto processuale dell’avv. TRANCHIDA DIEGO del foro di MARSALA in difesa di DE
VITA GIUSEPPE GASPARE, che riportandosi ai motivi di ricorso ne chiede
l’accoglimento.

Data Udienza: 23/05/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Palermo ha
confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Palermo, con la quale De Vita
Giuseppe Gaspare era stato giudicato responsabile del reato di falso nella
dichiarazione prodotta in uno all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello
Stato (art. 95 d.p.r. n. 115/2002) presentata nell’ambito di un procedimento
penale ed era stato condannato alla pena ritenuta equa.
La Corte distrettuale, in particolare, ha ritenuto la sussistenza del dolo

2.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato, con atto

sottoscritto dal difensore avv. Diego Tranchida, deducendo con un primo motivo
la violazione dell’art. 95 d.p.r. n. 115/2002 e la carenza di motivazione in ordine
al rilievo mosso dall’appellante, che ravvisava la non configurabilità del reato
quando l’omessa dichiarazione riguardi i redditi catastali.
Con un secondo motivo analoghi vizi si lamentano in relazione all’elemento
soggettivo del reato, non avendo la Corte di Appello indicato gli elementi dai
quali ha dedotto che la condotta dell’imputato era stata cosciente e volontaria e
non già frutto di un errore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. In primo luogo va reso
esplicito che la nozione di ‘reddito catastale’ non è rinvenibile nella legislazione
vigente. Già tale carenza del motivo ne determina l’aspecificità, non essendo
esposte in modo comprensibile le ragioni di diritto poste a fondamento della
censura [cfr. art. 581, lett. c) cod. proc. pen.].
A ritenere che l’esponente intendesse riferirsi al reddito prodotto da un
cespite immobiliare, il cui ammontare è calcolato anche alla luce della rendita
catastale, andrebbe comunque considerato che si sarebbe in presenza di redditi
delle persone fisiche derivanti dai diritti aventi ad oggetto beni immobili, come
tali rientranti nella nozione di reddito di cui all’art. 76 d.p.r. n. 115/2002. Questa
Corte ha statuito che, ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per
l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, rileva ogni
componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacità
economica (Sez. 4, n. 26258 del 15/02/2017 – dep. 25/05/2017, Lazzoi, Rv.
270201; nella specie si trattava di somme percepite a titolo di invalidità).
3.2. Il secondo motivo è fondato.

richiesto dal reato che occupa.

Giova prendere le mosse dalla considerazione dalla decisione con la quale le
Sezioni Unite hanno statuito che integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115
del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati
nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione
prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente
dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio
(Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008 – dep. 16/02/2009, Infanti, Rv. 242152).
Tanto conduce a giudicare irrilevante, sul piano della oggettiva sussistenza

discrimine tra ammissione ed esclusione dal beneficio, giacché il bene giuridico
tutelato – per come identificato dal S.C. – non é l’interesse patrimoniale dello
Stato ma l’attività del giudice preposto alla verifica del diritto al beneficio.
Volgendo lo sguardo al versante soggettivo, se é vero che il reato del quale
ci si occupa richiede il dolo generico, e quindi la mera consapevolezza e volontà
della falsità, senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che
non compete, é pur sempre da tener presente che il dolo generico non può
essere considerato in “re ipsa” ma deve essere rigorosamente provato,
dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice
leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non
incrimina il falso documentale colposo (cfr. Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015 dep. 16/07/2015, Di Stasi e altri, Rv. 264328; Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010
– dep. 28/07/2010, Zago, Rv. 248264).
In questa prospettiva deve essere rimarcato che concreta errore sulla legge
penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia
quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto,
introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa,
dovendosi intendere per «legge diversa dalla legge penale» ai sensi dell’art.
47 cod. pen. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere
non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa
non richiamata anche implicitamente (Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015 – dep.
02/04/2015, Bucca, Rv. 263013, proprio in tema di falso nella dichiarazione
concernente istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato).
Pertanto, nel caso in cui si erri, ad esempio, in ordine alla nozione di reddito
valevole ai fini dell’applicazione della disciplina del patrocinio a spese dello Stato
(come quando non dovendosi tener conto del reddito percepito ai fini della
tassazione lo si reputa non rilevante ai fini delle condizioni per l’ammissione al
beneficio) si versa in ipotesi di errore inescusabile.
Tuttavia, non può ritenersi l’assoluta irrilevanza della inidoneità della falsa
dichiarazione a determinare effetti favorevoli al dichiarante, perché essa può

della falsità, l’eventuale inidoneità del dato alterato a fare da elemento di

rappresentare, in via astratta, segno di una condotta colposa, come tale
estranea al dolo. La necessità del dolo generico esclude che si possa rispondere
per un difetto di controllo, che in termini giuridici assume necessariamente le
fattezze della condotta colposa, salva l’emersione di un dolo eventuale. Dolo
eventuale che tuttavia non può essere evocato alla stregua di una formula ‘di
chiusura’, per sottrarsi al puntuale accertamento giudiziario. Al contrario, esso
deve essere compiutamente dimostrato, non ignorando le prescrizioni
metodologiche impartite dalle Sezioni Unite, per le quali, per la configurabilità

occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica
categoria di evento (che in casi come quello in esame assume la connotazione di
evento in senso giuridico) che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo
psicologicamente ad essa. Con gli ovvi adattamenti richiesti dalla specificità della
vicenda all’esame, deve farsi applicazione delle indicazioni metodologiche
provenienti dal S.C., per il quale l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'”iter” e
l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori, tra i quali
– non può sfuggire – si pongono anche il fine della condotta e la compatibilità con
esso delle conseguenze collaterali (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep.
18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261105).
3.3. Sulla scorta di un simile percorso ricostruttivo in una pluralità di recenti
decisioni, che prendono avvio quanto meno da Sez. 4, n. 28555 del 14.4.2016,
dep. 18.7.2016, Rizzo, n.m., questa Corte afferma che le false indicazioni o le
omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di
certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio
a spese dello Stato, di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, indipendentemente
dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al
beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico rigorosamente provato che
esclude la responsabilità per un difetto di controllo da considerarsi condotta
colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018 dep. 14/02/2018, Zappia, Rv. 27219201). Ribadisce che, nel caso di istanza che
contenga falsità od omissioni, l’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito
per l’ammissione al beneficio, seppure non impedisce l’integrazione dell’elemento
oggettivo del delitto di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, può,
tuttavia, assumere rilievo con riguardo all’elemento soggettivo dell’illecito, quale
sintomo di una condotta dovuta a un difetto di controllo e, quindi, colposa, salva
emersione di un dolo eventuale, che deve essere compiutamente dimostrato
(Sez. 4, n. 4623 del 15/12/2017 – dep. 31/01/2018, Avagliano, Rv. 27194901;
Sez. 4, n. 21577 del 21/04/2016, dep. 24/05/2016, Bevilacqua, Rv. 267307;
Sez. 4, n. 45786 del 04/05/2017, dep. 05/10/2017, Bonofiglio, Rv. 271051).

4 P)

del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente,

3.4. Nel caso che occupa la Corte di Appello ha omesso di dare reale
indicazione delle ragioni per le quali ha ritenuto sussistente il dolo. Essa ha fatto
espresso riferimento al tema, prendendo in considerazione la tesi difensiva di
una ignoranza del De Vita della esistenza dei redditi in questione; ma dopo
essersi dilungata nell’esposizione della disciplina normativa, la specifica replica è
nell’affermazione che si tratta di redditi “percepiti da due soggetti con lo stesso
conviventi”. Senonchè, non essendo resa nota alcuna circostanza attinente (ad
esempio) agli fruizione degli immobili di cui trattasi, all’incidenza degli stessi

occasioni di esposizione del reddito ad essi correlato (pari a 1.332,34 euro),
allo stato dei rapporti tra i familiari, e non essendo stata data alcuna risposta in
grado di escludere l’ipotesi di un errore colposo, il solo fatto della riferibilità dei
redditi a familiari conviventi non risulta in grado di giustificare l’affermazione
della sussistenza del dolo ed il ripudio dell’ipotesi prospettata dalla difesa.
L’ignoranza dell’esistenza di tali redditi, se può assumere rilievo a favore
dell’imputato solo alle condizioni che si sono sopra rammentate, va comunque
accertata nella sua reale consistenza, alla stregua di circostanze di fatto che
offrano un reale sostrato al giudizio di sicura consapevolezza (o di un errore
inescusabile), altrimenti meramente assertivo e ingiustificato. Pertanto
apparente.
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte
di Appello di Palermo per nuovo esame, da condursi alla luce dei principi qui
ribaditi.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Palermo per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23/5/2018.

sulle vicende economiche del nucleo familiare del De Vita, alle eventuali ulteriori

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