Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37783 del 23/05/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 37783 Anno 2018
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
HOPP EVA nata a Capua il 28.11.1959
avverso la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Napoli il 10 aprile 2015;
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita nella pubblica udienza del 23.5.2018 la relazione fatta dal Consigliere
Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Pietro Molino, che ha
concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 aprile 2015 la Corte d’appello di Napoli ha confermato
la sentenza emessa il 5 febbraio 2014 dal Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere, che aveva condannato HOPP EVA, in atti generalizzata, alla pena ritenuta
di giustizia per il reato di rapina impropria.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputata
personalmente, deducendo i seguenti motivi:
1) erronea applicazione della legge, per essere stata disattesa l’eccezione di
inutilizzabilità del riconoscimento fotografico, effettuato dalla persona offesa in
violazione dell’art. 213 c.p.p., essendo state sottoposte alla visione della persona
offesa, oltre alla foto della ricorrente, fotografie di donne con età molto diversa
da quella dell’imputata;

Data Udienza: 23/05/2018

2) erronea applicazione degli artt. 512 e 526 c.p.p. nonché dell’art. 6 CEDU,
per essere stata Utilizzata la denuncia della persona offesa, nel frattempo
deceduta, che, in ragione dell’età, si sarebbe dovuta sentire nelle forme
dell’incidente probatorio;
3) erronea qualificazione del reato come rapina impropria anziché come
furto aggravato, non essendo stata esercitata violenza contro la persona offesa.
All’odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di
rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte,

mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è integralmente inammissibile, perché proposto per motivi privi
di specificità, reiterando doglianze già sollevate dinanzi alla Corte d’appello e da
questa disattese con argomentazioni esenti da vizi censurabili in questa sede.
1.1 Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che la ricorrente ha dedotto
l’inutilizzabilità dell’avvenuto riconoscimento fotografico, senza però illustrare
l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della
cosiddetta “prova di resistenza”. Ciò si rendeva necessario, tenuto conto del fatto
che la conclusiva affermazione di responsabilità non si è basata soltanto sul
riconoscimento fotografico.
Questa Corte (Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, Rv. 262011), infatti, ha già
avuto modo di affermare che, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si
lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve
illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale
eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”,
in quanto gli elementi di prova, acquisiti illegittimamente, diventano irrilevanti ed
ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino
sufficienti a giustificare l’identico convincimento.
Ad ogni modo, deve ricordarsi che costituisce principio enunciato da questa
Corte (Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, Rv. 267562) quello secondo cui
l’individuazione fotografica di un soggetto, effettuata dalla polizia giudiziaria,
costituisce una prova atipica la cui affidabilità deriva dalla credibilità della
deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo della sua
identificazione. Pertanto, le modalità dell’individuazione – concretatesi nella
scelta delle immagini fotografiche operata dalla polizia giudiziaria – non
riguardano la legalità della prova, dato l’enorme margine di opinabilità che
accompagna ogni selezione, ma si riflettono sul suo valore, che richiede
l’apprezzamento, in sede di scrutinio di legittimità, della congruenza del percorso

riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato

argomentativo, utilizzato dal giudice di merito a fondamento dell’affidabilità del
riconoscimento e, quindi, del giudizio di colpevolezza.
Nel caso in esame, come ben argomentato in particolare dal giudice di primo
grado, nella denuncia la persona offesa aveva affermato che l’imputata era
soggetto a lei conosciuto perché frequentava i pressi del parco, in cui era ubicata
la sua abitazione. La persona offesa

“ha fornito una precisa descrizione della

donna e del suo abbigliamento, dichiarando di essere in grado di riconoscerla se
a lei mostrata personalmente o in fotografia. E successivamente, il 26 settembre

sicurezza, il soggetto in questione, peraltro corrispondente alle caratteristiche
personali da lei indicate nella denuncia, segnatamente per età e colore dei
capelli”.
Sulla base di tali rilievi il giudice di merito ha considerato pienamente
attendibile la prova in questione, così effettuando una valutazione immune da
vizi sindacabili in questa sede.
1.2 Anche la motivazione in ordine all’acquisizione della denuncia ex art.
512 c.p.p. sfugge ad ogni rilievo.
Questa Corte (Sez. 2, n. 49007 del 16/9/2014, Rv. 261427) ha precisato
che, ai fini della lettura di dichiarazioni predibattimentali ai sensi dell’art. 512
c.p.p., l’imprevedibilità dell’impossibilità di ripetizione dell’atto va valutata con
criterio “ex ante”, avuto riguardo non a mere possibilità o evenienze astratte ed
ipotetiche, ma sulla base di conoscenze concrete, di cui la parte interessata
poteva disporre fino alla scadenza del termine entro il quale avrebbe potuto
chiedere l’incidente probatorio.
Si è ritenuto (Sez. 4, n. 24688 del 3/3/2016, Rv. 267228) che, in tema di
letture dibattimentali, l’avanzata età anagrafica del dichiarante non rende
prevedibile l’impossibilità di ripetizione delle dichiarazioni, rese in precedenza,
quale presupposto della loro utilizzazione in giudizio, salvo che al momento
dell’escussione fosse seriamente pronosticabile, in base a specifiche informazioni
relative a patologie ingravescenti, che la durata della vita del dichiarante non
sarebbe giunta fino alla celebrazione del dibattimento, dovendosi in tal caso
negare accesso alla lettura di cui all’art. 512 c.p.p.
Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto imprevedibile il decesso della
persona offesa, che, pur avendo 83 anni, alla data della denuncia “era lucida e in
buono stato di salute”, tanto da essersi recata presso i locali della Questura di
Caserta per sporgere denuncia,

“ed aveva fornito un dettagliato resoconto

dell’avvenimento e fornito un’accurata descrizione dell’aggressore”.

3

2007, ha in effetti riconosciuto, in una delle fotografie a lei poste in visione, con

Siffatte argomentazioni, con cui la Corte territoriale ha illustrato le ragioni
dell’impossibilità sopravvenuta ‘e non prevedibile dell’esame della persona offesa,
sono congrue e prive di vizi logico-giuridici.
1.3 Anche l’ultimo motivo del ricorso è privo di specificità.
La Corte d’appello ha ritenuto sussistente il delitto di rapina impropria e non
quello di furto aggravato, avendo l’imputata esercitato con piena coscienza e
volontà un’azione violenta sulla vittima.
Così argomentando, ossia ritenendo che la sottrazione del bene era

merito si è conformato ai principi enunciati da questa Corte (Sez. 2, n. 2553 del
19/12/2014, Rv. 262281), secondo cui integra il reato di furto con strappo la
condotta di violenza immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto
indiretta verso la persona che la detiene, mentre ricorre il delitto di rapina
quando la violenza sia stata esercitata per vincere la resistenza della persona
offesa, giacché in tal caso è la violenza stessa – e non lo strappo – a costituire il
mezzo attraverso il quale si realizza la sottrazione.
2. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché – apparendo evidente che la medesima ha proposto il ricorso
determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000
n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa – al versamento della
somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende a titolo di
sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle a mende.

Così deciso in Roma, udienza pubblica del 23 maggio 2018
Il Consigliere estensore
Giuseppina Anna Rosaria Pacilli
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Il

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Giov ni Di alle

avvenuta mediante violenza esercitata direttamente sulla persona, il giudice di

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