Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3778 del 09/10/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3778 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
URSO VINCENZO N. IL 18/05/1972
avverso la sentenza n. 2834/2003 CORTE APPELLO di CATANIA, del
04/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la part vile, l’Avv
Udit i difensor

Data Udienza: 09/10/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il G.I.P. del Tribunale di Catania, con sentenza del 22/1/2003,
dichiarato Urso Vincenzo colpevole del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n.
309/1990, riconosciuta l’ipotesi di cui al comma 5 della predetta disposizione,
per avere detenuto sostanza stupefacente del tipo cocaina non ad esclusivo
uso personale, condannò il medesimo alla pena stimata di giustizia.

dell’imputato, con sentenza del 4/4/2013, in parziale riforma della statuizione
di primo grado, nel resto confermata, ridusse la pena al medesimo inflitta.

2. Ricorre l’imputato prospettando unitaria censura con la quale
denunzia violazione di legge.
Reputa il ricorrente che la Corte di merito aveva erroneamente ritenuta
configurata l’ipotesi delittuosa contestata nonostante che da plurimi indici
univoci (esami di laboratorio, certificazioni attestanti la partecipazione a
programma di recupero presso il competente SERT, certificazione specialistica
delle degradate condizioni delle fosse nasali, a cagione della ripetuta
assunzione di cocaina) si potesse trarre il convincimento che il medesimo
deteneva per esclusivo uso personale lo stupefacente sequestratogli.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3.

All’Urso è stata riconosciuta l’ipotesi (all’epoca costituente

attenuante) di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, che,
secondo la disciplina al tempo vigente, importava una pena da uno a sei anni
di reclusione e da 3.000 a 26.000 euro.
Con il decreto legge 20/3/2014, n. 36, ora convertito nella legge
16/5/2014, n. 79, alla fattispecie in esame, riscritta come autonoma ipotesi di
reato, è stato attribuito un diverso e meno grave trattamento sanzionatorio:
da sei mesi a quattro anni di reclusione e da 1.032 a 10.329 euro di multa
(nella prima versione di reato autonomo minore introdotta con il D.L.
23/12/2013, n. 146, convertito nella L. 21/2/2014, n. 10, le cui previsioni
sono state prematuramente poste in crisi dalla citata sentenza della Corte
cost. n. 32/014, il reato risultava punito con la reclusione da un anno a cinque
anni e con la multa da 3.000 a 26.000 euro).
Trattandosi, pacificamente, come si è anticipato, di una nuova ed
autonoma ipotesi minore di reato (pur invariato il contenuto descrittivo) è
giocoforza tener conto della refluenza di una tale constatazione sul computo
1

1.1. La Corte d’appello di Catania, investita dall’impugnazione

della prescrizione, dipendente dalla pena edittale massima di anni quattro di
reclusione, con la conseguenza che, per il combinato disposto dei vigenti artt.
157, comma 1 e 160, u.c., cod. pen., il reato in parola si prescrive, tenuto
conto del periodo massimo d’interruzione, in sette anni e sei mesi (in senso
conforme, Cass., Sez. 3, n. 23904 del 13/3/2014, Rv. 259376; Sez. 4, n.
22277 del 15/4/2014, Rv. 259373).
Con la conseguenza che, risalendo il fatto all’11/1/2001, il reato oggi si
presenta prescritto.

illustrazione di motivo non inammissibile, anche sotto il profilo della loro non
manifesta infondatezza, impone farsi luogo all’invocata declaratoria.
Non emerge, d’altro canto, alcuna delle ipotesi che, ai sensi dell’art. 129,
cod. proc. pen., avrebbe importato declaratoria d’innocenza (cospicua, anzi, la
motivazione – pagg. 2 e 3 -, con la quale viene disattesa la prospettazione
difensiva oggi riproposta). Infatti, In tema di declaratoria di cause di non
punibilità nel merito in concorso con cause estintive del reato, il concetto di
«evidenza» dell’innocenza dell’imputato o dell’indagato presuppone la
manifestazione di una verità processuale chiara, palese ed oggettiva, tale da
consistere in un quid pluris rispetto agli elementi probatori richiesti in caso di
assoluzione con formula ampia (Cass. 19/7/2011, n. 36064).
Il giudice può pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p. solo
quando le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la
commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale
emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile (Cass. 14/11/2012,
n. 48642). Situazione che qui non ricorre, in quanto le ragioni del ricorrente,
nella migliore delle ipotesi, per essere accertate, imporrebbero uno scandaglio
ed una rivalutazione delle emergenze probatorie.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata perché estintosi
il reato per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la impugnata sentenza perché il reato addebitato è
estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma il 9/10/2014.

L’aver introdotto ritualmente il giudizio di legittimità mediante

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