Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3776 del 09/10/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 3776 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DAZZI STEFANO N. IL 17/03/1968
avverso la sentenza n. 923/2010 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 14/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per t eu.,,,Jtest„.51-8 itute,

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2-(mítUre,u.t.t.P e),Elf h ,te4A”:-.<4,~a..4 Udito, per la Uditi l'Avv Avv. Data Udienza: 09/10/2014 RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Cosenza, con sentenza del 23/3/2010, dichiarato Dazzi Stefano colpevole del reato di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, per avere detenuto sostanza stupefacente del tipo hashish non ad esclusivo uso personale, ritenuta l'ipotesi di cui al comma 5 del citato art. 73, condannò il medesimo alla pena stimata di giustizia. dell'imputato, con sentenza del 14/10/2013, confermò la statuizione di primo grado. 2. Ricorre l'imputato prospettando unitaria censura con la quale denunzia violazione di legge. Assume il ricorrente che la Corte di merito aveva erroneamente ritenuta configurata l'ipotesi delittuosa contestata, in quanto lo stupefacente rinvenuto addosso al medesimo (circa 5 gr.) era destinato ad uso esclusivamente personale, mentre nulla sapeva degli altri 4 gr. trovati sotto il sedile anteriore destro, ove erano stati sicuramente occultati, al momento del controllo, dal passeggero, che, invece, era stato ritenuto del tutto estraneo. In ogni caso, la mancanza di divisione in dosi ed il quantitativo non avrebbero dovuto indirizzare per la destinazione non ad uso personale, nel mentre il prezzo, notoriamente non elevato di quel tipo di stupefacente, era compatibile anche con condizioni economiche non particolarmente floride. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. La proposta censura, diretta a contestare valutazione di merito in questa sede incensurabile, è infondata. Ovviamente, nel giudizio di legittimità non sarebbe consentito sostituire la motivazione del giudice di merito, pur anche ove il proposto ragionamento alternativo apparisse di una qualche plausibilità. Sull'argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta dalla sentenza n.15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il nuovo testo dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., come modificato dalla I. 20 febbraio 2006 n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In 1 1.1. La Corte d'appello di Catanzaro, investita dall'impugnazione questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il "novum" normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un'inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione. La sentenza impugnata ha logicamente spiegato le ragioni che, sulla base dell'evidenza probatoria, facevano escludere la destinazione ad esclusivo uso personale dello stupefacente (il principio attivo complessivamente ricavabile, idoneo al confezionamento di trenta dosi, la circostanza che una parte dello stupefacente fosse conservato addosso, l'atteggiamento tenuto nell'immediatezza, le assai modeste condizioni economiche dell'imputato, le quali contraddicevano la decisione di comprare un quantitativo di stupefacente certamente non consumabile in un arco temporale brevissimo o breve e di costo non indifferente per chi versi in non smentite precarie condizioni economiche). 4. La sentenza, tuttavia, deve, per altra ragione, essere annullata. Al Dazzi è stata riconosciuta l'ipotesi (all'epoca costituente attenuante) di cui al comma 5 dell'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, che, secondo la disciplina al tempo vigente, importava una pena da uno a sei anni di reclusione e da 3.000 a 26.000 euro. Con il decreto legge 20/3/2014, n. 36, ora convertito nella legge 16/5/2014, n. 79, alla fattispecie in esame, riscritta come autonoma ipotesi di reato, è stato attribuito un diverso e meno grave trattamento sanzionatorio: da sei mesi a quattro anni di reclusione e da 1.032 a 10.329 euro di multa (nella prima versione di reato autonomo minore introdotta con il D.L. 23/12/2013, n. 146, convertito nella L. 21/2/2014, n. 10, le cui previsioni sono state prematuramente poste in crisi dalla citata sentenza della Corte cost. n. 32/014, il reato risultava punito con la reclusione da un anno a cinque anni e con la multa da 3.000 a 26.000 euro). Si pone, quindi, l'esigenza di sottoporre, ai sensi dell'art. 2, comma 4, cod. pen., al giudice del merito il più favorevole assetto normativo sopravvenuto, pur non essendo al medesimo vietato (salvo, ovviamente, il divieto di riforma peggiorativa) mantenere il trattamento penale così come 2 prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde disposto (ove compatibile con il nuovo range sanzionatorio), a condizione che dimostri di tenere debitamente conto nella determinazione della pena dei nuovi parametri sanzionatori introdotti dal legislatore. In sede di legittimità, si è più volte chiarito (Cass., Sez. V, n. 345 del 13/11/2002, Rv. 224220; Sez. I, n. 1711 del 14/4/1994, Rv. 197464) in siffatti casi che il rispetto del principio di legalità della pena (comb. disp. art. 2, comma 4, cod. pen. e 129, comma 2, cod. proc. pen.) impone annullamento d'ufficio della statuizione di merito. Salvo a registrasi contrasto (in senso contrario: Sez. II, n. 44667 dell'8/7/2013, Rv. 257612; Sez. V, n. 36293 del 977/2004, Rv. 230636; nel senso dell'ininfluenza: Sez. VI, n. 21982 del 16/5/2013). Siccome condivisamente illustrato in profondità nella sentenza di questa stessa Sezione n. 13903/14 del 28/2/2014, il principio di retroattività della norma più favorevole si fonda sulla legge ordinaria (art. 2, comma 4, cod. pen.) e, giudicata non pertinente l'evocazione degli artt. 13 e 25, Cost., sull'art. 3 Cost. Con la conseguenza che <> (C. cost. sent. n.
393/2006; per la giurisprudenza di legittimità, Sez. 3, n. 34117 del
27/04/2006 – dep. 12/10/2006, Alberini e altro, Rv. 235051).
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 236 del 19/7/2011, dopo aver
ripreso le norme sovranazionali rilevanti in materia, ha escluso che l’art. 7
CEDU imponga una maggior tutela della retroattività della lex mitior, anzi
rilevando che nella CEDU si rinviene il limite del giudicato, valicabile, invece,
secondo lo stato dell’elaborazione interna, oltre a segnare un’incidenza, per
estensione di materia, inferiore all’area delineata dall’art. 2, comma 4, cod.
pen.

3

sull’idoneità del ricorso inammissibile a dar vita ad un tale esercizio officioso

9. Ciò posto la sentenza impugnata, nel resto divenuta irrevocabile,
deve essere annullata in punto di trattamento sanzionatorio, non ostandovi
nessuna delle superiori esigenze individuate dalla Corte Costituzionale nella
sentenza n. 393, sopra citata.
La sentenza è irrevocabile in ordine all’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato (art. 624, cod. proc. pen.).

Annulla la impugnata sentenza, in ordine alla misura della pena irrogata e
rinvia per nuovo esame sul punto alla Corte di Appello di Catanzaro.
Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma il 9/10/2014.

P.Q.M.

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