Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37721 del 19/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37721 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 19/03/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
D’Urso Giovanni, nato a Catania il 2.12.1955, avverso la
ordinanza emessa in data 27.7.2012 dal tribunale del riesame di
Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Eduardo Scardaccione, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

«

udito per il ricorrente i difensori di fiducia, avv. Giovanni Aricò e
Giuseppe Ragazzo, che hanno concluso per raccoglimento del
ricorso.

FATTO E DIRITTO

Con ordinanza emessa il 22.10.2010, il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Catania aveva applicato a D’Urso
Giovanni la misura cautelare della custodia in carcere in quanto
gravemente indiziato dei delitti di associazione per delinquere di
stampo mafioso, per avere fatto parte dell’articolazione della
provincia di Catania di “cosa nostra” (capo A dell’imputazione
provvisoria); di trasferimento fraudolento di valori, in relazione
alla qualità di socio occulto della società “La Tenutella s.r.l.”,
avendo in essa investito capitali di provenienza criminosa, sino al
periodo successivo alla definizione di una procedura di
prevenzione patrimoniale in suo danno, aggravato ex art. 7, I.
203/91 (capo G1), e di estorsione aggravata, anche ai sensi
dell’art. 7, I. 203/91 (capo D 15).
Con ordinanza emessa il 25.11.2010 il tribunale del riesame di
Catania confermava il suddetto titolo cautelare, che, tuttavia, su
ricorso del D’Urso, la Corte di Cassazione aveva annullato, con
rinvio per nuovo esame, con sentenza dell’8.4.2011.
Il tribunale del riesame di Catania, in sede di rinvio, con
provvedimento del 9.9.2011, aveva annullato l’ordinanza di
custodia cautelare limitatamente al reato di cui al capo D 15),
confermandola nel resto.

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/.-

Tale decisione, tuttavia, veniva nuovamente annullata con rinvio
per nuovo esame dalla Corte di Cassazione, con arresto del
2.4.2012.
Infine con ordinanza del 27.7.2012, il tribunale del riesame di

di cui ai capi A) e G 1) dell’imputazione provvisoria.
Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
tempestivo ricorso per Cassazione, a mezzo dei suoi difensori di
fiducia , il D’Urso, articolando tre motivi di impugnazione:
violazione dell’art. 627, co. 3, c.p.p., in relazione all’art. 311,
c.p.p.; inosservanza ovvero erronea applicazione della legge
penale in ordine agli artt. 416 bis, c.p. e 12 quinquies, d.l.
306/92; difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata.
Con motivi aggiunti depositati il 28.12.2012, il ricorrente reiterava
le proprie doglianze, lamentando i vizi di cui all’art. 606, co. 1,
lett. e), in relazione agli artt. 273, 546 e 627, c.p.p.
Tanto premesso il ricorso è fondato e merita accoglimento, in
quanto il tribunale di Catania non si è uniformato al “dictum” del
giudice di legittimità.
Con la menzionata sentenza la Corte di Cassazione aveva
individuato una serie di criticità nell’ordito motivazionale
dell’ordinanza del tribunale del riesame, in relazione ad alcuni
profili già evidenziati nella precedente sentenza di annullamento
dell’8.4.2011., riguardanti: la provenienza dei flussi finanziari a
sostegno del progetto commerciale della società “La Tenutella”; la
compatibilità con la connotazione mafiosa del D’Urso della cautela
/
di munirsi di una scrittura privata attestante la qualità di socio
della menzionata società, da far valere anche in sede giudiziaria
ove l’altro socio Ragusa, del pari indagato, avesse creato

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Catania confermava l’originario titolo cautelare in relazione ai reati

problemi;

la

compatibilità

con

tale

assetto

societario

dell’autonomia dimostrata dal Ragusa nella stipula di due contratti
preliminari di vendita di quote societarie, riversando le somme
relative agli acconti su un suo conto corrente bancario,

Evidenziava al riguardo il Supremo Collegio che: 1) il giudice del
rinvio non ha minimamente affrontato e, quindi, non ha risolto la
questione

di

compatibilità

logica

tra

una

pretesa

compartecipazione societaria del D’Urso e l’autonomia decisionale
del Ragusa, talmente ampia da consentirgli di concludere affari
nel proprio esclusivo vantaggio; 2) la motivazione del tribunale
del riesame si presentava manifestamente illogica perché il
riconoscimento anche in capo ad un soggetto mafioso
dell’intendimento di adire gli organi giudiziari, munendosi di un
titolo da far valere nei confronti del socio sleale, pur essendo
plausibile in linea generale, non può esserlo quando, come nel
caso di specie, l’esibizione in giudizio del titolo significherebbe,
implicitamente e inevitabilmente, la dichiarazione confessoria di
un grave reato, quale, per l’appunto, quello di trasferimento
fraudolento di valori; 3) il giudice del rinvio ha trascurato i dati
della consulenza difensiva in atti, ritenendo che essa non abbia
rilievo per l’individuazione dei soggetti con i quali, in ipotesi, il
Ragusa, già in un primo momento, si sarebbe associato
nell’iniziativa imprenditoriale, trascurando, in tal modo, una
specifica indicazione della precedente sentenza di annullamento
con rinvio, costituita dalla logica osservazione per la quale la
liceità delle fonti di finanziamento necessarie alla realizzazione del
progetto commerciale, ove accertata, sarebbe elemento con cui
necessariamente misurarsi nella ricostruzione indiziaria, perché

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destinandole all’acquisto di un appartamento a suo nome.

capace di infirmare la tenuta dell’impianto accusatorio, che
ipotizza una fittizia intestazione di quote societarie in capo al
Ragusa, proprio per consentire la partecipazione all’affare del
D’Urso e, per il suo tramite, della consorteria mafiosa di

Orbene, nessuno dei rilievi formulati dalla Suprema Corte ha
trovato adeguata risposta da parte del tribunale del riesame.
Pur con motivazione articolata, che ha ricostruito compiutamente
il ruolo svolto dal D’Urso nelle vicende riguardanti l’affare “La
Tenutella”, evidenziando i contatti esistenti tra il ricorrente ed
ambienti “mafiosi”, il tribunale del riesame ha sostanzialmente
glissato sulle censure mosse dalla Corte di Cassazione con la
sentenza di annullamento con rinvio del 2.4.2012, che, invece,
avrebbero richiesto una puntuale ed approfondita replica.
Ed invero, di fatto non affrontato è il tema dell’autonomia
decisionale del Ragusa, che il tribunale del riesame si limita a
registrare come circostanza di fatto non contestata, senza
spiegare come essa possa conciliarsi con la presenza (del
D’Urso, nell’interesse del sodalizio mafioso di riferimento, nel
capitale della società.
Infatti, a differenza di quanto affermato dal tribunale del riesame,
secondo cui tale autonomia sarebbe stata assolutamente
inconciliabile solo con la fittizia intestazione in capo al Ragusa
dell’intero capitale sociale, appare manifestamente illogico
ritenere che la “famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano”, nel cui
interesse il D’Urso è accusato di avere agito, lasciasse al “socio”
Ragusa una libertà di azione tale da risolversi potenzialmente in
un pregiudizio per gli interessi del sodalizio criminoso.

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riferimento.

«

..

Anche con riferimento al tema della scrittura privata di cui si era
munito il D’Urso, la motivazione del tribunale del riesame appare
meramente apparente, risolvendosi nella riaffermazione
dell’assunto, già ritenuto insufficiente dal Supremo Collegio,

l’indagato si sia munito di un documento idoneo a dimostrare “la
reale titolarità del 50% del capitale sociale de “La Tenutella”,
paventando la sua utilizzabilità giudiziaria e guardandosi poi dal
procedere in tale direzione”, correndo “il rischio derivante dalla
spendita della scrittura in sede giudiziaria civile, pur di vedere
affermato il suo diritto di proprietà sulle quote in questione” (cfr.
p. 10 dell’ordinanza impugnata).
L’esibizione della scrittura in un giudizio appare, infatti,
radicalmente incompatibile con l’ovvio interesse a mantenere
celata l’operazione di illecito trasferimento di valori, che avrebbe
potuto essere scoperta, una volta che, attraverso la suddetta
esibizione, si fosse attirata l’attenzione sulla reale composizione
della compagine sociale.
Manifestamente illogica ed in aperto contrasto con quanto
osservato al riguardo nella sentenza di annullamento, risulta,
infine, la motivazione del tribunale del riesame, nella parte in cui
non attribuisce rilevanza alla provenienza lecita dei finanziamenti
pervenuti alla società “La tenutella” per la realizzazione del
progetto costituito dalla costruzione di un parco commerciale e,
pur censurando l’incompletezza delle indagini svolte dagli organi
investigativi, che avrebbero dovuto effettuare più approfonditi ed
estesi accertamenti bancari e societari, pretende di desumere
l’ingresso di capitali mafiosi per il tramite del D’Urso nella
menzionata società, da una serie di elementi, che appaiono

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secondo cui, sul piano logico, non sia possibile escludere che

élm

semplici spunti investigativi, suscettibili di approfondimento,
senza, peraltro, spiegare come tale flusso finanziario fosse
compatibile con la presenza di ingenti capitali di provenienza lecita
(cfr. pp. 13 e ss. dell’impugnata ordinanza).

manifesta illogicità e mancanza della motivazione, non emendabili
attraverso un nuovo esame, attesa l’evidente impossibilità da
parte dei giudici di merito di colmare i vizi motivazionali
ripetutamente riscontrati in ordine ai profili innanzi indicati,
nonché per violazione dell’art. 627, co. 3, c.p.p., riscontrabile
tutte le volte in cui, come nel caso in esame, il giudice di rinvio sia
venuto meno all’obbligo inderogabile ed assoluto di uniformarsi
alla sentenza della Corte di cassazione per quanto riguarda ogni
questione di diritto con essa decisa, in base al quale egli è tenuto
a giustificare il proprio convincimento con una motivazione
congrua e coerente che ponga rimedio ai vizi rilevati dal Giudice di
legittimità (cfr. Cass., sez. IV, 20/04/2012, n. 46219, L.P.; Cass.,
sez. I, 10/04/2012, n. 4049, L. e altro, rv. 254217).
Al disposto annullamento consegue l’immediata liberazione del
ricorrente, se non detenuto per altra causa.
P.Q. M .
annulla l’impugnata ordinanza senza rinvio.
Dispone l’immediata scarcerazione del ricorrente, se non detenuto
per altra causa.
Così deciso in Roma il 19.3.2013.

L’impugnata ordinanza va pertanto annullata senza rinvio, per

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