Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37698 del 18/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37698 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Mora Simone, nato a Porto San Giorgio, il 15.1.1972, da Sgamma
Enrico, nato a Tolentino il 28.2.1967 e da Pizzicotti Marco, nato a
Castelfidardo il 26.6.1962, avverso la sentenza pronunciata dalla
corte di appello di Ancona il 17.5.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Sante Spinaci, che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi;

Data Udienza: 18/04/2013

udito per le parti civili costituite, il difensore di fiducia, avv. Savino
Piattoni del Foro di Fermo, che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi, depositando conclusioni scritte e nota spse;
udito per i ricorrenti, il difensore di fiducia, avv. Gabriele Cofanelli,

del Foro di Macerata, che ha concluso per l’accoglimento dei
ricorsi.

FATTO E DIRITTO

Con sentenza pronunciata il 17.5.2012, la corte di appello di
Ancona confermava la sentenza con cui, in data 1.2.2011, il
tribunale di Macerata, in composizione monocratica, sezione
distaccata di Fermo, aveva condannato Mora Simone, Sgamma
Enrico e Pizzicotti Marco, imputati, tutti, del reato di cui agli artt.
110, 582, 61, n. 1), c.p. ed il solo Sgamma del reato di cui all’art.
594, c.p., commessi in danno di Scriboni Emanuele, Scriboni
Stefano ed Urbani Matteo, alle pene ritenute di giustizia, oltre al
risarcimento dei danni derivanti da reato in favore delle persone
offese, costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio.
Avverso tale sentenza, di cui chiedono l’annullamento, hanno
proposto autonomi ricorsi per Cassazione i tre imputati, attraverso
i rispettivi difensori di fiducia, articolando plurimi motivi di
impugnazione.
Mora Simone, in particolare, lamenta innanzitutto i vizi di cui
all’art. 606, co. 1, lett. d) ed e), c.p.p., in relazione al mancato
espletamento di una prova decisiva, consistente nella escussione
di un teste presente, che avrebbe potuto confutare la ritenuta
presenza del Mora sul luogo del commesso reato, la cui
escussione veniva negata dalla corte territoriale sulla base di una

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‘(‘

motivazione carente, contraddittoria e manifestamente illogica
fondata sulla ritenuta attendibilità dei soggetti che hanno
effettuato le individuazioni, laddove il teste Urbani Matteo ha
riconosciuto con certezza solo lo Sgamma, il teste Scriboni

sul Mora.
Con il secondo motivo di ricorso, il Mora lamenta i vizi di cui
all’art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., in relazione alla valutazione
delle deposizioni delle parti civili, effettuata dalla corte territoriale
in maniera “fideistica”, mentre la presenza di un altro teste che
poteva attestare l’estraneità del Mora alla vicenda, avrebbe
dovuto indurla ad un maggior rigore motivazionale,
conformemente ai principi affermati dal Supremo Collegio in tema
di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, costituita
parte civile.
Con il terzo motivo di ricorso l’imputato lamenta i vizi di cui all’art.
606, co. 1, lett. e), c.p.p., in relazione alla richiesta di
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale circa l’acquisizione di
una prova d’alibi, in quanto nel corso del giudizio di primo grado
era stata invocata l’assunzione testimoniale della signora Del Moro
nelle forme di cui all’art. 507, c.p.p., che la corte territoriale,
decidendo sul relativo motivo di gravame, riteneva superflua,
mentre appariva assolutamente decisiva al fine di affermare
l’estraneità del prevenuto all’imputazione ascrittagli.
Con il quarto motivo di ricorso, il Mora lamenta i vizi di cui all’art.
606, co. 1, lett. e), c.p.p., in ordine al giudizio di comparazione
tra le riconosciute circostanze attenuanti generiche e la
circostanza aggravante del pari ritenuta, in quanto, da un lato il
tribunale, pur riconoscendo l’incensuratezza dell’imputato, non ha

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Emanuele ha individuato lo Sgamma Enrico, mentre era incerto

esposto quali fossero i criteri direttivi per raggiungere una
equivalenza tra le diverse circostanze; dall’altro la corte
territoriale ha richiamato la “futilità dei motivi” ad origine
dell’episodio, senza considerare che detta aggravante era stata

inoltre, l’insufficienza della motivazione dell’impugnata sentenza
nella parte in cui individua una “negativa personalità degli
imputati desumibile dal loro comportamento”.
Identici vizi vengono prospettati dal medesimo difensore, avv.
Cofanelli, nel ricorso presentato nell’interesse di Pizzicotti Marco,
solo che, in questo caso, la prova decisiva di cui si lamenta la
mancata acquisizione, è costituita dall’escussione in qualità di
teste del signor Magnaterra Claudio, che avrebbe potuto
confermare la circostanza riferita dal Pizzicotti, della presenza di
quest’ultimo, al momento della rissa, dall’altro lato della
discoteca, intento a verificare, nell’interesse della direzione del
locale, i conteggi della serata.
Anche in questo caso, il ricorrente evidenzia l’insufficienza, la
contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della
sentenza di secondo grado nell’affermare l’attendibilità dei
riconoscimenti operati dai soggetti escussi in primo grado,
laddove il teste Casciello Aldo aveva riconosciuto come aggressori
il Mora, lo Sgamma ed il Gabbanelli, escludendo, pertanto,
implicitamente, il Pizzicotti; il teste Carletti aveva riconosciuto sia
Io Sgamma che il Mora, ma non il Pizzicotti; il teste Urbani Matteo
aveva riconosciuto senza ombra di dubbio solo lo Sgamma,
mentre il teste Scriboni Emanuele effettuava l’individuazione del
solo Sgamma Enrico ed era incerto sul riconoscimento del Mora.
Lo Sgamma Enrico, infine, articola due motivi di ricorso.

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ritenuta non sussistente dal giudice di primo grado, evidenziando,

Con il primo, egli lamenta i vizi di cui all’art. 606, co. 1, lett. b) e
c), c.p.p., in relazione agli artt. 191, 500, 511 e 526, c.p.p., in
quanto ai fini della decisione è stata utilizzata l’individuazione
fotografica effettuata da Scriboni Stefano nel corso delle indagini

dell’art. 500, c.p.p., sebbene il teste abbia dichiarato che le
fotografie mostrategli in udienza erano le stesse che aveva
firmato precedentemente nella caserma dei CC. all’atto del primo
riconoscimento.
Di conseguenza si è verificato, ad avviso del ricorrente, “un vizio
procedurale, in quanto la produzione di materiale fotografico, già
preventivamente segnato con firma proveniente dal teste
escusso, è illegittima, minando la genuinità dell’atto stesso,
essendo chiaramente induttiva e soggettiva”, laddove il giudice di
primo grado “avrebbe dovuto mostrare al teste il fascicolo
fotografico senza alcun segno distintivo, così da rendere possibile
una effettiva attività di riconoscimento degli autori dei delitti
oggetto del procedimento”.
Inoltre, il valore del riconoscimento avvenuto in seguito a
contestazioni ex art. 500, c.p.p., non ha lo stesso valore
probatorio del riconoscimento diretto, non potendo il giudice
tenerne conto ai fini della decisione, trattandosi di atto
processuale rilevante solo ai fini della valutazione dell’attendibilità
del teste in merito al riconoscimento e non per la prova dello
stesso, come fatto dai giudici di merito.
Infine, evidenzia il ricorrente che, in ogni caso, lo Scriboni ha
dimostrato in dibattimento numerose incertezze nel procedere al
riconoscimento degli aggressori, non dimostrando univoca
certezza in merito.

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preliminari, acquisita al fascicolo per il dibattimento ai sensi

Con il secondo motivo di ricorso lo Sgamma lamenta i vizi di cui
all’art. 606, co. 1, lett. d) ed e) per mancata assunzione di una
prova decisiva, per mancanza di motivazione in relazione agli artt.
507 e 546, co. 1, lett. b), c.p.p. e per travisamento della prova,

tribunale, sollecitata dalla difesa ex art. 507, c.p.p., che il giudice
di primo grado rigettava con ordinanza impugnata innanzi al
giudice di appello, al quale si chiedeva di procedere alla
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante
l’espletamento della suddetta prova testimoniale, senza che sul
punto la corte territoriale abbia fornito alcuna motivazione.
Si tratta di una testimonianza decisiva, in quanto la Del Moro,
barista della discoteca dove si sono svolti i fatti, avrebbe potuto
escludere senza dubbio la partecipazione dello Sgamma alla
violenta contesa, anche in considerazione della non univocità di
quanto dichiarato dal teste Scriboni Stefano.
Tanto premesso, i ricorsi degli imputati non possono essere
accolti, in quanto i motivi che ne sono posti a fondamento
risultano in parte infondati, in parte inammissibili.
Ed invero inammissibili sono i motivi di ricorsi volti a censurare il
mancato esercizio da parte del giudice di primo grado del potere
di integrazione istruttoria ex art. 507, c.p.p., in relazione alle
deposizioni di Del Moro e Magnaterra.
Ed invero, come è stato rilevato, con arresto condiviso dal
Collegio, la mancata assunzione di una prova decisiva – quale
motivo di impugnazione per Cassazione – può essere dedotta solo
in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione
a norma dell’art. 495, secondo comma, cod. proc. pen., e non nel
caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte

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per la mancata escussione del teste Del Moro da parte del

attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri
discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507, c.p.p., e
da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione
(cfr. Cass., sez. II, 18/12/2012, n. 841, B., rv. 254052).

Infondati, invece, appaiono i rilievi difensivi che censurano la
motivazione della corte territoriale sotto il profilo del mancato
esercizio del potere di rinnovazione istruttoria in appello previsto
dall’art. 603, co. 2, c.p.p., sempre in relazione alla mancata
escussione dei testi Del Moro e Magnaterra.
Al riguardo va innanzitutto chiarito, in relazione al ricorso
Sgamma da un lato che, in riferimento al giudizio di appello, in
caso di diniego della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, la
mancata assunzione di una prova decisiva può costituire motivo di
ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d),
c.p.p. solo quando si tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo
la pronuncia di primo grado, che avrebbero dovuto essere
ammesse secondo il disposto dell’art. 603, comma 2, c.p.p. (cfr.
Cass., sez. IV, 12/11/2010, n. 116, C.) e tali non sono le invocate
testimonianze della Del Moro e del Magnaterra; dall’altro che
assolutamente improprio è l’invocato vizio di travisamento della
prova, configurabile solo nel caso in cui il giudice di merito abbia
fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su
un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale
(cfr. Cass., sez. VI, 11/02/2013, n. 11794, M.).
Va, inoltre, sottolineato, con riferimento a tutti i ricorsi, che nel
giudizio d’appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è
istituto di carattere eccezionale, in relazione al quale vale la
presunzione che l’indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua
completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice.

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L’art. 603, co. 1, c.p.p., infatti, non riconosce carattere di
obbligatorietà all’esercizio del potere del giudice d’appello di
disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è
richiesto per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale

giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere
allo stato degli atti. In una tale prospettiva, se è vero che il
diniego dell’eventualmente invocata rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo
grado, la relativa motivazione (sulla quale, nei limiti della illogicità
e della non congruità, è esercitabile il controllo di legittimità) può
anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto
argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto
delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di poter decidere
allo stato degli atti (cfr. Cass., sez. IV, 06/11/2009, n. 43966, M.)
A tali principi si è attenuta la corte territoriale, soffermandosi, è
vero, specificamente solo sulla superfluità della deposizione del
Magnaterra, ma operando, al tempo stesso, una esaustiva
valutazione, anche sotto il profilo della attendibilità dei propalanti,
degli elementi probatori assunti nel dibattimento di primo grado,
rappresentati dalle dichiarazioni delle persone offese, dai
riconoscimenti fotografici da esse operati, nonché dalle
deposizioni dei testi Carletti Francesca e Casciello Aldo, in base
alla quale, per ciascun imputato è stato esaurientemente indicato
il compendio probatorio ritenuto sufficiente ad affermarne la
penale responsabilità (cfr. pp. 9-11 dell’impugnata sentenza),
rendendo, pertanto, del tutto superfluo ogni ulteriore riferimento
alla inutilità dell’escussione della Del Moro.

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potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il

Le riserve espresse al riguardo nei ricorsi Pizzicotti e Mora, non
assumono rilievo, in quanto si traducono in censure di fatto, non
consentite in questa sede di legittimità.
Generici e, pertanto, inammissibili sono, poi, da un lato i rilievi

espresso dalla corte territoriale sul valore probatorio delle
dichiarazioni delle persone offese costituite parti civili, dall’altro la
lamentata incertezza dello Scriboni Stefano nel riconoscere lo
Sgamma come uno degli aggressori.
Infondata, invece, appare la censura sulla inutilizzabilità ai fini
probatori della individuazione fotografica dello Sgamma operata in
sede di indagini preliminari dallo Scriboni Stefano e ribadita in
sede di istruttoria dibattimentale innanzi al giudice di primo grado.
Ed invero, nel rigettare la doglianza difensiva sul punto, la corte
territoriale si è conformata ai principi affermati da tempo nella
giurisprudenza di legittimità, condivisi dal Collegio.
L’individuazione fotografica effettuata dal teste, nel giudizio,
mediante le fotografie contenute nei verbali di individuazione
fotografica redatti nella fase delle indagini preliminari, infatti,
costituisce attività del tutto legittima, in quanto i fascicoli
fotografici conservano una loro sostanziale autonomia e possono,
essere successivamente mostrati ai testimoni chiamati ad
effettuare detto

riconoscimento

in

sede di

istruttoria

dibattimentale, essendo del tutto superfluo sottoporre a questi
ultimi altro e diverso fascicolo fotografico; né, d’altro canto, vi è
alcuna norma processuale che prescriva l’utilizzo di fascicoli
fotografici diversi nelle due fasi in questione (cfr. Cass., sez. V,
06/04/2011, n. 19638, P., rv. 250193).

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formulati nei ricorsi Pizzicotti e Mora in ordine al giudizio positivo

Inoltre, come è stato chiarito, sono inseribili nel fascicolo per il
dibattimento le fotografie utilizzate per l’individuazione fotografica
svolta nel corso delle indagini preliminari, mentre le dichiarazioni
di individuazione possono ivi trasmigrare una volta che siano state

(cfr. Cass., sez. V, 21/10/2010, n. 43363, M., rv. 248951).
Manifestamente infondati sono, infine, i rilievi dei ricorsi Mora e
Pizzicotti sul trattamento sanzionatorio.
Al riguardo va osservato che, a differenza di quanto prospettato
dai ricorrenti, la circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 1),
c.p., è stata ritenuta sussistente, in quanto la circostanza
aggravante esclusa dal tribunale è quella di cui all’art. 61, n. 11),
c.p.
Pertanto la motivazione della corte territoriale appare immune da
vizi nel fondare il rigetto del giudizio di prevalenza delle
circostanze attenuanti generiche sulla suddetta circostanza
aggravante invocato dai ricorrenti, sulla gravità del fatto,
“consistita in una aggressione posta in essere da più persone con
notevole violenza e brutalità ed originata da futili motivi – scambio
di una giacca e richiesta di aiuto al personale addetto alla
sicurezza del locale per la risoluzione del problema -” e sulla
“gravità delle conseguenze dannose derivate alla parti offese (ed
in particolare a Urbani Matteo)”.
Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte
circostanze, peraltro, implicando una valutazione discrezionale
tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità
qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico
e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi
quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia

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utilizzate per le contestazioni nel corso dell’esame dibattimentale

limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della
pena irrogata in concreto (cfr. Cass., sez. un., 25/02/2010, n.
10713, C., rv. 245931).
Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi di cui in premessa

al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla rifusione,
in favore delle parti civili costituite delle spese del presente
giudizio di legittimità, che, ai sensi del decreto del Ministro della
Giustizia 20 luglio 2012 n. 140, “Regolamento recante la
determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un
organo giurisdizionale dei compensi per le professioni
regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, si fissano in
complessivi euro 2200,00, oltre accessori come per legge.
P.Q. M .
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento ciascuno
delle spese processuali, nonché delle spese sostenute dalle parti
civili in questo giudizio di Cassazione e le liquida in euro 2200,00,
oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 18.4.2013.

vanno, dunque, rigettati, con condanna di ciascuno dei ricorrenti

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