Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37697 del 18/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37697 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 18/04/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Marasca Simone, nato a Jesi il 9.10.1971, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Ancona il 21.2.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Sante Spinaci, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;
udito per il ricorrente, il difensore di fiducia, avv. Massimo
Gasparetti, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

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FATTO E DIRITTO

Con sentenza pronunciata il 21.2.2012, la corte di appello di

Ancona, in composizione monocratica, sezione distaccata di Jesi,
in data 27.10.2010, aveva condannato Marasca Simone, imputato
del delitto di cui agli artt. 583, 583, c.p., commesso in danno di
Zenobi Paolo, al quale veniva asportata la milza in conseguenza
delle percosse subite, alla pena ritenuta di giustizia, oltre al
risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita
parte civile, cui veniva riconosciuta anche una provvisionale
dell’ammontare di 20.000,00 euro, rideterminava la pena in
favore dell’imputato nella misura di anni uno di reclusione.
Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso per Cassazione personalmente l’imputato, articolando due
motivi di impugnazione.
Con il primo egli lamenta il vizio di cui all’art. 606, co. 1, lett. b),
in relazione agli artt. 33 bis, 33 quinquies e ss., c.p.p., in quanto,
essendo stato contestato al Marasca il reato di cui agli artt. 61, n.
1, 582, 583, co. 2 e 3, c.p., la competenza a decidere nel merito
apparteneva non al tribunale in composizione monocratica, ma al
tribunale in composizione collegiale, con conseguente nullità
dell’ordinanza con cui il giudice di primo grado, in data
27.10.2010, rigettava la relativa eccezione proposta dalla difesa
del Marasca e di entrambe le sentenze di merito.
Con il secondo motivo di ricorso, l’imputato lamenta il vizio di
mancanza della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza
della circostanza aggravante della lesione gravissima, in quanto,

Ancona, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di

da un lato, la perdita della milza, facendo tale organo parte del
sistema reticolo-endoteliale, in grado di compensarne le funzioni,
in caso di asportazione, integra, di regola, un’ipotesi di lesione
grave per indebolimento permanente del suddetto sistema;

dall’altro, premesso che, nel reato di lesioni volontarie, la
previsione o la prevedibilità dell’evento integrante una delle
circostanze aggravanti di cui all’art. 583, c.p., deve ritenersi
sussistente solo quando la condotta posta in essere dall’agente
riveli di per sé l’intenzione di arrecare un notevole danno alla
persona offesa, potendo solo in tal caso la circostanza aggravante
essere valutata a carico dell’imputato ex art. 59, co. 2, c.p., nel
caso in esame la condotta posta in essere dal Marasca , sulla base
del racconto dei testimoni e della stessa persona offesa, “non
sembra in alcun modo aver assunto tali caratteristiche”.
Tanto premesso, il ricorso del Marasca non può essere accolto,
perché infondato.
Ed invero, in relazione al primo motivo di ricorso, va rilevato che,
ai sensi dell’art. 33 quinquies, c.p.p., “l’inosservanza delle
disposizioni relative all’attribuzione dei reati alla cognizione del
tribunale in composizione collegiale o monocratica e delle
disposizioni processuali collegate è rilevata o eccepita, a pena di
decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se
questa manca, entro il termine previsto dall’articolo 491 comma
1. Entro quest’ultimo termine deve essere riproposta l’eccezione
respinta nell’udienza preliminare”.
Dalla tempestiva eccezione dell’inosservanza delle disposizioni
sull’attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in
composizione collegiale o monocratica, dipende l’annullamento
(invocato dal ricorrente) ex art. 33 octies, co. 1, c.p.p., della

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sentenza resa in violazione di tali disposizioni da parte del giudice
dell’impugnazione.
Orbene, nel caso in esame, come correttamente rilevato dal
giudice di secondo grado, l’eccezione in questione è stata

quinquies, c.p.p., quasi all’esito dell’istruttoria dibattimentale, per
cui dalla violazione delle indicate disposizioni non può farsi
discendere la nullità delle sentenze di merito.
Né appare convincente la tesi sostenuta dalla difesa, secondo cui,
non potendosi conoscere in anticipo l’esito dell’udienza
preliminare in ordine alla individuazione da parte del giudice
procedente dell’organo competente per il giudizio, solo nel caso in
cui il pubblico ministero, nella richiesta di rinvio a giudizio, abbia
espressamente fatto riferimento anche alla composizione del
giudice davanti al quale egli intende far comparire l’imputato,
l’interessato potrà rispettare, in sede di udienza preliminare, il
termine prescritto dall’art. 33 quinquies, c.p.p., che, invece, non
sarà in grado di osservare nell’ipotesi in cui a ciò il pubblico
ministero non abbia provveduto, non potendo, di conseguenza,
formulare per la prima volta la relativa eccezione davanti al
giudice del dibattimento.
Orbene, premesso che nel caso in esame la richiesta di rinvio a
giudizio conteneva il riferimento all’organo giudiziario monocratico
innanzi al quale il pubblico ministero intendeva far comparire il
Marasca, quel che interessa rilevare è che l’interpretazione
proposta dal ricorrente si risolve in una sostanziale (ed
inammissibile) abrogazione della previsione normativa di cui
all’art. 33 quinquies, c.p.p., come correttamente rilevato dalla
corte territoriale.

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sollevata ben oltre il termine di decadenza di cui al citato art. 33

Peraltro il ricorrente non considera che l’udienza preliminare non
si conclude con la chiusura della discussione delle parti e che uno
dei suoi possibili epiloghi decisori è rappresentato proprio dalla
lettura del decreto che dispone il giudizio, contenente, tra l’altro,

l’indicazione del giudice competente per il giudizio”, che deve
avvenire alla presenza del difensore dell’imputato, il quale è,
dunque, in grado di formulare in questo momento la relativa
eccezione, posto che l’udienza preliminare non si è ancora
definitivamente conclusa, come si evince dall’art. 431, co. 1,
c.p.p., che impone al giudice, “immediatamente dopo l’emissione
del decreto che dispone il giudizio”, di provvedere alla formazione
del fascicolo per il dibattimento, nel contraddittorio tra le parti, le
quali possono anche chiedere un rinvio, a dimostrazione che la
fase processuale nella quale potere sollevare l’eccezione di cui si
discute non è ancora conclusa, per la formazione del fascicolo.
Nessuna questione, poi, si impone in ordine alla mancata
rilevazione da parte del giudice del dibattimento dell’inosservanza
delle disposizioni sulla composizione del tribunale, che, stante la
chiara dizione dell’art. 33 quinquies, c.p.p., è anch’essa
sottoposta al termine di decadenza innanzi indicato.
Del pari infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, in
quanto, ad avviso di questa Corte, come affermato dalla più
recente giurisprudenza di legittimità, la totale perdita della milza
costituisce non già indebolimento del sistema reticolo-endoteliaife,
ma perdita dell’uso di un organo, che integra, pertanto, l’ipotesi di
lesione gravissima prevista dall’art. 583 comma 2 n. 3 c.p., e ciò
perché le numerose funzioni cui assolve la milza, sebbene tutte

t

erfettamen2 compensabili, non possono tuttavia ritenersi

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ai sensi dell’art. 429, co. 1, lett. e), c.p.p., “il dispositivo con

propriamente sostituite, nella loro entità globale, da singole
attività svolte separatamente da organi diversi (cfr. Cassazione
penale, sez. V, 04/07/1991, Pasqui).

infine, l’ultimo rilievo difensivo, al quale, peraltro, la corte
territoriale ha fornito adeguata risposta, rilevando come in sede
dibattimentale l’apporto tecnico fornito dalle dichiarazioni del dott.
Di Giulio„ ha messo in luce che la rottura della milza è stata
“conseguenza naturale e prevedibile della condotta violentissima
posta in essere dall’imputato ai danni della vittima”.
Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto
nell’interesse del Marasca va, dunque, rigettato, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 18.4.2013.

Manifestamente infondato, perché assolutamente generico, è,

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