Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37694 del 18/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37694 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Picciau Annalisa, nata a Ussana il 17.12.1961 e da Amorello
Maurizio, nato a Palermo il 6.10.1960, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Palermo Ancona il 22.2.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Sante Spinaci, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso.

Data Udienza: 18/04/2013

FATTO E DIRITTO

Con sentenza pronunciata il 22.2.2012, la corte di appello di

giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo, in
sede di giudizio abbreviato, aveva condannato Picciau Annalisa e
Amoriello Maurizio, imputati dei delitti di cui agli artt. 110, c.p.,
216, co. 1, n. 1), 216, co. 1., n. 2), I. fai., considerati come un
unico reato aggravato ai sensi dell’art. 219, co. 1 e 2, n. 1), I.
fall., in relazione al fallimento della impresa individuale “Ellebi di
Piacciau Annalisa”, dichiarato il 9.3.2007, alle pene, principali ed
accessorie, ritenute di giustizia.
Avverso tale sentenza, di cui chiedono l’annullamento, hanno
proposto ricorso per Cassazione gli imputati, censurando la
decisione della corte territoriale per avere fornito “una
motivazione del tutto apparente ai primi motivi di gravame”.
I ricorrenti, in particolare, evidenziano come non corrisponda a
verità la circostanza, affermata dal giudice di secondo grado, che
la Picciau consegnava merce ai propri clienti senza avere ottenuto
prima il pagamento della merce precedente.
infatti, nel caso dell’Allegra e del La Barbera,
cliente, ancora prima della scadenza del

Come accaduto,
in realtà, il
primo assegno

consegnato a pagamento della merce, ne aveva acquistata altra,
per cui non vi era nessuna ragione per cui l’imputata avrebbe
dovuto negare la consegna della merce stessa.
Quanto alle modalità di consegna della merce, che, ad avviso dei
giudici di merito, hanno concretizzato degli artifizi diretti ad
operazioni fittizie, anche perché effettuate a soggetti non

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Palermo confermava la sentenza con cui, in data 4.5.2010, il

riconosciuti dagli autotrasportatori, la corte territoriale omette di
considerare quanto riferito dai testi in ordine alla circostanza che
la consegna avveniva in un magazzino ove un incaricato del
cliente li conduceva, sminuendo il dato, viceversa significativo,

veniva portata la merce dalla Ellebi”.
Essendo stati acquisite agli atti del processo le fatture e le bolle di
consegna della merce a due clienti, sia pure da parte di altre ditte
e con l’utilizzo di altri vettori, deve ritenersi raggiunta la prova
“che i clienti tenevano una condotta per truffare i terzi”, tra i quali
va ricompresa la Picciau.
Con riferimento, poi, alle dichiarazioni rese alla difesa dallo
Stracampiano Ignazio, secondo il quale egli avrebbe consegnato
alla Picciau dieci titoli cambiari a scadenza successiva, mai
onorati, la corte territoriale ha commesso un errore di valutazione
nel considerarle inattendibili, ritenendo inverosimile che il
creditore non gli abbia mai chiesto l’adempimento, in quanto,
come sottolineato nell’atto di appello, tale condotta è addebitabile
al curatore fallimentare, al quale vennero consegnati i titoli in
questione.
In relazione alla vendita sottocosto, considerata dai giudici di
merito un fatto distrktivo, avendo l’impresa nell’ultimo anno
quasi triplicato gli acquisti, contro ogni principio di economia,
rilevano i ricorrenti che va considerato non il volume di affari
annuale, ma le operazioni, ritenute distrattive, poste in essere tra
la fine del 2006 e l’inizio del 2007, in un periodo temporalmente
breve in cui la Picciau ha iniziato una vendita sottocosto per
fronteggiare la crisi economica dell’impresa, sino a quando non
decise di cessare l’attività, avendo compreso che non era più

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che “anche altre ditte, consegnavano della merce nei locali in cui

possibile continuare ad operare, per cui non può parlarsi di
bancarotta fraudolenta.
Infine l’Amorello lamenta l’erronea qualifica di amministratore di
fatto attribuitagli dalla corte territoriale, che non si giustifica per il

lui, in quanto occuparsi degli acquisti della merce era proprio
l’incarico al quale era stato destinato all’interno dell’impresa,
essendo egli privo di poteri decisionali in relazione all’effettuazione
degli ordini di acquisto ed alle relative modalità di pagamento.
Tanto premesso, il ricorso degli imputati non può
essere accolto
Ed invero le doglianze volte a contestare la configurabilità del
delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione
risultano inammissibili, sotto un duplice profilo.
Da un lato, è’ inammissibile, ai sensi del combinato disposto degli
artt. 581, co. 1 , lett. c), e 591, co. 1, lett. c), il ricorso per
Cassazione fondato, come nel caso in esame, su motivi che
ripropongono acriticamente stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dai giudici del gravame, dovendosi gli stessi considerare
non specifici, ed anzi, meramente apparenti, in quanto non
assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza
oggetto di ricorso.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere
apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza,
ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate della decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di
mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1,

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solo fatto che i fornitori dell’impresa entrassero in contatto con

lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. V, 27.1.2005 25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Cass., sez. V, 12.12.1996, n.
3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389).

di censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza
di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali,
precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. I,
16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; Cass., sez. VI,
3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510; Cass., sez. III,
27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).
Peraltro la corte territoriale, con motivazione approfondita ed
immune da vizi, ha analiticamente disatteso tutti i rilievi formulati
al riguardo dagli appellanti, evidenziando il carattere fittizio di
tutte le forniture apparentemente effettuate dalla “Ellebi”, desunte
da una pluralità di indici sintomatici (come il mancato pagamento
delle forniture stesse; la circostanza che gli autotrasportatori
incaricati del trasporto non ricordassero il luogo di consegna della
merce, né l’identità di coloro ai quali l’avevano consegnata;
l’inadeguatezza economica ed imprenditoriale dei presunti
acquirenti; il mancato esercizio di un’attività commerciale ovvero
lo svolgimento di un’attività commerciale affatto diversa presso
l’indirizzo dove sarebbe stata consegnata la merce);
l’inattendibilità delle dichiarazioni dello Stancampiano, soggetto
risultante non iscritto alla camera di commercio, destinatario di
una fornitura di merce da parte della “Ellebi” presso un indirizzo al

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Dall’altro le suddette doglianze si concretizzano nella esposizione

quale corrisponde, in realtà un immobile chiuso, risultando
inverosimile che la Picciau non gli abbia mai chiesto
l’adempimento dei titoli cambiari che egli ha affermato di avere
sottoscritto in suo favore; il carattere distrattivo delle vendite

di politica imprenditoriale volta a triplicare il volume degli acquisti,
così irrazionalmente incrementando in maniera esponenziale le
perdite, rilevando, ad ulteriore dimostrazione dell’infondatezza del
rilievo difensivo, come i ricorrenti non abbiano nemmeno indicato i
debiti scaduti che avrebbero pagato o inteso pagare con il
provento delle vendite sottocosto.
Infondato deve ritenersi, invece, il motivo di ricorso riguardante
specificamente la posizione dell’Annorello.
Al riguardo si osserva che, come affermato da tempo nella
giurisprudenza di legittimità, in tema di reati fallimentari, il
soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall’art. 2639, c.c.,
assume la qualifica l’amministratore “di fatto” della società fallita è
da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto
l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre
condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale
responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui
addebitabili, tra i quali vanno ricomprese le condotte
dell’amministratore “di diritto”, anche nel caso di colpevole e
consapevole inerzia a fronte di tali condotte, in applicazione della
regola di cui all’art. 40, co. 2, c.p. (cfr. Cass., sez. V, 20/05/2011,
n. 39593, rv 250844; Cass., sez. V, 2/3/2011, n. 15065,
Guadagnoli e altro, rv. 250094).
Consolidato appare all’interno della giurisprudenza di legittimità
anche l’orientamento secondo cui la nozione di amministratore di

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sottocosto, che appaiono logicamente incompatibili con una scelta

fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo
continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od
alla funzione, anche se “significatività” e “continuità” non
comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri

un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od
occasionale.
La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme
incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va
determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che,
regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di
amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di
norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina
sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di
elementi sintomatici di gestione o cogestione della società,
risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus”
che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento
dell'”iter” di organizzazione, produzione e commercializzazione dei
beni e servizi – rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti
materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in
qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa,
contrattuale, disciplinare.
Peraltro l’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione
o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di
fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da
motivazione congrua e logica (cfr. Cass., sez. V, 14.4.2003, n.
22413, Sidoli, rv. 224948; Cass., sez. I, 12.5.2006, n. 18464,
Ponciroli, rv. 234254).

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dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di

In conclusione può dunque affermarsi che in tema di bancarotta
fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I.
fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate,
non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla

rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica
ricoperta (cfr. Cass., sez. V, 13.4.2006, n. 19145, Binda e altro,
rv. 234428).
Orbene la corte territoriale, con motivazione articolata, esauriente
ed immune da vizi, si è mossa nel solco interpretativo tracciato
dalla giurisprudenza di legittimità.
Il giudice di secondo grado, infatti, hanno individuato una pluralità
di indici di assoluto valore sintomatico della qualifica di
“amministratore di fatto” rivestita dall’Amorello, emersi all’esito
dell’istruttoria dibattimentale, evidenziando: 1) come l’imputato
fosse il costante punto di riferimento di tutti i soggetti che
entravano in rapporto con l’impresa; 2) si occupasse degli
ordinativi della merce, effettuando i pagamenti; 3) a lui si facesse
riferimento in numerosi documenti informali relativi all’attività
dell’impresa.
Appare, dunque, evidente, che, contrariamente a quanto preteso
dalla difesa, l’Amorello non può essere relegato in un ruolo
meramente secondario, partecipando egli a fianco della titolare
dell’impresa alle scelte vitali dell’impresa stessa, con ciò
svolgendo un palese ruolo di cogestione penalmente rilevante.
Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto
nell’interesse di Picciau Annalisa e Amorello Maurizio va, dunque,
rigettato, con condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento
delle spese del procedimento.
P.Q.M.

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rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento ciascuno
delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 18.4.2013.

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