Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3769 del 03/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3769 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sui ricorse proposto da:
SORBO FRANCESCO N. IL 24/09/1960
avverso l’ordinanza n. 184/2012 TRIBUNALE di MODENA, del
07/12/2012 L
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LU 214/ 2.0 13 ,
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;
lette/sOite le conclusioni del PG tt. ok:
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SUL-:

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,

Uditi difensor

i

ot:

(1.20M14.

Data Udienza: 03/10/2013

ritenuto in fatto
1. Con una prima ed articolata ordinanza del 7.12.2012 il Tribunale di Modena, in
composizione collegiale ed funzione di giudice dell’esecuzione, in sede di giudizio di
opposizione a provvedimento reiettivo assunto con ordinanza 28.9.2011, rigettava la
richiesta di applicazione dell’indulto a favore di SORBO Francesco, sul presupposto che
la condanna era stata riportata per tentato omicidio aggravato, anche ai sensi dell’art.
7 I. 203/1991, per essersi avvalso delle condizioni di cui all’art. 416 cod.pen., poiché

esecuzione, dall’appartenenza del Sorbo alla fazione camorristica degli scissionisti
facenti capo a tale De Falco. Fin dal 12.3.2011, il Sorbo aveva chiesto l’applicazione
dell’indulto, ma il 28.9.2011 l’istanza veniva dichiarata inammissibile perché ripetitiva di
precedenti richieste, ed in ogni caso infondata nel merito; detta istanza veniva fatta
oggetto di ricorso per cassazione , ma nelle more venivano presentate altre richieste
con cui il 29.2.2012 personalmente Sorbo sollecitava ancora l’applicazione dell’indulto
sul presupposto che l’aggravante dell’art. 7 di 152/1991 gli era stata applicata per fatti
commessi antecedentemente l’entrata in vigore di detta previsione normativa ed il
12.3.2012 il difensore insisteva per l’applicazione del beneficio indulgenziale visto che al
coimputato del Sorbo era stato applicato il provvedimento di clemenza. In data
27.3.2012 il Tribunale di Modena dichiarava condonata la pena inflitta al prevenuto per
il reato suindicato, nella misura di anni tre di reclusione, ordinanza che peraltro veniva
poi revocata il 29.3.2012 d’ufficio, all’esito dell’interposizione del ricorso per cassazione
del Pm, con successiva dichiarazione di inammissibilità delle istanze del Sorbo e del
difensore in data 24.4.2012. Il tribunale, operando come detto, in sede di opposizione
all’esito della decisione della cassazione che aveva riqualificato uno dei ricorsi del Sorbo
ai sensi degli artt. 667, 676 cod.proc.pen., muovendosi nell’ ingorgo di provvedimenti
seguiti ad una incessante presentazione di istanze, opinava nel senso di ritenere che
l’aggravante in questione (ostativa all’applicazione dell’indulto) era stata ritenuta con
sentenza e che a nulla poteva rilevare il fatto addotto che fosse stata prevista dal
legislatore dopo la consumazione del reato, visto che sulla questione non era ammessa
interlocuzione critica, trattandosi di profilo coperto dal giudicato: veniva aggiunto che si
trattava di tipica questione oggetto del giudizio di cognizione, che avrebbe dovuto esser
fatta valere in sede di impugnazione della sentenza. Né poteva essere fatta valere
l’argomentazione secondo cui la rilevanza ostativa avrebbe effetti solo in relazione ai
reati consumati e non a quelli tentati, posto che secondo l’interpretazione della corte di
legittimità, l’inapplicabilità dell’indulto in relazione a reati pei quali sia stata ritenuta
l’aggravate di cui all’art. 7 d.l. 152/1991, opera anche per i delitti tentati. Né infine
veniva ritenuta condivisibile la tesi secondo cui il condono era stato concesso al

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era stato ritenuto che l’omicidio tentato avesse tratto origine, quanto a deliberazione ed

coimputato del Sorbo, tale Maiorino, atteso che l’errore eventualmente compiuto non
legittima sol per questo una sua reiterazione

2. Con successiva ordinanza del 2.4.2013 il Tribunale di Modena, in funzione di

giudice dell’opposizione, a seguito del ricorso per cassazione ad opera del Pm contro il
provvedimento che aveva concesso l’indulto, in relazione alla condanna emessa dal
Tribunale di Modena 2.3.2003, ribadiva che il reato per cui Sorbo era stato condannato

Sorbo avvalso delle condizioni di cui all’art. 416 cod.pen. Il tribunale ribadiva che
l’aggravante in questione era stata ritenuta in sentenza e che a nulla poteva rilevare il
fatto addotto che fosse stata prevista dal legislatore dopo la consumazione del reato,
atteso che la questione avrebbe dovuto costituire oggetto di impugnazione della
sentenza. Ribadiva che non poteva essere fatta valere l’argomentazione secondo cui la
rilevanza ostativa avrebbe avuto effetti solo in relazione ai reati consumati e non a
quelli tentati, posto che secondo l’interpretazione della corte di legittimità
l’inapplicabilità dell’indulto in relazione a reati pei quali sia stata ritenuta l’aggravate di
cui all’art. 7 d.l. 152/1991, opera anche per i delitti tentati; in particolare veniva
evidenziato come nella previsione della lett. d) art. 1 I. 241/2006 la ratio dell’esclusione
è polarizzata sull’aggravante di mafia , rimanendo secondarie la natura e la struttura
del reato cui accede. Né infine poteva rilevare il fatto che il condono era stato invece
concesso al coimputato del Sorbo, tale Maiorino.

3. Avverso entrambe le decisioni interponeva ricorso per cassazione il SORBO, pel

tramite del suo difensore.
In relazione alla prima ordinanza deduceva :
3.1 violazione di legge per avere considerato la causa ostativa , laddove il
prevenuto fu assolto dal reato di cui all’art. 416 bis cod.pen. perché il fatto non sussiste
con sentenza definitiva, cosicchè era precluso il protrarsi dell’aggravante della c.d.
mafiosità per il delitto di tentato omicidio aggravato da altre circostanze. Tanto è vero
che i due distinti ordini di carcerazione emessi a carico di Maiorino e di Sorbo non
ebbero a menzionare l’aggravante di cui all’art. 7 legge citata.
3.2 Violazione dell’art. 3 Cost. sull’applicazione dell’indulto in modo difforme ai
due condannati per lo stesso reato Maiorino e Sorbo: viene ripetuto che il Maiorino
ottenne l’applicazione dell’indulto con ordinanza del 22.3.2003 del tribunale di Modena,
laddove invece il Sorbo (nelle stessa ed identica situazione del coimputato), si vide
rifiutare il beneficio. L’eventuale errore in cui sarebbe incorsa l’A. G. si anniderebbe
nella contestata ordinanza , non già nel provvedimento di cui fu destinatario il Maiorino.
Della seconda ordinanza Sorbo si lamentava per i seguenti motivi:
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era ostativo, perché aggravato, anche ai sensi dell’art. 7 I. 203/1991, per essersi il

3.3 violazione di legge per avere l’ordinanza 2.4.2013 travisato l’istanza del
12.3.2012 (che era stata accolta de plano dal tribunale il 27.3.2012); il tribunale con
l’ordinanza 2.4.2013 non avrebbe potuto considerare ammissibile il ricorso del Pm , non
avendo questi allegato gli atti da cui sarebbe risultato il vizio.
3.4 violazione di legge per avere

l’ordinanza impugnata effettuato una

valutazione in fatto dell’ordine di esecuzione del Sorbo, non dedotta dal Pm nel proprio
ricorso per cassazione e per aver affermato d’ufficio la pretesa erroneità di detto ordine

l’indicazione anche dell’aggravante ritenuta.
3.5 Violazione della I. 241/2006 per avere l’ordinanza considerato come causa
ostativa l’aggravante di cui all’art. 7 di citato, ancorchè applicata a reato tentato.
L’arresto di questa Corte (Sez. I, 16.10.2008) che estendeva la preclusione di cui alla
lett. d) anche ai reati tentati veniva ritenuto un principio isolato.
3.6 Violazione dell’art. 2 c. 1 e 25 c. 2 Cost. per aver applicato l’aggravante di
cui all’art. 7 dl. 152/1991 a reato commesso in data antecedente ( 5.5.1991) l’entrata
in vigore del suddetto decreto (13.5.1991). In proposito viene citata la sentenza
230/2012 secondo cui è costituzionalizzato il principio che vieta la condanna in forza di
una legge entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto. Secondo la
difesa,i principi del giusto processo andrebbero applicati anche nella fase
dell’esecuzione.
3.7 Violazione dell’art. 3 Cost. sull’applicazione dell’indulto in modo difforme ai
due condannati per lo stesso reato Maiorino e Sorbo: viene ripetuto che il Maiorino
ottenne l’applicazione dell’indulto con ordinanza del 22.3.2003 del tribunale di Modena,
laddove invece il Sorbo (nelle stessa ed identica situazione del coimputato),si vide
rifiutare il beneficio. L’eventuale errore in cui sarebbe incorsa l’A.G. si anniderebbe nella
contestata ordinanza , non già nel provvedimento di cui fu destinatario il Maiorino.

4. Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.

5. Con successiva memoria depositata il 25.9.2013 la difesa ha ripetuto che il
reato aggravato ex art. 7 di 152/1991 per essere ostativo all’applicazione del condono
deve essere consumato, non essendo sufficiente che sia rimasto allo stadio del
tentativo. E’ stato ribadito che al coimputato Maiorino il beneficio indulgenziale era stato
applicato, per cui non poteva essere bollata come erronegla valutazione che era stata
operata nei di lui riguardi. Infine veniva risottolineato che il reato commesso dal Sorbo
e ritenuto ostativo risaliva al 5.5.1991, quindi prima dell’entrata in vigore della legge
istitutiva dell’aggravante mafiosa: il dato non venne mai eccepito , né venne rilevato
d’ufficio, ma secondo la difesa

sarebbe rilevabile nelle forme dell’art. 625 bis

cod.proc.pen.
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di esecuzione, avendo il tribunale sollecitato il Pm a rettificare l’ordine di esecuzione con

6. All’odierna udienza i due processi venivano riuniti, considerata la connessione
soggettiva ed oggettiva.

Considerato in diritto.

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati, con il che ne va dichiarata

Deve infatti essere sottolineato che i giudici dell’esecuzione hanno fatto corretta
applicazioni di due principi di diritto, già affermati da questa Corte di legittimità ed a
cui questo Collegio intende dare continuità.
– Il primo, secondo cui in sede di incidente di esecuzione, l’indagine affidata al
giudice è limitata al controllo dell’esistenza di un titolo esecutivo e della legittimità della
sua emissione: a tal fine il giudice dell’esecuzione non può attribuire rilievo alle nullità
eventualmente verificatesi nel corso del processo di cognizione in epoca precedente a
quella del passaggio in giudicato della decisione, ma deve limitare il proprio
accertamento alla regolarità formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l’intrapresa
esecuzione (Sez. I, 26.5.2006, n. 19134, RV 234224). Parallelamente deve ritenersi
che non può il giudice dell’esecuzione rivalutare la ricorrenza o meno di aggravanti che
a torto o a ragione siano state ritenute sussistenti in sede di cognizione, poiché così
operando si esporrebbe ad uno sconfinamento del tutto illegittimo. La risposta da dare
alle doglianze della difesa sulla non corretta applicazione dell’aggravante ostativa, ad
avviso della Corte, non poteva e non può che essere nel senso indicato dai giudici
dell’esecuzione, poiché diversamente opinando, se si dovesse dare ingresso al modus
opinandi della difesa istante, si perverrebbe ad una disastrosa disarticolazione del
sistema processuale penale delle impugnazioni e dei gradi di giudizio, nonché alla
cancellazione della definitività dei provvedimenti giudiziali e dell’istituto stesso del
giudicato penale. Come è stato affermato in un precedente arresto che si richiama (Sez.
I, 22.2.2011, n. 6559, Rv 249328),

“nel nostro sistema processuale la sentenza

della Corte di cassazione, ultima istanza di giustizia, allorché assuma le forme del
rigetto ovvero della inammissibilità del ricorso, esaurisce il procedimento, ed il
contenuto della decisione, ancorché astrattamente ingiusto ovvero giuridicamente
errato, è sottratto, per evidenti esigenze di certezza dei rapporti giuridici, a qualsivoglia
sistema ordinario di rivalutazione decisionale.
Residuano, esclusivamente, i sistemi straordinari della revisione e, recentemente
introdotto, del ricorso straordinario alla medesima Corte, dovendosi di regola ritenere
del tutto asistematico prevedere un mezzo di impugnazione avverso i provvedimenti del
giudice supremo rimesso alla cognizione di una istanza di giustizia di grado inferiore’.
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l’inammissibilità, con le conseguenze di legge.

Non può quindi essere condivisa un’istanza difensiva volta a rendere inefficace il
pronunciato dei giudici di merito sulla sussistenza dell’aggravante, proposta al giudice
dell’esecuzione, istanza che, per le ragioni dette, rientra nella nozione teorica
dell’abnormità, poiché diretta a porre nel nulla, nello specifico, la definitività di un
provvedimento processualmente acquisito, provvedimento al quale non sono più
opponibili rilievi di irritualità processuale ovvero, a maggior ragione, differenti
valutazioni di merito.

con I. 241/2006 sulle pene inflitte per reati tentati, poichè nessun ancoraggio di tipo
testuale, o sistematico suffraga l’assunto difensivo che l’articolo 1 lettera d) della legge
31 luglio 2006 n. 241 – a dispetto della generale previsione secondo cui “L’indulto non
si applica [..] per i reati per i quali ricorre l’aggravante di cui all’articolo 7 del decreto
legge 13 maggio 1991, n. 152,convertito con modificazioni della legge 12 luglio 1991,
n. 203, e successive modificazioni”

16.10.2008, n. 43037, già citata). Infatti se è vero

-come del resto è stato ripetutamente affermato- che l’autonomia del reato tentato non
consente che il richiamo della norma alla fattispecie di un individuato delitto si estenda
fino a comprendere anche la ipotesi del correlato delitto tentato e che la previsione di
esclusione di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) e b) opera sempre una selezione specifica
e chiusa, così da portare ad escludere che siano compresi i delitti “tentati” di cui ai
singoli titoli di reato elencati, dall’altro non può essere sottovalutato che per contro alla
lett. d) dell’art. 1 menzionato, è stato fatto riferimento ad ogni tipo di reato aggravato
dall’art.7 ( parlando genericamente di “reato”), comprendendo quindi anche i delitti
tentati, in ragione della volontà del legislatore di allargare l’area di esclusione all’intero
perimetro dei reati aggravati, atteso il particolare carattere della circostanza in
oggetto, significativa di allarme sociale e di contrapposizione all’ordine costituito. Più
che corretta è stata la valutazione operata dal tribunale nelle due ordinanze impugnate,
in sintonia con le linee guida suindicate espresse da questa Corte.
Detto ciò occorre aggiungere che ininfluente doveva essere considerato, così come

– Il secondo principio è quello in base al quale non è applicabile l’indulto concesso

è avvenuto, il fatto che in riferimento ad altra posizione, assimilabile a quella del Sorbo,
-ed in particolare nei confronti del suo coimputato Maiorino-, sia stato opinato
diversamente, poiché come è stato detto, le linee interpretative seguite per il Sorbo
sono quelle corrette, laddove valutazioni in deroga a dette linee guida, non possono
legittimare la proliferazione di errori di diritto, dovendo restare isolate, senza con ciò
fare violenza a diritti costituzionali ed in particolare all’art. 3 Cost., che non può essere
invocato per pretendere un’assimilazione di trattamento a prescindere dalla corretta
valutazione del caso.
Come correttamente rilevato dal Procuratore Generale, suonano poi del tutto
ininfluenti, oltre che manifestamente infondati, gli altri motivi: in particolare va detto
che correttamente il tribunale aveva definito inammissibile la primitiva istanza in quanto
6

r

A

ripetitiva di doglianze già avanzate con precedenti richieste; non poteva ritenersi
inammissibile invece il ricorso del Pm alla corte di cassazione, avendosi riguardo ad
impugnazione da qualificare come opposizione e quindi tale da sollecitare la rivisitazione
del materiale già acquisito ed esistente agli atti e non profilandosi necessaria
l’allegazione di atti ulteriori, come erroneamente sostenuto. Né riveste rilievo il fatto
che sia stato il tribunale a segnalare alla procura l’inesattezza del titolo di reato inserito
nell’ordine di carcerazione, essendosi trattato di un richiamo ad un doveroso atto di

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi; a tale declaratoria,
riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle
spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in euro mille a
favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 cpp, così come deve
essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

p.q.m.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al pagamento della somma di euro mille alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, addì 3 Ottobre 2013.

correzione, senza alcun apporto valutativo.

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