Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37686 del 16/01/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 37686 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Giaquinto Angelo Raffaele, nato ad Omignano il 12/09/1956

avverso la sentenza dell’11/10/2011 del Tribunale di Vallo della Lucania

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Angelo Raffaele Giaquinto ricorre avverso la sentenza indicata
in epigrafe, con la quale risulta essere stata confermata la condanna
dell’imputato, di cui alla pronuncia del Giudice di pace di Agropoli emessa il

Data Udienza: 16/01/2013

10/06/2009, per il reato di ingiurie (in danno di Francesco Manna, costituitosi
parte civile).
Il ricorrente lamenta:
– violazione di legge processuale (con riferimento agli artt. 431, 526 e 529
del codice di rito), nonché inosservanza ed erronea applicazione degli
artt. 120, 594, 595 e 597 cod. pen., evidenziando che il Manna sporse a
suo tempo querela per il reato di minaccia, dal quale il Giaquinto era stato
poi assolto, ritenendosi pertanto la stessa parte offesa estranea alle frasi

alla figlia del Manna. Le espressioni irriguardose contestate in rubrica
(“tua figlia se la fottono tutti e perciò è una puttana, e tu saresti un
cornuto”) si riferivano infatti in prima battuta ad altra persona, e non
risultavano istanze punitive di sorta avanzate dalla figlia del denunciante;
peraltro, in sede di testimonianza, il Manna non aveva neppure
confermato di essere stato apostrofato con l’epiteto di “cornuto”,
formulato in ogni caso al condizionale già secondo il capo d’imputazione e
perciò consistente in una espressione “blandamente ingiuriosa”.
L’affermazione di penale responsabilità era stata formulata, in definitiva,
ricorrendo il giudicante al contenuto della querela iniziale, non utilizzabile
se non ai fini della verifica della condizione di procedibilità: analogamente
era accaduto in ordine all’offesa rivolta alla figlia del Manna (che secondo
il ricorrente avrebbe dovuto qualificarsi, al più, come diffamazione)
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per il
travisamento di risultanze processuali pacificamente acquisite. La madre
dell’imputato aveva infatti dichiarato che il Giaquinto si era trattenuto con
lei per l’intera giornata del 30/12/2005, escludendo così che potesse
essersi verificato l’episodio contestato (che il Manna aveva collocato in
altra località, a 15 km. di distanza): il Tribunale, come già il Giudice di
pace, aveva tuttavia posticipato di un giorno il ricordo della donna,
avendo ella parlato del giorno precedente il capodanno e dei relativi
festeggiamenti da preparare, ma secondo la difesa si tratterebbe di pura
illazione essendo noto che nel frasario comune la festa di capodanno deve
individuarsi nel 31 dicembre e non già nel 1 gennaio
– mancata assunzione di una prova decisiva, con riferimento alla
testimonianza del sindaco di Agropoli. La necessità di tale deposizione
era infatti emersa nel corso della escussione del Manna, dipendente di
quella amministrazione, avendo egli narrato che si era trovato – in orario
di servizio – presso il locale mercato perché il primo cittadino gli aveva
dato l’incarico di comperare dei gancetti per appendere quadri: la difesa

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asseritamente offensive che l’imputato avrebbe pronunciato con riguardo

intendeva così accertare la falsità di quell’assunto, reputando del tutto
inverosimile che il sindaco potesse aver dato mandato ad un impiegato
per svolgere quella mansione, richiedendosi per gli acquisti di un ente ben
altre procedure e comunque esistendo uffici a ciò preposti, cui il Manna
non apparteneva.

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, perché fondato su doglianze
manifestamente infondate.
Quanto alla veste di persona offesa in capo al Manna, è di palese evidenza
che il contesto della frase rivolta a quest’ultimo fosse ingiuriosa proprio nei suoi
confronti, avendo l’imputato inteso colpire direttamente la parte civile nei suoi
affetti familiari e costituendo il riferimento alla figlia proprio lo strumento per
ledere l’onorabilità del padre: peraltro, è del tutto inconsistente la tesi secondo
cui un epiteto formulato al condizionale perderebbe valenza offensiva, mentre sul
piano processuale il contenuto della deposizione del Manna deve intendersi
risultare anche dal complessivo riferimento all’atto di querela, richiamato nel
corso dell’esame incrociato delle parti.
Il secondo motivo, sull’apprezzamento del materiale probatorio acquisito (la
testimonianza della madre dell’imputato), riguarda aspetti relativi alla
ricostruzione del fatto, da riservare alla esclusiva competenza del giudice di
merito.
Alla Corte di Cassazione deve invece ritenersi preclusa la rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma
adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa,
dovendo il giudice di legittimità soltanto controllare se la motivazione della
sentenza di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito. Quindi non possono avere rilevanza le censure che
si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la
verifica della correttezza e completezza della motivazione non può essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti,
«non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione
dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento» (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842
del 02/12/2003, Elia).

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CONSIDERATO IN DIRMO

Né i parametri di valutazione possono dirsi mutati per effetto delle modifiche
apportate all’art. 606 cod. proc. pen. con la legge n. 46 del 2006, essendo stato
affermato e più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma «gli
aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del
significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono
rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e […], pertanto, restano
inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a

8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540).
Nella fattispecie, alla luce della plausibile motivazione esposta anche in base
al senso comune (i preparativi per la festa di capodanno, comunque serale, si
fanno di norma durante la stessa giornata), non vi sono spazi per un sindacato di
legittimità.
Quanto alla mancata assunzione della testimonianza del sindaco è
assolutamente pacifica, fin da epoca remota, la giurisprudenza di legittimità
secondo cui «il giudice di secondo grado non ha l’obbligo di esaminare un motivo
di appello manifestamente infondato» (v., ex plurimis, Cass., Sez. III, n. 8851
del 25/05/1982, Garraffo, Rv 155462). E’ da notare, peraltro, che secondo il
tenore del ricorso sarebbe stato il giudice di primo grado ad ignorare
colpevolmente quella sollecitazione istruttoria, senza precisare se detta doglianza
venne a costituire oggetto di un motivo di gravame: in vero, l’impugnazione
avverso la sentenza del Giudice di pace venne formulata come ricorso per
Cassazione, poi convertito in appello.
In ogni caso, non è chi non veda che un conto è l’attendibilità del teste nel
momento in cui fornisce una giustificazione alla propria presenza in un dato
luogo, ben altro è ritenere provato che egli – per quanto una giustificazione non
l’avesse – si trovasse comunque nel contesto indicato.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Giaquinto al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

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sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio» (Cass., Sez. V, n.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 16/01/2013.

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