Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37674 del 19/06/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 37674 Anno 2018
Presidente: TRONCI ANDREA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
BISCEGLIA PAOLO nato a MILANO il 24/06/1964
PERRONE GIOVANNI nato a TARANTO il 20/10/1955
CESARI PAOLO nato a FERRARA il 10/07/1963

avverso la sentenza del 21/07/2017 del TRIBUNALE di TARANTO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRA BASSI;

Data Udienza: 19/06/2018

1. Paolo Bisceglia, Paolo Cesari e Giovanni Perrone ricorrono avverso la sentenza in epigrafe,
con la quale il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Taranto ha applicato loro la
pena su richiesta in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti (associazione per delinquere,
corruzione, turbativa d’asta ed induzione indebita). Nei ricorsi proposti dai rispettivi difensori,
Paolo Bisceglia deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla
determinazione della pena accessoria senza tenere conto del presofferto in custodia cautelare
che rendeva la pena residua da scontare non superiore ai tre anni; Paolo Cesari eccepisce la
violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 319-quater
c.p. anziché ex art. 346 cod. pen.; Giovanni Perrone rileva la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in relazione all’art. 129 c.p.p.
2. I ricorsi sono inammissibili.
3. Quanto a Bisceglia, evidente risulta l’infondatezza della deduzione atteso che, ai fini
dell’applicazione della pena accessoria, nulla rileva l’eventuale presofferto in custodia cautelare
(utile ai fini della determinazione della pena detentiva ancora da scontare), dovendosi avere
riguardo ai fini degli artt. 28 e seguenti c.p. soltanto alla pena di cui alla “condanna” ovvero come nella specie – applicata in sentenza.
4. Quanto a Cesari, occorre ribadire il principio di diritto alla stregua del quale, in tema di
applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione
deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., introdotto dall’art. 1, comma 50, della
legge 23 giugno 2017, n. 103, l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è
limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di
errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato.
(Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619). Errore manifesto che, secondo la
ricostruzione storico fattuale compiuta dai giudici della cognizione, nella specie non ricorre.
5. Quanto, infine, a Perrone, va rilevato che, secondo quanto dispone il comma 2-bis dell’art.
448 c.p.p. (come novellato dall’art. 1, comma 50, I. 23 giugno 2017, n. 103), “Il pubblico
ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per
motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la
richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o
della misura di sicurezza”.
Ne discende l’inammissibilità del motivo che attenga – come appunto quello dedotto dal
ricorrente nella specie – la valutazione in ordine alla sussistenza di cause di non punibilità ai
sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
6. Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorse consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la
condanna dei ricorrenti, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, ciascuno anche
a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno al versamento della somma di euro 3.000 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 19 giugno 2018

MOTIVI DELLA DECISIONE

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