Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3766 del 01/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3766 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CAVALLO ALDO

Data Udienza: 01/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANNA FRANCESCO N. IL 05/09/1972
avverso l’ordinanza n. 1104/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di
PERUGIA, del 10/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
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Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza deliberata il 10 gennaio 2013 il Tribunale di Sorveglianza di
Perugia dichiarava inammissibile – per quanto ancora rileva nel presente giudizio
di legittimità – l’istanza di detenzione domiciliare proposta da Sanna Francesco,
in considerazione della tipologia dei reati per i quali l’istante era detenuto in
espiazione pena: due episodi di rapina aggravata, con recidiva reiterata applicata
e conseguente operatività del divieto previsto dall’art. 47 ter, comma 1 bis Ord.

47 ter, comma 1 bis Ord. Pen..

2. Ricorre per cassazione l’interessato, personalmente, deducendo erronea
applicazione di legge (art. 47 ter, comma 1 bis Ord. Pen.), relativamente alla
negata concessione della misura della detenzione domiciliare.
Dopo una premessa nella quale si afferma che il comportamento
intramurario del Sanna nei due anni trascorsi in regime carcerario sarebbe stato
estremamente positivo, in considerazione della frequentazione con profitto dei
corsi predisposti dalla struttura penitenziaria e dell’espletamento di numerosi
colloqui con educatori e psicologi, nel ricorso – seguendo un ordine espositivo
delle questioni da esaminare che non coincide, però, con quello adottato dal
condannato ma con quello logico – si sostiene: (a) che nel caso di specie non vi
sarebbe stata applicazione della recidiva, non avendo tale circostanza
determinato alcun aumento di pena, per effetto della riconoscimento delle
attenuanti generiche con giudizio di equivalenza; (b) che la decisione impugnata
andrebbe in ogni caso annullata, non avendo il Tribunale proceduto ad una
“lettura” costituzionalmente orientata dell’art. 47 ter, comma 1 bis Ord. Pen.,
incongruamente interpretando tale norma nel senso che la stessa prevede un
divieto assoluto di concessione dell’invocato beneficio penitenziario al
condannato cui sia stata applicata la recidiva reiterata, senza considerare che,
accedendo a siffatta interpretazione, la norma in questione rivela innegabili
profili di illegittimità costituzionale, risultando in contrasto sia con il principio
dell’uguaglianza del cittadino dinanzi alla legge (art. 3 Cost.), sia con quello
relativo alla funzione rieducativa della pena (art. 27 Cost.); (c) che ove si ritenga
preclusa una interpretazione della norma – che il ricorrente reputa invece
possibile alla luce di ripetuti arresti del giudice delle legge che hanno escluso la
legittimità costituzionale di rigidi automatismi che precludano la concessione dei
benefici stessi, dovendosi, al contrario, far sempre riferimento alla valutazione
personalizzata del condannato (sentenze n. 189/2010, n. 255/2006, n.
436/1999), questa Corte deve allora sollevare questione di legittimità

Pen., non essendo stata allegata nessuna delle cause giustificative, di cui all’art.

costituzionale dell’art. 47 ter, comma 1 bis Ord. Pen., rimettendo gli atti alla
Corte Costituzionale.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta da Sanna Francesco è basata su motivi
infondati.
1.1 Nessun profilo di illegittimità è infatti ravvisabile nel provvedimento

detenzione domiciliare proposta dal condannato.
1.2 Se pure deve rilevarsi, infatti, che successivamente alla deliberazione
della decisione impugnata, risulta soppresso [a seguito dell’entrata in vigore
dell’art. 2 comma 1 lett. b) n. 2, del D.L. 1° luglio 2013 n. 78, convertito, con
modificazione, nella legge 9 agosto 2013, n. 94] il divieto di concessione del
beneficio della detenzione domiciliare in favore dei condannati cui sia stata
“applicata” la recidiva reiterata – divieto, per altro, che il tribunale a ragione
aveva ritenuto operante con riferimento all’istanza proposta dal Sanna, in quanto
la recidiva contestata al condannato, pur non avendo determinato l’aumento di
pena che le era proprio, aveva però agito nel bilanciamento delle circostanze,
impedendo la riduzione di pena che sarebbe conseguita al riconoscimento delle
attenuanti generiche (in termini, Sez. 1, n. 47903 del 25/10/2012 – dep.
11/12/2012, Cecere, Rv. 253883) – sta di fatto, in ogni caso, che al momento
della proposizione dell’istanza, il Sanna era detenuto in espiazione della pena
inflittagli in relazione a due episodi di rapina aggravata e che il divieto di
concessione del beneficio ai condannati per i reati di cui all’art. 4 bis Ord. Pen.
previsto dall’art. 47 ter comma 1 bis Ord. Pen. (il cui elenco include anche la
rapina aggravata), è tuttora vigente, non essendo stato esso soppresso in sede
di riformulazione di detta norma.
1.3 Nè, per altro, le argomentazioni sviluppate in ricorso relativamente ai
profili di illegittimità costituzionale ravvisabili nella previsione di un divieto
assoluto di concessione del beneficio nei confronti del condannato cui sia stata
applicata la recidiva – da ritenersi, evidentemente, non più attuali e rilevanti,
stante la intervenuta soppressione del divieto – potrebbero fondatamente
“trasferirsi” a quella parte dell’art. 47 ter Ord. Pen., non soppressa, che ricollega
il divieto di concessione della detenzione domiciliare alla condanna per
determinati titoli di reato, prescindendo da qualsiasi valutazione sulla persona
del condannato.
1.4 Ed invero la norma di cui trattasi, come modificata dalla legge n. 38 del
2006, come del resto questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di

poi,

impugnato relativamente alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza di

precisare (Sez. 1, n. 18386 del 20/02/2008 – dep. 07/05/2008, Vinoya, Rv.
240305), non viola né il principio di uguaglianza né il canone della
ragionevolezza, né il divieto di trattamenti contrari al sensi di umanità, avuto
riguardo alla molteplicità degli scopi perseguiti e il bilanciamento operato fra le
istanze di attenuazione del rigore della pena detentiva e le esigenze di
dissuasione, prevenzione e difesa sociale, in ordine alle quali la natura e la
gravità del reato e la correlata entità della pena inflitta assumono indubbio rilievo
anche come elemento obiettivo di differenziazione rispetto ad altre fattispecie;

vigente ordinamento, come istituto inteso a far fronte alle ipotesi di assoluta
incompatibilità delle condizioni soggettive del condannato col regime carcerario,
bensì come modalità di attenuazione del regime di esecuzione della pena,
utilizzabile in presenza di presupposti oggettivi (entità della pena) e soggettivi,
definiti dalla legge.

2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc.
pen. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

ed in ragione altresì del rilievo che la detenzione domiciliare non si configura, nel

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