Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37633 del 13/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 37633 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LALLI MICHELE N. IL 29/03/1927
avverso la sentenza n. 327/2013 CORTE APPELLO di
CAMPOBASSO, del 13/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

r

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 13/05/2015

a

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 13.10.2014 la Corte d’Appello di Campobasso, adita su appello del
Pubblico Ministero ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado affermando la
responsabilità penale di Lalli Michele in ordine al reato di costruzione abusiva di un manufatto
di mt. 17,50 x 7,50 x 3,00 destinato a mungitura di bovini (art. 44 lett. b DPR n. 380/2001).
Per quanto interessa ancora in questa sede, la Corte molisana ha ritenuto che

“per il

grosso manufatto” realizzato dall’imputato (in veste di committente) si richiedeva il permesso
di costruire e che non rilevava l’errore dell’imputato sulla necessità del titolo abilitativo. Ha

concedibile per difetto di approvazione di una pianificazione dell’assetto idrogeologico del
territorio.
2 Per l’annullamento della sentenza, il difensore ha proposto ricorso per Cassazione
denunciando due motivi.
2.1. Col primo motivo lamenta la violazione di legge penale ed extrapenale: a suo dire, la
Corte d’Appello non ha considerato che si trattava di un locale mungitura per vitelli e, quindi,
di un volume tecnico e/o pertinenza della stalla preesistente da cinquanta anni.
Rimprovera inoltre alla Corte d’Appello di non avere considerato l’attivazione del
procedimento di sanatoria e che il mancato rilascio della relativa concessione dipendeva
dall’inerzia della Pubblica Amministrazione (Regione Molise) che non ha ancora recepito il Piano
di Bacino contenente, per ciascuna area, gli interventi ammissibili. Ritiene che una tale inerzia
non può comprimere a tempo indeterminato lo jus aedificandi e richiama la normativa in tema
di immigrazione (sulla possibilità di ottenere la sanatoria) nonché l’orientamento di alcuni
giudici di merito che hanno assolto gli imputati.
Ritiene che l’opera costituisce un “volume tecnico” conforme agli strumenti urbanistici
rilevando che il procedimento amministrativo di sanatoria si trova in una fase di stallo: invoca
pertanto la disapplicazione dell’atto amministrativo e quindi l’assoluzione previa verifica dei
presupposti per il rilascio della concessione in sanatoria.
2.2 Con un secondo motivo, denunzia il vizio di motivazione sulla non configurabilità
dell’opera come volume tecnico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le due censure – che ben si prestano ad esame unitario – sono manifestamente infondate.
La Corte di merito ha riscontrato la natura della costruzione, descrivendola come un non
“non esiguo manufatto per la mungitura” peraltro neppure interrato (diversamente da quanto
riportato nel progetto allegato all’atto di sanatoria). Sulla base di tale accertamento in fatto condotto sulla base della documentazione fotografica in atti e, come tale, in questa sede
insindacabile – la Corte di merito ha escluso il carattere di pertinenza e ritenuto necessario il
rilascio del titolo abilitativo, nel caso di specie mancante.
Trattasi, come si vede, di decisione non solo priva di vizi logici, ma del tutto corretta in
diritto (v. art. 10 DPR n. 380/2001 che sottopone, appunto, a tale titolo abilitativo gli interventi

ritenuto irrilevante l’attivazione della procedura di sanatoria – peraltro non accordata – e non

di nuova costruzione). Ed in particolare, sulla necessità del permesso di costruire per la
costruzione di una sala mungitura, cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15239 del 2009, non massimata).
Non coglie pertanto nel segno la censura, che si risolve in una alternativa ricostruzione del
fatto attraverso la riproposizione del concetto di “volume tecnico”, implicitamente escluso dalla
Corte d’Appello nella ricostruzione della natura del manufatto
Sulla dedotta inerzia della Pubblica Amministrazione in ordine al procedimento di sanatoria
promosso dal ricorrente e sulle conseguenze che dovrebbero trarsi, va osservato che
l’imputato, nei cinque anni trascorsi dall’accertamento dell’illecito, ben avrebbe potuto attivare

conseguenze di una tale scelta non possono influire sull’accertamento del reato edilizio da
parte del giudice penale. Corretta è quindi la pronuncia anche laddove ha considerato priva di
rilievo l’attivazione della sanatoria per il manufatto in questione, peraltro non concessa (e non
concedibile per difetto di approvazione di una pianificazione dell’assetto idrogeologico).
In ogni caso, il ricorso si rivela privo di specificità e, dunque inammissibile (artt. 581 lett. c
e 591 lett. C cpp) sul tema della “disapplicazione”: non si allega neppure il provvedimento che
il giudice penale dovrebbe disapplicare, né si spiega quali sono le caratteristiche dell’immobile
sotto il profilo urbanistico per poterne desumerne la possibilità di una sanatoria.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile e non ravvisandosi assenza di colpa
nella determinazione della relativa causa (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in
dispositivo.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Cos’ deciso in Roma, il 13.5.2015.

gli opportuni rimedi davanti al giudice amministrativo, ma non vi ha provveduto e pertanto le

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