Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3762 del 15/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3762 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
n. il 6 marzo 1964

Heres Vasile
avverso
la sentenza 30 ottobre 2012

Corte di Appello di Roma;

sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr.

Massimo Galli, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha
chiesto il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali;
udito il difensore avv. Pasquale Longo, che ha concluso per raccoglimento dei motivi di ricorso.

Data Udienza: 15/11/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Svolgimento del processo

1. — Con sentenza deliberata in data 30 ottobre 2012, depositata in cancelleria
il 27 novembre 2012, la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza
19 settembre 2011 del Tribunale di Roma, applicate le attenuanti generiche ex art.
62 bis cod pen., riduceva la pena inflitta a Heres Vasile, imputato del reato di ten-

1.1. — Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, Heres
Vasile colpendo Livadariu Mariana con calci e pugni e quindi infliggendole gravi lesioni personali alla testa e al resto del corpo che le determinavano dapprima il coma e successivamente una grave invalidità permanente, tentava di cagionare la
morte della medesima.
1.2. — Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del
giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito:

— dalla certificazione medica attestante le lesioni inferte alla vittima;
— dall’asseveramento della sicura presenza dell’imputato prima e dopo
l’accaduto in un bar nei pressi del terreno dove era stata trovata poi in coma la vittima; dalla parziale ammissione dell’Heres che ha affermato di aver assestato alla
donna con cui aveva una relazione sentimentale, un calcio e un pugno;
— dalle dichiarazioni della vittima che, durante il ricovero ospedaliero, aveva rivelato al consulente medico di essere stata aggredita da un uomo ubriaco;
— dall’accertata inverosimiglianza della successiva versione fornita dalla stessa
parte offesa, evidentemente preoccupata di alleggerire la posizione dell’Heres, circa
la presenza di più persone straniere che l’avrebbero colpita anche con un bastone,
giusta le testimonianze dei testi Giurin e Giordani che avevano fatto invece riferimento alla presenza del solo Heres che, ubriaco, aveva colpito la parte offesa addirittura quando, in coma, giaceva a terra ostacolando poi le operazioni di soccorso
degli infermieri;
— dalle dichiarazioni della proprietaria del terreno, ove era stata rinvenuta la
vittima priva di coscienza, che ha dichiarato di aver chiamato lei i soccorsi (e non
dunque la vittima, rimasta appunto senza coscienza) e infine
— dalla presenza di sangue sulla mano dell’imputato.

Pubblica udienza: 15 novembre 2013 — Heres Vasile — RG: 3455/13, RU: 9;

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tato omicidio nei confronti di Livadariu Mariana, a quella di giustizia.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale
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Infine, il giudice di merito riteneva che, in forza delle circostanze sopra rappresentate, dovesse nella fattispecie configurarsi il reato di tentato omicidio commesso
con dolo alternativo stante l’univocità e idoneità dell’azione posta in essere.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Pasquale
Longo, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione Heres Vasile chiedendone

In particolare veniva rilevata la violazione dell’art. 546 cod. proc. pen. per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di tentato omicidio, con riferimento all’art. 606 comma primo lett.
e) cod. proc. pen.; il giudice non aveva ben approfondito la questione attinente alla
idoneità dell’azione atteso che non è chiara quale sia stata la dinamica del fatto anche perché non sono state rinvenute tracce ematiche sulla parete del box ove la
parte lesa avrebbe battuto la testa, né è stato trovato il tubo metallico con cui la
donna sarebbe stata colpita; né si comprende per quale motivo non sia stata riconosciuta la desistenza volontaria atteso che, se l’imputato avesse voluto effettivamente uccidere la donna, avrebbe portato a termine il suo proposito.

Motivi della decisione
3. — Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Deve innanzitutto premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata
isolatamente ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la
sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche
pienamente concordanti, di talché — sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte — deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi
con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e
un tutto unico e inscindibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, Batlan e altri e,
da ultimo, Sez. 1, 21 marzo 1997, Greco e altri; Sez. 1, 4 aprile 1997, Proietti e
altri). Ciò posto, il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
3.1 — Per giurisprudenza costante di questa Corte, ai fini della diversa definizione del fatto materiale nel reato di lesione personale e in quello di tentato omicidio — così come avviene in genere per tutti i casi di reato progressivo — deve a-

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l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

versi riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente, che alla differente potenzialità dell’azione lesiva. Nel primo reato l’azione esaurisce la sua carica
offensiva nell’evento prodotto, mentre nel secondo vi si aggiunge un quid pluris
che, andando al di là dell’evento realizzato, tende ed è idoneo a causarne uno più
grave in danno dello stesso bene giuridico o di un bene giuridico superiore, riguardanti il medesimo soggetto passivo, non riuscendo tuttavia a cagionarlo per ragioni
estranee alla volontà dell’agente (Cass., Sez. 1, 20 maggio 1987, Incamicia, rv.

3.2 — Il giudice di secondo grado è stato ossequioso di questi principi avendo
esaustivamente dato conto delle ragioni della mancata derubricazione del fatto,
giuste le considerazioni esposte in punto di sede corporea attinta dal prevenuto (le
ferite riguardano numerose parti del corpo, tra cui la testa ove veniva a crearsi un
ematoma di 3 cm con emorragia endocranica acuta e spostamento finanche dell’emisfero cerebrale sinistro con necessità di ricovero con codice rosso in reparto di
rianimazione ove è stata in pericolo di vita), della reiterazione dei colpi assestati
alla vittima, nonché delle stesse modalità dell’atto lesivo, traendone un convincimento non contraddittorio e logico di responsabilità nel delitto contestato.
In particolare il giudice del merito ha fatto valere una valutazione ex ante in co-

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ordinazione di tutti gli altri elementi circostanziali del fatto ravvisando la sussistenza di indici di alta potenzialità lesiva e dunque di sussistenza dell’animus necandi in
ottemperanza del resto del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità
secondo cui in tema omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino

ictu oculi l’animus necandi, la valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi,
quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la
parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione
cruenta (Cass., Sez. 1, 8 giugno 2007, n. 28175, Marin, rv. 237177).
3.3 — Da respingersi perché motivate in fatto e in quanto tendenti a sovrapporre una propria tesi valutativa delle prove rispetto a quella già espressa in modo esauriente e congruo dal giudice della cognizione, sono anche le sollecitazioni difensive che attengono alla considerazione che l’agente, qualora avesse avuto in animo
di uccidere la vittima, avrebbe approfittato della sua condizione di inanità susseguente alle lesioni inferte per terminare il proprio operato. Possono essere infatti
diverse le motivazioni che possono aver indotto l’imputato a non proseguire nella
sua attività lesiva (e nessuna di esse può avere a che fare con la sua volontà di so-

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lo ledere), una delle quali ben può essere quella, implicitamente considerata dal
giudice di merito, di aver ritenuto che la propria azione, per le modalità espletative
adoperate, fosse stata di per sé sufficiente a rendere definitivamente inoffensivo il
proprio avversario, con raggiungimento conseguente della consapevolezza di averlo
eliminato (giusto appunto il sopraggiunto immediato stato di corna). La reiterazione
e la gravità delle lesioni inferte erano state per vero tali da consentire all’agente di
rendersi fin da subito conto della possibile esizialità dei colpi inferti, tali, in altri

continuato a infierire sulla donna quando questa si trovava in stato di incoscienza e
l’aver ostacolato le operazioni di soccorso degli infermieri sono altresì indici, come
implicitamente fatto valere dal giudice di merito, di indifferenza per le sorti della
vittima in linea con l’animus necandi piuttosto che con la volontà di solo ledere.
4. — Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

per questi motivi
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 15 novembre 2013

Ilts
C 94…..,
igliere estensore

Il Presidente

termini, da non lasciare scampo alla propria vittima, così come poi accaduto. L’aver

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