Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37610 del 31/07/2018


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Penale Sent. Sez. F Num. 37610 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Ibra Dorian, nato il 03/08/1990 in Albania

avverso la sentenza del 12/06/2018 della Corte d’appello di Bologna
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Delia Cardia, che
ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito il difensore, avv. Nicola Giribaldi, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna ha disposto la consegna
di Ibra Dorian all’autorità giudiziaria della Repubblica di Romania per l’esecuzione della
pena di quattro anni di reclusione, inflittagli con la sentenza irrevocabile emessa dal
Tribunale di Cluji 1’11 ottobre 2016, per i reati di tratta di persone in forma continuata.
1.1. A sostegno della decisione, la Corte territoriale ha preliminarmente evidenziato
che, a seguito di convalida dell’arresto in esecuzione del M.A.E., Ibra è stato sottoposto
alla misura cautelare della custodia in carcere e che, nel corso dell’interrogatorio, il
predetto non ha dato il consenso alla consegna. Il Collegio distrettuale ha dunque rilevato
che sussistono i presupposti per la consegna atteso che: a) è integrato il requisito della
doppia incriminazione; b) sono stati osservati i termini di legge; c) la sentenza in relazione
alla quale si chiede la consegna prevede l’esecuzione di una pena superiore a dodici mesi;
d) non ricorrono i presupposti per un rinvio della consegna in attesa che siano conclusi i

Data Udienza: 31/07/2018

procedimenti penali cui il consegnando è sottoposto in Italia, trattandosi di procedimenti
per reati meno gravi di quelli per i quali egli è stato condannato in Romania ed ancora in
fase iniziale; e) alla luce delle informazioni trasmesse dal Capo Commissario dei
Penitenziari di Romania e delle precise indicazioni circa il luogo e le modalità di detenzione
dell’Ibra, non sussistono i presupposti per ritenere che egli sarà sottoposto ad un
trattamento inumano o degradante, considerate le dimensioni della cella nella prima fase
in regime “chiuso” e la possibilità di essere sottoposto a regime “semiaperto” dopo

2. Con il ricorso proposto con atto a firma del difensore di fiducia, Dorian Ibra chiede
l’annullamento della sentenza per i motivi di seguito sunteggiati ex art. 173 disp. att. cod.
proc. pen.:
2.1. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 18, lett. h),
legge 22 aprile 2005, n. 69, ed all’art. 6, par. 1, UE, per avere la Corte disposto la
consegna di Dorian Ibra sebbene l’Amministrazione penitenziaria nazionale romena non
abbia fornito elementi oggettivi ed attendibili circa le condizioni del carcere nel quale egli
sarà destinato a scontare la pena, risultando – ad ogni modo – la misura di 3 metri quadri
pro capite indicata dalle autorità romene in contrasto con i diritti fondamentali della
persona;
2.2. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 111, comma
sesto, Cost., per avere la Corte disposto la consegna sebbene la sentenza di condanna di
cui si domanda l’esecuzione sia priva di un’effettiva motivazione e violi, pertanto, i principi
del giusto processo codificati nel nostro sistema processuale e costituzionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato per l’infondatezza delle deduzioni mosse.

2. Non coglie nel segno il primo motivo con il quale il ricorrente ha eccepito la
violazione dell’art. 18, comma 1, lett. h), legge 22 aprile 2005, n. 69, rappresentando il
rischio concreto che, se sottoposto ad esecuzione della pena nelle carceri della Romania,
egli possa essere sottoposto ad un trattamento disumano e degradante.
2.1. In via preliminare, mette conto di rammentare che, come questa Corte ha
avuto modo di chiarire, l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte
dello Stato membro deve essere accertata sulla base di “elementi oggettivi, attendibili,
precisi e opportunamente aggiornati” sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato
membro emittente e comprovanti la presenza di carenze sia sistemiche o comunque
generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione,
riguardanti, in concreto, la persona oggetto del M.A.E., sicchè a tal fine può essere

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l’espiazione di un quinto della pena.

richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria (Sez. 6,
n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296). Proprio in relazione alla situazione delle
carceri della Romania, si è affermato che l’autorità giudiziaria deve rinviare la propria
decisione sulla consegna fino a quando, entro un termine ragionevole, non ottenga notizie
che le consentano di escludere la sussistenza del rischio. In particolare, “la Corte di
appello dovrà inoltrare all’autorità

giudiziaria rompna la

richiesta di informazioni

complementari, @i sensi dell’ari- 16 1 n 69 del 2005, aventi ad Qggetw le seguenti
informazioni; se la persona richiesta in consegna sarà detenuta presso una struttura

all’interessato, al fine di escludere in concreto il rischio di un trattamento contrario all’art.
3 CEDU (ovvero il nome della struttura in cui sarà detenuto, lo spazio individuale minimo
intramurario allo stesso riservato, le condizioni igieniche e di salubrità dell’alloggio; i
meccanismi nazionali o internazionali per il controllo delle condizioni effettive di
detenzione del consegnando). L’inoltro attraverso l’autorità centrale garantirà sia una
tendenziale omogenea trattazione dei casi simili, sia il presidio delle autorità politiche, cui
fa riferimento il considerando n. 10 sopra citato”. (v.

nella motivazione della citata

sentenza Barbu).
2.2. D’altra parte, questa Corte regolatrice ha avuto modo espressamente di
chiarire quali siano i requisiti minimi della cella a seconda se si tratti di detenzione in
regime “chiuso” ovvero “semi-aperto”. Al riguardo si è affermato che al consegnando è
necessario assicurare, in caso di regime c.d. “chiuso”, uno spazio minimo di tre metri
quadri, escluse le strutture sanitarie; in caso di regime c.d. “semiaperto”, uno spazio
inferiore ai tre metri quadri a condizione che concorrano le seguenti circostanze: 1) breve
durata della detenzione; 2) sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella con lo
svolgimento di adeguate attività; 3) dignitose condizioni carcerarie (Sez. 6, n. 53031 del
09/11/2017, P., Rv. 271577).
2.3. In applicazione dei principi sopra delineati, questa Corte ha ritenuto
insufficienti le informazioni fornite dalla Repubblica di Romania in merito alle condizioni
di detenzione del soggetto richiesto in consegna in un caso nel quale non era individuato
con certezza l’istituto di detenzione, né il relativo regime; con riferimento al regime
detentivo “semi-aperto”, non erano indicati con precisione gli orari per lo svolgimento
delle attività all’esterno delle celle; era indicato per tutti i regimi uno spazio minimo
individuale di due metri quadrati, comprensivi del letto e del mobilio; non era precisato il
periodo di detenzione da trascorrere in siffatto regime che, se di breve durata, secondo
quanto affermato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo nella causa
Mursic c. Croazia, poteva essere idoneo a compensare il deficit di spazio minimo
individuale (Sez. 6, n. 47891 del 11/10/2017, Enache, Rv. 271513).

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carceraria; in caso positivo, le condizioni di detenzione che saranno riservate

2.4. Sotto diverso aspetto, va rimarcato come il Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa, all’esito dell’incontro trimestrale dal 13 al 15 marzo 2018, dedicato alla
supervisione dell’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo da
parte degli Stati membri, pronunciandosi espressamente sul Piano di azione presentato
dalla Romania per la soluzione dei problemi strutturali del sistema carcerario, abbia
evidenziato il positivo impatto sul sovraffollamento delle nuove misure adottate dal Paese
e l’adozione del rimedio compensativo (con riduzione del periodo di detenzione) in caso
di sottoposizione a trattamento penitenziario non rispettoso dei diritti fondamentali della

di carcerazione – di effettuare una verifica il prossimo settembre.

3. Tanto premesso in linea generale, ritiene il Collegio che la decisione in verifica si
allinei perfettamente alle condivisibili regulae iuris espresse da questa Corte in materia.
3.1. La Corte d’appello ha, invero, richiesto alle competenti autorità romene di fornire
informazioni dettagliate ed individualizzate in ordine alla struttura detentiva ove il
ricorrente dovrà scontare la pena oggetto della richiesta di consegna.
Nella lettera inviata il 31 maggio 2018 in risposta a tale richiesta, il responsabile del
reparto esecuzioni penali del Tribunale di Cluj ha circostanziato le modalità di esecuzione
della pena nei confronti di Ibra, evidenziando come questi, dopo un primo periodo di
quarantena (21 giorni), sarà sottoposto ad esecuzione probabilmente presso il
penitenziario di Giugiu ove sarà assoggettato ad un regime “chiuso”, precisando le
dimensioni medie delle celle della struttura per tale regime (9,33 mq quelle da due
persone e 20,35 mq quelle da sei persone, oltre ai servizi igienici) e le condizioni igieniche
delle celle e dell’istituto. Il responsabile ha quindi aggiunto che, dopo avere scontato un
quinto della pena, Ibra sarà valutato al fine di verificare la praticabilità del regime
“semiaperto” presso il penitenziario di Bucarest Jilava, di cui ha descritto le condizioni
detentive ed igienico-sanitarie, precisando in tale caso che il detenuto avrà a disposizione
una cella di circa 2 metri quadri, ma “le porte delle stanze” saranno “aperte per tutta la
durata del giorno”, con possibilità per i detenuti di accedere ai cortili di passeggio e di
dedicarsi ad una serie di attività educative, culturali, sportive, sociali e ricreative.
3.2. Sulla scorta delle puntuali indicazioni fornite dall’Autorità richiedente (della cui
affidabilità non è dato di dubitare, in ossequio al reciproco affidamento e di collaborazione
fra Stati membri dell’Unione Europea), non sussistono dunque i presupposti per affermare
che Ibra sarà sottoposto a condizioni detentive inumane e degradanti. In relazione alla
prima fase in regime “chiuso”, egli condividerà la cella con altri detenuti, avendo a
disposizione uno spazio di gran lunga superiore a 3 metri quadri; in relazione alla fase
successiva in regime “semiaperto”, nonostante le più ridotte dimensioni della cella (circa
2 metri quadri), egli potrà, nondimeno, beneficiare di un’amplissima libertà di movimento
durante il giorno – rimanendo le porte delle celle sempre aperte -, con libero accesso alla
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persona, riservandosi – soprattutto quanto all’aspetto concernente le materiali condizioni

luce naturale ed all’aria, a compensazione della limitata superficie a sua disposizione in
via esclusiva.

4. E’ destituito di fondamento anche il secondo motivo di ricorso.
4.1. Giova rilevare come, nell’ambito dei rapporti di cooperazione giudiziaria fra gli
Stati appartenenti all’Unione europea fondati sul reciproco affidamento, la consegna in
esecuzione di un mandato d’arresto europeo possa essere denegata soltanto in presenza
di taluno dei motivi di rifiuto di cui all’art. 18 legge 22 aprile 2005, n. 69.

appunto quello di specie), vi sono quelle connesse all’essere stata la sentenza posta a
fondamento della richiesta resa all’esito di un processo discriminatorio e non equo.
Nondimeno, come chiaramente disposto dalla lettera g) del citato art. 18, detta non
equità si connette espressamente al fatto che il processo non sia stato “condotto nel

rispetto dei diritti minimi dell’accusato” previsti dall’art. 6 della Convenzione EDU e
dell’art. 2 del Protocollo n. 7 di detta convenzione. Vulnus ai “diritti minimi dell’accusato”
che certamente non può neanche prospettarsi in astratto in relazione al vizio
motivazionale denunciato dal ricorrente.
4.2. D’altra parte, non può sottacersi come la procedura di controllo prevista dal
sistema processuale delineato nella legge sul mandato di arresto europeo – prima dinanzi
alla Corte d’appello e, poi, dinanzi a questa Corte – sia specificamente volta alla verifica
delle condizioni per disporre la consegna della persona all’autorità giudiziaria del Paese
membro richiedente e come certamente non costituisca una sorta di impugnazione
“straordinaria” avverso la decisione resa dall’A.G. straniera, il che impedisce al ricorrente
di far valere eventuali vizi del processo celebrato all’estero e/o della decisione resa
all’esito di esso.

5. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.
A norma dell’art. 22, comma 5, legge 22 aprile 2005, n. 69, manda alla Cancelleria
per la trasmissione del provvedimento al Ministro di Giustizia.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge 22 aprile
2005, n. 69.
Così deciso in Roma il 31 luglio 2018

Fra le cause che possono venire in rilievo nell’ipotesi di M.A.E. c.d. esecutivo (quale

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