Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37602 del 13/07/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 37602 Anno 2018
Presidente: DE AMICIS GAETANO
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino

nei confronti di:
Ilacqua Domenico, nato a Seminara il 09/09/1957
Ilacqua Francesco, nato a Chivasso il 11/08/1978
l’acqua Luciano, nato a Chivasso il 27/09/1987
Gioffré Francesco, nato a Taurianova il 02/11/1982
Gioffré Domenico, nato a Taurianova il 10/05/1986
Mirai Giovanni, nato a Torino il 27/09/1976

avverso l’ordinanza del 13/03/2018 del Tribunale di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;

Data Udienza: 13/07/2018

uditi, per gli indagati Ilacqua Domenico, Ilacqua, Francesco e l’acqua Luciano,
l’avvocato Luigi Tartaglino, e, per gli indagati Gioffré Francesco, Gioffré
Domenico e Giovanni Mirai, l’avvocato Antonino Napoli.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 13 marzo 2018, il Tribunale di Torino,
pronunciando a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di

insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza il provvedimento impositivo della
custodia cautelare in carcere adottato dal G.i.p. del Tribunale di Torino nei
confronti di Domenico l’acqua, Francesco Ilacqua, Luciano Ilacqua, Francesco
Gioffré, Domenico Gioffré e Giovanni Mirai con riferimento al reato di
partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso, di cui al capo 1
della rubrica, e nei confronti di Francesco Gioffré, Domenico Gioffré e Giovanni
Mirai con riferimento al reato di estorsione aggravata di cui al capo 23.
Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso di cui al capo 1 è
contestato ipotizzando l’esistenza di un sodalizio riconducibile alla ‘ndrangheta
operante nel territorio di Settimo Torinese, Chivasso, Leinì e zone limitrofe a
partire dal 2012 e tuttora perdurante, con collegamenti in Calabria, diretto da
Francesco Gioffré e da Antonio Guerra. Il reato di estorsione aggravata dal
metodo mafioso di cui al capo 23 è contestato in relazione alla richiesta
presentata ad Emanuel Perotti, e da questi accolta perché reiterata con
insistenza e toni accesi, di ritirare un’autovettura precedentemente venduta a
Domenico Gioffré al prezzo di 2.000,00 euro, e di cedere in cambio a
quest’ultimo due vetture, per un valore complessivo pari a 2.500,00 euro, oltre
che di accollarsi le relative spese di voltura, con condotte realizzate tra il 15 ed il
23 gennaio 2013.
La decisione del Tribunale di Torino del 13 marzo 2018, che ha escluso la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alle ipotesi contestate,
ritenendo anche, ed espressamente, non configurabile nemmeno il reato di
associazione per delinquere “semplice” in relazione all’imputazione di cui al capo
1, segue a quattro sentenze della Corte di cassazione (Sez. 2, n. 8079 del
17/01/2018, Sez. 2, n. 8080 del 17/01/2018, Sez. 2, n. 8081 del 17/01/2018 e
Sez. 2, n. 8082 del 17/01/2018) le quali hanno annullato con rinvio la
precedente decisione del Tribunale del riesame di Torino del 12 giugno 2017.
Questa decisione aveva anch’essa escluso, per quanto interessa in questa sede,
la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati al capo
1 e al capo 23. Le decisioni di annullamento della Corte di cassazione sono state
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cassazione, per quanto di interesse in questa sede, ha annullato per

pronunciate in ragione del rilievo di «numerosi profili di evidente illogicità e
contraddittorietà, adeguatamente evidenziati dal PM ricorrente» (così
testualmente Sez. 2, n. 8079 del 17/01/2018). La Corte di legittimità, in
particolare, per quanto riguarda il reato associativo, ha evidenziato che il giudice
del riesame aveva operato una «valutazione atomistica e frammentaria del
quadro indiziario», compiuta «dando per provate una gran parte delle
circostanze di fatto poste a fondamento dell’addebito, ma omettendo di verificare
la significatività del complesso delle vicende e l’assenza di logicità delle pur
condivise ricostruzioni di alcuni dei fatti di sangue (che anche il TDL sembra

riconnettere tutti a mandato di Ilacqua Pietro) ove estrapolate dalla cornice
unificante del vincolo associativo» (così ancora Sez. 2, n. 8079 del 17/01/2018).

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in
epigrafe il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, formulando
un unico articolato motivo, con il quale si denuncia vizio di motivazione, a norma
dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha
escluso la configurabilità e sussistenza dei reati di: a) partecipazione ad
associazione di tipo mafioso nei confronti di Domenico Ilacqua, Francesco
Ilacqua, Luciano Ilacqua, Francesco Gioffré, Domenico Gioffré e Giovanni Mirai,
contestato al capo 1 della rubrica; b) estorsione aggravata dal metodo mafioso
nei confronti di Francesco Gioffré, Domenico Gioffré e Giovanni Mirai, contestato
al capo 23 della rubrica.
Si deduce, in linea generale, che il Collegio di rinvio non ha «colmato le
lacune evidenziate dalla Suprema Corte, limitandosi in alcuni casi alla ripetizione
tautologica di un concetto già espresso, in altri giungendo ad una motivazione
contraddittoria o addirittura apparente, ferma restando la parcellizzazione della
valutazione indiziaria.».
2.1. Per quanto attiene alla parte dell’ordinanza relativa al capo 1, le
censure riguardano il significato attribuito ai singoli episodi e la loro lettura
complessiva.
Si contesta, innanzitutto, che la decisione impugnata riporta, per poi
svalutarli immotivatamente, elementi relativi ai legami familiari degli indagati
con persone coinvolte da molti decenni in vicende e persino in faide di
‘ndrangheta, ad atteggiamenti “folkloristici” (come il dono, effettuato nell’aprile
2013 da Francesco Gioffré ad Antonio Guerra di una icona della Madonna di
Polsi), alla tendenza ad agire con prepotenza e violenza per imporsi sugli altri, a
ripetute accuse di “mafiosità” nei confronti di Antonio Guerra da parte della exmoglie Jessica Silvestri, formulate in sms, all’esistenza di forti infiltrazioni
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mafiose nella zona di riferimento, ad un “omaggio” di una bottiglia di vino in
favore di Antonio Guerra, prospettato, tramite Domenico l’acqua, da tale
Giuseppe Pasqua, appartenente, secondo gli inquirenti, ad una famiglia indicata
come mafiosa in relazioni della Commissione parlamentare antimafia. Si critica,
inoltre, l’interpretazione atecnica del termine “bastarda”, in gergo malavitoso
utilizzato per indicare un gruppo parallelo di ‘ndrangheta non formalmente
riconosciuto dal cd. “Crimine di Polsi”, già espressamente censurata dalla Corte
di cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio: si rileva, in proposito,
che la parola “bastarda” è stata pronunciata, con riferimento agli Ilacqua, da tale

Volpe allorché aveva riferito a Valentino Amantea, soggetto gravato di precedenti
per armi ed usura, del colloquio di Gino Daponte, soggetto intraneo alla
‘ndrangheta di Sambiase, con Francesco Ilacqua classe 1985, non indagato e
figlio dell’indagato Domenico Ilacqua, effettuato su richiesta del predetto
Amantea, precedentemente ferito in un agguato, al fine di evitare spirali di
vendetta tra quest’ultimo e gli Ilacqua. Si contesta, poi, la svalutazione
dell’intimidazione posta in essere da Antonio Guerra nei confronti dei fratelli
Cusanno per imporre a questi ultimi l’uso, nei locali del bar Corea, delle
macchine da gioco di Luciano Ilacqua, ritenuta una vicenda isolata e da
“circoscrivere” nella sua portata, in quanto i Cusanno non hanno riferito di alcun
comportamento minaccioso di l’acqua, ma solo di insistenti richieste di Giovanni
Mirai e di Antonio Guerra, nonché dell’esibizione di una pistola da parte di
quest’ultimo. Si critica, ancora, la svalutazione della vicenda relativa alla
assunzione, presso un bar gestito da Antonio Piperato, di Norma Guerra, che si
assume collegata alla capacità intimidatoria del gruppo, e che ha condotto,
all’esito di nuova escussione da parte del P.M. in data 17 ottobre 2017,
all’iscrizione della vittima della condotta estorsiva, il predetto Piperato, nel
registro degli indagati per i reati di calunnia e di false informazioni al pubblico
ministero, per le dichiarazioni nelle quali il medesimo ha sminuito il significato
delle “richieste” ricevute da Luciano Ilacqua ed Antonio Guerra, quest’ultimo
presentatogli «come se fosse un figlio» da Pietro Ilacqua, poi deceduto, e che,
oltre ad essere il padre di Luciano Ilacqua, gli aveva anche presentato Domenico
e Francesco Gioffré, specificandogli che gli stessi «per lui erano come nipoti»; si
rileva, in particolare, che proprio la ritrattazione effettuata da Piperato
nell’escussione del 17 ottobre 2017, in quanto fortemente inverosimile, e
compiuta dopo l’esecuzione dell’ordinanza cautelare emessa dal G.i.p, conferma
lo stato di intimidazione. Si contesta, quindi, la svalutazione dell’episodio
dell’incendio della sala giochi “The Game” di Fabio Petrosso, finalizzata ad
eliminare un concorrente economico dei Gioffré, sebbene il Tribunale del riesame
abbia ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di Francesco
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Gioffré anche in riferimento all’aggravante del metodo mafioso, e sebbene il fatto
costituisca il seguito di un precedente “avvertimento” compiuto da Antonio
Guerra al precisato Petrosso. Si critica, infine, che la condotte violente, realizzate
in danno di Cozza, Autovip, Laterza, Ramaca, Occhipinti, tutti operanti nel
settore economico della vendita delle auto e dei servizi connessi, ivi compresi
quelli di autolavaggio, siano state considerate azioni «spesso immediate» frutto
di ritorsione, senza considerare che tali comportamenti hanno determinato
un’alterazione della concorrenza in una zona economica estesa a più comuni del

sussistenza dell’aggravante concernente l’utilizzo del metodo mafioso.
Sempre con riferimento alla decisione concernente il capo 1, si censura
l’affermazione concernente l’impossibilità di valutare gli atti di altro
procedimento, e, in particolare, le dichiarazioni di Enrico Lazzaro, detenuto in
regime domiciliare per reati concernenti gli stupefacenti, e controllato con tale
Antonio Agresta, condannato in via definitiva per il reato di partecipazione ad
associazione di tipo mafioso: queste dichiarazioni, tra l’altro, descriverebbero
l’agire coordinato di Antonio Guerra e Francesco Gioffré, indicandole come
persone pericolose.
Ancora con riferimento al capo 1, si contesta l’esclusione della sussistenza
anche di un’associazione per delinquere “semplice”, in quanto il Tribunale ha
svalutato l’esistenza dei legami parentali e la realizzazione di numerosi delitti con
l’uso di armi in modo apodittico, procedendo ad una indicazione meramente
numerica dei reati in concorso, e, quindi, ad una valutazione meramente
frammentaria ed atomistica degli stessi. Si segnala, precisamente, che il giudice
del riesame, senza esaminare il filo conduttore dei diversi episodi, si limita a
rappresentare che: -) ad Antonio Guerra e Francesco Gioffré sono riferibili in
concorso quattro vicende delittuose nell’arco di un anno dal giugno 2012 al
maggio 2013 (capi 3, 13 e 14, 17, 21 e 22, e 25); -) a Francesco Gioffré e
Domenico Gioffré sono riferibili in concorso cinque vicende delittuose nell’arco di
un anno e mezzo (capi 2, 9 e 10, 11 e 12, 18, 19 e 20, e 30); -) ad Antonio
Guerra, Giovanni Mirai, Francesco Gioffré e Domenico Gioffré è riferibile in
concorso un’unica vicenda delittuosa (capo 23) in relazione alla quale però è
stata esclusa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza; -) ad Antonio Guerra,
Domenico Ilacqua, Luciano Ilacqua e Francesco Ilacqua è riferibile in concorso
un’unica vicenda delittuosa (capo 31); -) ad Antonio Guerra e Luciano Ilacqua è
riferibile in concorso un’ulteriore vicenda delittuosa (capo 26) in relazione alla
quale però è stata esclusa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza; -) a
Francesco Ilacqua, Francesco Gioffré e Domenico Gioffré è riferibile in concorso i
un’unica vicenda delittuosa (capo 2).
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Piemonte, e con una valutazione in evidente contrasto con l’ammessa

2.2. Per quanto attiene alla decisione relativa al capo 23, avente ad oggetto
l’estorsione in danno di Emanuel Perotti, e consistita nel costringere il medesimo
a ricevere in restituzione un’autovettura precedentemente venduta a Domenico
Gioffré al prezzo di 2.000,00 euro, ed a cedere in cambio a quest’ultimo due
vetture, per un valore complessivo pari a 2.500,00 euro, nonché ad accollarsi le
relative spese di voltura, le censure contestano come sia stata ribadita la stessa
ricostruzione già ritenuta illogica dalla sentenza di annullamento con rinvio della
Corte di cassazione.

dubbi in ordine all’avvenuto pagamento delle spese di voltura degli autoveicoli da
parte della vittima, al valore economico degli stessi ed alla effettività
dell’intimidazione subita dalla vittima. Si sottolinea, in particolare, che il
Tribunale avrebbe ritenuto, senza espressa argomentazione, che lo stato di
intimidazione non è inferibile con certezza né dalle parole intercettate tra
Giovanni Mirai e Domenico Gioffré, sebbene si sia detto «si è cagato addosso»,
né dalla presentazione presso l’esercizio del rivenditore di auto di più persone
riunite, pur essendo il rapporto contrattuale intercorrente tra Perotti ed il solo
Domenico Gioffré.

3. In data 11 luglio 2018, ha presentato memoria, nell’interesse di
Francesco Gioffré e di Domenico Gioffré, l’avvocato Antonino Napoli.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le censure proposte sono complessivamente infondate per le ragioni di
seguito precisate.

2. Per quanto concerne il reato di partecipazione ad associazione per
delinquere di tipo mafioso, l’ordinanza impugnata perviene ad escludere la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza all’esito di una complessiva
rivalutazione dell’intero materiale investigativo che, per quanto opinabile, non
risulta né manifestamente illogica, né contraddittoria, né mancante.
2.1. Gli elementi richiamati nel ricorso del Pubblico ministero a sostegno
dell’ipotesi accusatoria, e a riprova dei vizi logici in cui sarebbe incorso il
Tribunale in sede di rinvio, riguardano: a) atteggiamenti e rituali di tipo
‘ndranghetistico assunti dagli indagati, e, in particolare, da Antonio Guerra e
Francesco Gioffré; b) il ricorso al termine «bastarda», normalmente evocativo di
un gruppo criminale autonomo ma assimilabile alla ‘ndrangheta, impiegato da un
soggetto intraneo ad ambienti di ‘ndrangheta, con riferimento agli Ilacqua; c)
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Si rappresenta, innanzitutto, che sono stati riproposti apoditticamente i

l’attività di intimidazione svolta da Antonio Guerra nei confronti dei Cusanno,
gestori del bar Corea, per imporre l’uso, nei locali di tale luogo di ritrovo, delle
macchine da gioco di Luciano Ilacqua; d) l’attività di intimidazione compiuta da
Antonio Guerra e Luciano Ilacqua nei confronti di Antonio Piperato, gestore di un
altro bar, per ottenere l’assunzione di Norma Guerra, sorella di Antonio, e
l’atteggiamento omertoso di quest’ultimo allorché è stato sentito dopo
l’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare nel presente procedimento; e)
l’incendio della sala giochi gestita da Fabio Petrosso, cagionato da Francesco

precedente “avvertimento” effettuato alla vittima da Antonio Guerra; f) le
plurime condotte violente nei confronti di diversi soggetti operanti nel settore
economico della vendita delle auto e dei servizi connessi; g) le dichiarazioni di
Enrico Lazzaro in ordine alla collaborazione tra Antonio Guerra e Domenico
Gioffré, entrambi indicati come persone pericolose; h) i numerosi reati commessi
in concorso tra gli indagati che si ritengono parte del sodalizio illecito.
2.2. La rivalutazione compiuta dal Tribunale non disconosce l’esistenza degli
elementi acquisiti e la loro potenziale significatività, ma esclude che da questi
possa desumersi l’esistenza di una struttura di tipo mafioso, o anche solo
semplice, della quale gli stessi facciano parte.
In particolare, per quanto concerne l’assunzione di atteggiamenti e rituali di
tipo ‘ndranghetistico da parte degli indagati, si rileva che tali circostanze possono
costituire il substrato che agevola la costituzione di un’associazione di tipo
mafioso, ma non implicano la prova che un’associazione sia stata costituita.
Con riferimento al termine «bastarda», impiegata in un colloquio oggetto di
intercettazione tra presenti relativamente agli Ilacqua, si osserva che la parola
impiegata, nel caso concreto, non implica alcun inquadramento degli indagati in
un sodalizio di tipo mafioso, perché dal contesto del discorso captato emerge
come i conversanti, nonostante esplicite “ricerche”, non siano riusciti ad ottenere
alcuna notizia utile ad individuare e qualificare i predetti Ilacqua come soggetti
inseriti in contesti criminali organizzati.
In relazione all’intimidazione di Antonio Guerra nei confronti dei Cusanno, si
rileva come vi sia un preciso elemento che esclude l’esistenza di un gruppo del
quale facciano parte sia gli Ilacqua, sia i Gioffré. Segnatamente, infatti, si
rappresenta che Francesco Gioffré, parlando con Giovanni Marai, legato ad
Antonio Guerra, dopo essere stato informato dell’attività da questi svolta per
imporre ai Cusanno l’uso delle macchine da gioco di Luciano Ilacqua, manifesta
stupore per il loro l’intervento dicendo: «ma ancora gli andate a fare le cose per
questi voi?».

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Gioffré al fine di eliminare un “concorrente” nell’attività economica, dopo un

Con riguardo all’intimidazione in danno di Antonio Piperato, si segnala che
non vi è certezza di tale circostanza, perché l’unico elemento di prova valutabile
a tal fine è costituito esclusivamente dalle dichiarazioni del medesimo Piperato,
e, però, le stesse sono scarsamente affidabili e non consentono di ricostruire una
situazione di assoggettamento e di omertà.
Relativamente all’incendio in danno di Petrosso, si evidenzia come proprio le
parole pronunciate nel corso di una conversazione intercettata escludano un
rapporto tra i ritenuti responsabili, i Gioffré, e la ‘ndrangheta. Si sottolinea,
precisamente, come tale Bommaci, proprietario dell’immobile nel quale era

ubicato l’esercizio di Petrosso, abbia detto a quest’ultimo che l’azione era
riferibile a degli «scalmanati» che non ascoltano i «grandi», per poi concludere:
«la definizione di “scalmanati” che non ascoltano i “grati” pare non compatibile
con la fisionomia di una organizzazione criminale, quale necessariamente è
quella prefigurata dall’art. 416 bis c.p.».
Per quanto attiene alle varie condotte violente in danno di diversi operatori
del settore economico della vendita delle auto e dei servizi connessi, ed alla
commissione di più reati commessi in concorso tra gli indagati, si rileva che la
maggior parte degli episodi costituisce il frutto di iniziative di ritorsione e di
impulso contro presunte truffe, torti o insulti, che le vicende «rimangono entro
limiti circoscritti», che alcune vittime non hanno esitato a denunciare o
comunque non sono apparse intimidite, e che, comunque, in linea generale, non
risulta ravvisabile un’azione coordinata di tutti gli indagati. Si segnala, in
particolare, che dopo i fatti di sangue del 2012, e la morte di Pietro l’acqua, non
emerge più alcun rapporto tra gli Ilacqua e i Gioffré, ed è solo Antonio Guerra
che commette delitti ora a favore dei primi, ora a favore dei secondi.
Avendo riguardo alle dichiarazioni di Enrico Lazzaro in ordine alla
collaborazione tra Antonio Guerra e Domenico Gioffré, si afferma che le stesse

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quand’anche possano essere ritenute utilizzabili, non sono concretamente
valutabili perché «la loro rilevanza non è separabile dalla valutazione degli atti
del procedimento di Ivrea e in particolare delle intercettazioni ambientali in essa
effettuate», e comunque confermano la estraneità degli Ilacqua alle azioni
criminali dei Gioffré.
All’esito di questa disamina, l’ordinanza impugnata osserva conclusivamente
che dal complesso degli elementi acquisiti emerge «la disponibilità degli indagati
in virtù dei loro legami familiari e personali a prestarsi all’occorrenza a dare
manforte agli altri quando necessario sulla base di determinazioni spesso
immediate, ma non l’esistenza di una organizzazione e di un programma comune
agli appartenenti come anche della consapevolezza di far parte di un sodalizio
durevole.».
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(

2.3. Il discorso giustificativo esposto dal Tribunale, come si è già indicato, è
immune da vizi logici.
2.3.1. La motivazione, innanzitutto, non è lacunosa.
L’ordinanza, infatti, affronta tutti i temi di approfondimento indicati dalla
sentenza di annullamento con rinvio ed opera un apprezzamento di tutti i profili
censurati nel ricorso del Pubblico ministero, offrendo una valutazione
argomentata del significato che ritiene di attribuire agli stessi.
2.3.2. La motivazione, poi, non è manifestamente illogica.
In particolare, le conclusioni sull’inesistenza di una struttura associativa

appaiono coerenti con quanto emerge in riferimento a date ed autori dei reati
fine.
Invero, risultano attribuibili: I) a Francesco l’acqua, Franceso Gioffré e
Domenico Gioffré, in concorso tra loro, esclusivamente il tentato omicidio di
Giovanni Ponente, commesso il 18 giugno 2012, di cui al capo 2; II) ad Antonio
Guerra, Domenico Ilacqua, Luciano Ilacqua e Francesco Ilacqua, in concorso tra
loro, esclusivamente il fatto di acquisto e detenzione di 1.600 kg. di artifici
pirotecnici, commesso il 2 dicembre 2014, nonché ai soli Antonio Guerra e a
Luciano Ilacqua, in concorso tra loro, l’estorsione in danno di Antonio Piperato,
per fargli assumere Norma Guerra, sorella di Antonio, collocabile nel settembre
2014, ed in relazione alla quale è stata esclusa la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza; III) ad Antonio Guerra e Francesco Gioffré in concorso tra loro: a)
il tentato omicidio in danno di Salvatore Di Maio, commesso il 27 giugno 2012, di
cui al capo 3; b) i fatti di estorsione e lesioni in danno di Simone Occhipinti,
costretto a riacquistare una autovettura in precedenza ceduta per euro 4.100,00,
e pagare le spese di nuova voltura, commessi il 14 novembre 2012, di cui ai capi
21 e 22; c) il danneggiamento mediante l’esplosione di colpi di pistola in danno
dell’autoconcessionaria La Nuova Terza s.r.I., commesso il 30 marzo 2013, di cui
ai capi 13 e 14; d) la detenzione ed il porto di due pistole comuni da sparo, poi
usate da Antonio Guerra contro l’esercizio commerciale di Elio Tavaglione,
commessi in data 1 ottobre 2013, di cui al capo 17; e) le lesioni personali inferte
a Gerardo Rinaldi, commesse il 24 maggio 2013, di cui al capo 25; IV) ad
Antonio Guerra, Giovanni Mirai, Francesco Gioffré e Domenico Gioffré, in
concorso tra loro, l’estorsione in danno di Emanuel Perotti, commessa il 23
gennaio 2013, di cui al capo 23, ed in relazione alla quale è stata esclusa la
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ed è pendente il ricorso per
cassazione; V) a Francesco Gioffré e Domenico Gioffré in concorso tra loro: a) il
danneggiamento mediante l’esplosione di colpi di pistola in danno del ristorante
Bellastoria, commesso il 10 gennaio 2012, di cui ai capi 9 e 10; b) il
danneggiamento mediante l’esplosione di colpi di pistola in danno della
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carrozzeria RA.MA .Ca., commesso il 13 gennaio 2012, di cui ai capi 11 e 12; c) il
tentato omicidio in danno di Giovanni Ponente, commesso il 18 giugno 2012, di
cui al capo 2; d) l’incendio e l’estorsione in danno della “NissanAuto”, facente
capo ad “Autovip di Giuseppe Catalano”, per ottenere la gestione del servizio di
pulitura delle auto per una società da loro controllata, previa revoca dell’incarico
a “Car Wash di Ivan Cozza”, commessi il 10 ottobre 2013, e l’estorsione in danno
di Ivan Cozza avente ad oggetto la rinuncia ad accettare incarichi di pulitura di
auto provenienti da AUtovip, commesso tra 1’8 ed il 15 ottobre 2013, di cui ai

dicembre 2013 e 11 gennaio 2014, di cui al capo 30.
Ponendo a raffronto date ed autori dei reati in contestazione, in effetti,
emerge l’assenza, sotto il profilo oggettivo, di un’azione unitaria riferibile a tutti
gli indagati e, piuttosto, la accettabilità della conclusione del Tribunale,
concernente la disponibilità di Antonio Guerra a commettere reati ora
nell’interesse degli Ilacqua, ora nell’interesse dei Gioffré, e, però,
contestualmente l’assoluta autonomia di azione di questi due gruppi familiari.
In linea con questo dato, anzi, appare corretta, come ulteriore indicazione
dell’agire “atomistico” dei vari soggetti, anche la valorizzazione dell’affermazione
di Francesco Gioffré, che, parlando con Giovanni Marai, legato ad Antonio
Guerra, dopo essere stato informato dell’attività da questi svolta per imporre
l’uso delle macchine da gioco di Luciano Ilacqua nel bar gestito dai Cusanno,
esclama: «ma ancora gli andate a fare le cose per questi voi?».
2.3.3. La motivazione, infine, non è contraddittoria.
Precisamente, l’affermazione della sussistenza dell’aggravante di cui all’art.
7 d.l. n. 152 del 1991 (ora art. 416-bis.1 cod. pen.) per alcuni dei reati fine in
contestazione non è logicamente incompatibile con l’esclusione dell’operatività di
un’associazione di tipo mafioso alla quale appartengano gli indagati.
Ed infatti, come correttamente evidenzia il Tribunale, l’aggravante in
questione presuppone un agire caratterizzato dalla metodologia mafiosa, ma non
anche l’esistenza di un’associazione per delinquere di riferimento.

3. Anche per quanto concerne il reato di estorsione di cui al capo 23,
l’ordinanza impugnata perviene ad escludere la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza all’esito di una complessiva rivalutazione dell’intero materiale
investigativo che, per quanto opinabile, non risulta né manifestamente illogica,
né contraddittoria, né mancante.
3.1. Il ricorso del Pubblico ministero, a riprova dei vizi logici in cui sarebbe
incorso il Tribunale in sede di rinvio, rappresenta che l’ordinanza impugnata ha
riproposto i dubbi già censurati in ordine all’esistenza di un danno per Emanuel
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capi 18, 19 e 20; e) la detenzione illegale di due pistole, accertata tra il 31

Perotti ed alla effettività dell’intimidazione subita dallo stesso, e non ha spiegato
perché deve escludersi tale situazione, a fronte di specifici elementi, quali quelli
desumibili dai commenti tra Giovanni Mirai e Domenico Gioffré, e dalla
presentazione presso l’esercizio di rivendita di auto della vittima di più persone
riunite, alcune delle quali estranee al rapporto commerciale.
3.2. L’ordinanza impugnata, alla luce di un analitico esame delle fonti di
prova, ha escluso sia l’esistenza di una netta sperequazione tra i valori economici
da confrontare, sia l’effettività dell’intimidazione.

richiesta presentata ad Emanuel Perotti, e da questi accolta perché reiterata con
insistenza e toni accesi, di ritirare un’autovettura precedentemente venduta a
Domenico Gioffré al prezzo di 2.000,00 euro, e di cedere in cambio a
quest’ultimo due vetture, per un valore complessivo pari a 2.500,00 euro, oltre
che di accollarsi le relative spese di voltura.
Il Tribunale osserva che: a) le spese per le minivolture erano comunque
modeste, al di là dell’incertezza su chi le abbia sostenute; b) l’intervento
intimidatorio di Francesco Gioffré non aveva immediatamente risolto la questione
insorta tra Manuel Perotti e Domenico Gioffré, perché la soluzione era stata
raggiunta solo dopo il decorso di almeno altri sei giorni; c) la transazione non era
statR conclusa come voleva Francesco Gioffré, con la restituzione dei soldi, ma
con la consegna di altre due vetture; d) Perotti ha dichiarato di aver stipulato la
transazione perché voleva chiudere una vicenda che gli aveva fatto perdere
tempo e denaro.
3.3. Anche in riferimento a questo capo di accusa, il discorso giustificativo
esposto dal Tribunale, come si è indicato, è immune da vizi logici.
Innanzitutto non risultano lacune motivazionali, perché l’ordinanza esamina
analiticamente tutti gli elementi di prova rilevanti.
Non vi sono, poi, manifeste illogicità, perché, muovendo dalla premessa non
contestata dell’effettiva esistenza di una controversia da risolvere, il Tribunale
esclude che sia ravvisabile il conseguimento di un ingiusto profitto come risultato
di una condotta minatoria all’esito di una non irragionevole disamina dei valori
economici in gioco, degli obiettivi che si proponevano le parti prima di addivenire
alla soluzione, dello svolgimento delle “trattative”, e dei risultati raggiunti.
Non emergono, infine, contraddittorietà interne alla motivazione, peraltro
nemmeno specificamente dedotte.

4. All’infondatezza delle censure proposte, segue il rigetto del ricorso.
Peraltro, il rigetto del ricorso non determina la condanna alle spese della
parte ricorrente, posto che l’art. 616 cod. proc. pen. prevede questa
11

Invero, secondo la contestazione, l’estorsione sarebbe consistita nella

conseguenza solo se l’impugnazione respinta è stata proposta da una parte
privata, mentre, nella specie, ricorrente è il Pubblico ministero.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in data 13 luglio 2018

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