Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3760 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3760 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COLINI MARIO N. IL 14/09/1956
ACAMPORA CIRO N. IL 02/06/1981
avverso la sentenza n. 6526/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
11/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
LJi C.,
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

A

cc„,

Data Udienza: 07/11/2013

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con sentenza del 7 maggio 2010 il Tribunale di Napoli ha
giudicato numerosissimi imputati di plurime condotte criminose
accertate in seguito a complesse indagini di criminalità organizzata
che avevano portato alla denuncia di sodali di clan contrapposti,
quelli Birra-Iacomino ed Ascione-Montella, in conflitto tra loro per
il controllo malavitoso del territorio di Ercolano; le accuse
contestate fanno riferimento ai reati associativi di cui agli artt. 416bis c.p. ed 74 dpr, 309/1990, ad estorsioni ed a traffici di sostanze
stupefacenti.
All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale, valutando il
materiale probatorio acquisito al processo, le dichiarazioni di
numerosi collaboratori di giustizia, intercettazioni telefoniche ed
ambientali, le attività di P.G. sul territorio, sentenze passate in
giudicato relative ai due clan rivali, pronunciava numerose
pronunce assolutorie, tra le quali, per quanto di interesse nel
presente giudizio di legittimità, quelle degli imputati Colini Mario
ed Acampora Ciro, ed ancora più diffuse condanne.
A favore di Colini Mario, in particolare, imputato dell’associazione
per delinquere di stampo mafioso denominata Birra-Iacomino, capo
A) della rubrica, il Tribunale riteneva non acquisito un adeguato
quadro probatorio di accusa giacchè, pur considerando la condanna
subita dal medesimo, unitamente a Ruggiero e Stavolo, per tentata
estorsione, non potevano ritenersi significative, ai fini del giudizio,
le accertate sue frequentazioni con altri coimputati, sia perché
limitate queste ai soli Ruggiero, Stavolo e Borrelli, sia per il loro
numero comunque non frequente.
A favore invece di Acampora Ciro, imputato dell’associazione per
delinquere di stampo mafioso denominata Ascione-Montella con il
compito di reperire e detenere armi per conto del gruppo, condotta
contestata temporalmente dall’ottobre 2006 al 17.2.2007, capo Q)
della rubrica, il tribunale evidenziava invece il contenuto periodo
della contestazione e la mancanza di apprezzabili supporti probatori
riferibili a tale periodo.
2. Avverso dette assoluzioni proponeva impugnazione il
rappresentante della pubblica accusa e la Corte di appello di Napoli,
con sentenza del giorno 11 gennaio 2012, in radicale riforma sul
punto della decisione di prime cure, condannava Colini Mario alla
pena di anni tre e mesi nove di reclusione ed euro 900,00 di multa,
i

portata in continuazione con altra precedente sentenza di condanna,
ed Acampora Ciro alla pena di anni sette di reclusione.
2.1 A sostegno del giudizio di colpevolezza la corte distrettuale
osservava a carico di Colini Mario: significativa appare la
condanna per tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 1.
203/1991 commessa ai danni della concessionaria auto Filosa
unitamente a Stavolo Ciro e Ruggiero Francesco, il primo già
condannato per appartenenza al clan Birra-Iacomino ed il secondo
condannato nel presente processo per la medesima appartenenza; in
più in numerose circostanze l’imputato è stato controllato insieme
ai predetti Ruggiero e Stavolo ed insieme a tale Borrelli; non può
essere riconosciuta rilevanza eccessiva al dato, viceversa
enfatizzato nella sentenza assolutoria di prime cure, che tali
controlli risultino numericamente inferiori a quelli di altri
coimputati, sia perché la consumazione della tentata estorsione in
un contesto sicuramente mafioso è di per sé significativa
dell’appartenenza associativa, sia perché l’imputato ha riacquistato
la libertà, dopo una lunghissima carcerazione, soltanto nel 2007 e
questo giustifica la minore frequenza di incontri rispetto ad altri; di
per sé significativo deve essere comunque riconosciuto il controllo
dell’imputato a bordo dell’auto blindata intestata a Ruggiero
Francesco, utilizzata dal clan nei momenti di particolare importanza
criminale, presenza alla quale l’imputato non ha dato
giustificazione alcuna; nel corso della rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale il quadro probatorio a carico del Colini si è
ulteriormente arricchito con le dichiarazioni collaborative di Savino
Giuseppe, Giovanni e Ciro; il primo ha chiamato in causa
l’imputato indicandolo tra i presenti al momento di decidere, nel
quartier generale del clan, l’omicidio di Antonio Papale ed ha
inoltre affermato che il Colini, dalla originaria adesione al clan
Ascione, sarebbe poi transitato a quello dei Birra in seguito alla
comune carcerazione con Birra Giovanni; di qui la precisione del
racconto, l’assenza di motivazioni di contrasto del collaborante col
Colini, l’affidabilità complessiva della fonte; Savino Ciro ha riferito
di un episodio di tentata estorsione ai danni di un imprenditore
edile, risalente al 2001-2002, nel quale era coinvolto l’imputato;
Savino Giovanni ha invece riferito che l’imputato appartiene al clan
Birra e che è stato coinvolto in una tentata estorsione ai danni di
una concessionaria (per questo vi è stata condanna definitiva); non
hanno pregio i rilievi difensivi in ordine all’utilizzo dei verbali delle
dichiarazioni collaborative acquisiti agli atti perché, nonostante gli
omissis introdotti dal P.M., essi sono pienamente utilizzabili; va
rilevato che la difesa ha prestato consenso all’acquisizione dei
verbali medesimi rinunciando all’esame dei collaboratori.
2

2.2 A sostegno invece del giudizio di colpevolezza a carico di
Acampora Ciro la corte distrettuale argomentava: decisivi sono, ai
fini della decisione, gli elementi a carico dell’imputato successivi al
periodo sino al 15.7.2003, coperto da giudicato assolutorio; in tale
contesto significative appaiono le intercettazioni del 29.7.2003,
ambientale, e del 6.8.2003, telefonica, in cui Montella e Ianuale
parlano dell’intenzione dell’Acampora, definito “compagno mio”, e
della madre di “collaborare” e della circostanza che appariva utile
pagare le spese processuali del predetto per favorire eventuali
ritrattazioni; il collaboratore Scudo Fausto, interno al gruppo, lo ha
indicato come inserito nel clan e spacciatore a via Belvedere;
Scudo, esaminato in sede di rinnovazione dibattimentale, ha
confermato l’appartenenza dell’imputato al sodalizio, l’attività di
spaccio svolta insieme e l’impegno del prevenuto anche in
estorsioni; anche il collaboratore Fiore Salvatore ha fatto
dichiarazioni analoghe e comunque confermative di quelle di Scudo
Fausto; significativa, altresì, la testimonianza del tenente Di Florio,
confermativa di tutte le accuse mosse in precedenza dai due
collaboratori; significato probante deve essere poi riconosciuto alle
frequentazioni dell’imputato, costanti e ripetute, con altri affiliati
accertate in numero elevatissimo, frequentazioni che riscontrano le
accuse dei collaboratori Fiore e Scudo ed evidenziano la intraneità
dell’imputato al gruppo malavitoso.
3. Avverso la sentenza di condanna ricorrono per cassazione
entrambi gli imputati.
3.1 Acampora Ciro, assistito dal difensore di fiducia, sviluppa tre
motivi di impugnazione.
3.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione
dell’art. 192 c.p.p. in relazione all’art. 111 della Cost., in particolare
deducendo: il fondamento probatorio della condanna a carico
dell’imputato è dato dalle dichiarazioni rese da collaboratori di
giustizia, dei quali non è stata però motivata la credibilità e
l’attendibilità; dette dichiarazioni sono rimaste inoltre prive di
riscontri, tali non potendosi ritenere le mere frequentazioni con altri
pregiudicati; le dichiarazioni dei collaboratori Fiore Salvatore e
Scudo Fausto, inoltre, solo apparentemente sono coincidenti; nel
periodo contestato al ricorrente (ottobre 2006 — febbraio 2007) il
Fiore era detenuto, di guisa che nulla può egli riferire e nulla infatti
riferisce che possa imputarsi a quei pochi mesi; l’Acampora non
risulta denunciato per alcun reato fine, né in materia di droga, né di
natura estorsiva; tanto smentisce le dichiarazioni collaborative di

P

3

Scudo, il quale ha accusato il ricorrente proprio di spaccio e di
estorsioni; Scudo infine riferisce di attività delittuose svolte insieme
all’Acampora, affermazione smentita dai rispettivi periodi di
detenzione che escludono in radice siffatta possibilità.
3.1.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa
ricorrente violazione dell’art. 416-bis c.p. e difetto di motivazione
sul punto, in particolare osservando: l’accusa associativa poggia
non su prove ma su mere sensazioni, là dove la corte di merito
sostiene che, tornato in libertà nell’ottobre del 2006, il ricorrente
non avrebbe giammai avuto la forza criminale di agire in proprio in
un territorio soggiogato da due clan rivali e contrapposti; illogica è
la sentenza impugnata là dove accredita come credibili le
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Scudo Fausto; questi
afferma di aver spacciato unitamente al ricorrente e che l’Acampora
ha svolto attività illecite (di spaccio ed estorsive) anche dopo il suo
arresto (di esso Scudo) avvenuto nel 2009; ma l’Acampora risulta
detenuto dal 2007 al 2011, di guisa che non può aver delinquito
dopo il 2009; illegittimamente la sentenza di secondo grado
argomenta contro l’imputato richiamando pronunce che l’hanno
assolto pienamente ed utilizzando prove raccolte in quei processi; le
intercettazioni telefoniche ed ambientali riferite al Montella
risalgono infatti al 2003 e sono coperte dal giudicato assolutorio;
per il periodo ottobre 2006-febbraio 2007 non è stata contestata
alcuna condotta associativa a carico di chicchessia, di guisa che non
si comprende con chi l’imputato si sia associato per delinquere.
3.1.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia infine la difesa
dell’Acampora violazione di legge in relazione all’art. 133 c.p.,
dappoichè inflitta una pena assai severa, con pena base di molto
superiore al minimo edittale in assenza di una congrua motivazione.
3.2 Colini Mario, da parte sua, con l’assistenza del difensore di
fiducia, sviluppa un unico ed articolato motivo di impugnazione,
con il quale denuncia violazione dell’art. 416-bis c.p., violazione
dell’art. 192 c.p. e difetto di motivazione.
Argomenta e deduce, in particolare, la difesa ricorrente:
diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, la corte
di merito ha considerato gravemente indiziante della intraneità del
ricorrente al clan malavitoso la circostanza che avrebbe egli
consumato una tentata estorsione in concorso con presunti affiliati
al clan Birra, richiamando a conforto una giurisprudenza di
legittimità formatasi in materia di misure cautelari e su dati di fatto
diversi, dappoichè considerata in quella fase cautelare gravemente
indiziante la diversa circostanza di più episodi di estorsione e non
già di un solo episodio; il Colini non ha commesso altri reati oltre
quello tanto enfatizzato dalla corte territoriale ed ha avuto
4

frequentazioni soltanto con i correi di quella tentata rapina; di qui
l’illogicità della motivazione censurata; la sentenza di condanna ha
altresì valorizzato alcune dichiarazioni collaborative, delle quali
però ha omesso graficamente qualsivoglia valutazione di
attendibilità, verosimilmente perché acquisiti spezzoni di
dichiarazioni tra sovradondanti “omissis”; la corte non ha neppure
considerato le censure difensive alle dichiarazioni collaborative; la
corte ha valorizzato l’accusa di Savino Giuseppe secondo cui il
Colini avrebbe partecipato ad un summit mafioso in cui si decretò
l’eliminazione fisica di un avversario, senza però indicare riscontri
alla veridicità di questa accusa e senza nel contempo valutare i
rilievi difensivi con i quali si sottolineava l’incipit della
dichiarazione collaborativa, improntata al dubbio (“se non mi
sbaglio c’era pure Mario Colini”); il dubbio del dichiarante
svilisce il valore probatorio ed individualizzante dell’indizio; la
corte di merito ha altresì valorizzato le dichiarazioni collaborative
relative all’occultamento del cadavere di tale Iodice da parte del
ricorrente in concorso con Borrelli, non avvedendosi che per tale
condotta, risalente agli anni ’80, il ricorrente ha scontato una lunga
detenzione ventennale; la corte ha poi riportato, senza alcuna
specifica valutazione, le dichiarazioni di Savino Ciro e Savino
Giovanni, nonostante il primo faccia riferimento a fatti estorsivi
risalenti al 2001, 2002, epoca in cui il ricorrente era detenuto, ed il
secondo richiami l’episodio di tentata estorsione alla concessionaria
auto della quale la sentenza impugnata ampiamente tratta.
4. 1 ricorsi sono infondati.
4.1 Infondato è, in particolare, il ricorso proposto nell’interesse

dell’Acampora.
4.1.1 H primo motivo di impugnazione di detto ricorrente si articola
su presupposti travisati delle risultanze processuali e con
argomentazioni palesemente volte ad una valutazione del quadro
probatorio acquisito al processo alternativa a quella motivatamente
accreditata dalla corte di merito in applicazione di principi di diritto
correttamente interpretati.
Ed invero dei collaboratori Scudo e Fiore risulta ribadita, ancorchè
implicitamente, l’affidabilità e la credibilità, perché interno al
gruppo il primo e perché “vecchio” amico il secondo, perché
specifiche e precise le circostanze raccontate dal primo, perché
assenti per l’uno e per l’altro motivi di astio personale. Le censure
sul punto inoltre si appalesano generiche là dove non evidenziano
elementi, logici e concreti, dai quali dedurre l’inaffidabilità e la non
credibilità dei collaboratori, limitandosi la specificità dei rilievi
5

difensivi ai contenuti dichiarativi dei quali ci si occuperà di qui a
poco.
Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia menzionati possono
inoltre riscontrarsi vicendevolmente, come da consolidata lezione di
questa corte di legittimità (Cass., Sez. I, 04/04/2012, n. 33398, rv.
252930; Cass., Sez. III, 10/12/2009, n. 3255, rv. 245867), e nel
concreto del processo risultano esse correttamente riscontrate,
altresì, con le accertate, molteplici e diffuse frequentazioni
dell’imputato con esponenti riconosciuti del clan di appartenenza
(Cass., sez. VI, 5.5.2009, n. 24469, rv. 244382; Cass., sez. VI,
25/01/2012, n. 9185, rv. 252281).
Del tutto irrilevante, infine, ai fini dell’accusa associativa, si
appalesa l’argomento difensivo che nel periodo temporale indicato
nella contestazione l’imputato non risulti denunciato per alcun reato
fine (Cass., Sez. II, 11/01/2012, n. 4304) dappoichè non richiesto
tanto nella fattispecie tipizzata all’art. 416-bis c.p..
4.1.2 Infondati si appalesano altresì i profili argomentativi
sviluppati dalla difesa ricorrente col secondo motivo di
impugnazione.
Ed invero quanto allo svilimento difensivo dell’argomento logico
utilizzato nella motivazione a sostegno dell’accusa relativa al reato
associativo, osserva il collegio che esso, lungi dal ridursi a “mera
sensazione”, come difensivamente opinato, si appalesa del tutto
valido dappoichè fondato su dati di fatto oggettivi, il controllo del
territorio da parte di clan malavitosi contrapposti, confluito verso
una regola di esperienza logica e reale: in quella situazione
territoriale non può assumere un ruolo criminale autonomo un
pregiudicato per reati di spaccio ed estorsioni tornato in libertà dopo
una lunga detenzione.
Quanto invece alle denunciate illogicità dei contenuti dichiarativi
delle collaborazioni, appare agevole la replica che esse non possono
ritenersi decisive ai fini del giudizio di colpevolezza, fondato sulle
dichiarazioni collaborative riscontrate, quanto al breve periodo della
contestazione, dall’accertamento delle frequentazioni, sistematiche,
diffuse e significative, con sodali importanti del clan
Circa, infine, l’utilizzo da parte della corte di merito di atti di un
procedimento diverso conclusosi con l’assoluzione, rileva il
collegio che è’ legittimo dare ad essi una valutazione probatoria
diversa da quella data in precedente giudizio, attesa la diversità
delle accuse venute a giudizio, la diversità temporale ed i contesti
probatori anch’essi diversi.
A parte ciò non può non considerarsi, inoltre, che il censurato
utilizzo non appare essenziale ai fini della decisione, fondata
essenzialmente, esaustivamente ed in termini autosufficienti, sulle
6

dichiarazioni collaborative, su argomenti logici e sulle
frequentazioni accertate.
Quanto, per finire, alla mancata individuazione nella sentenza
impugnata di sodali dell’associazione, osserva la Corte che trattasi
di dato irrilevante dappoichè la motivazione presuppone
evidentemente l’esistenza di un agguerrito clan malavitoso, la cui
realtà è confermata da sentenze penali di condanna di sodali e
perché, ai fini decisionali, non è richiesto dalla legge
l’individuazione di associati, comunque indicati nella motivazione
col dato indiziario delle frequentazioni.
4.1.3 il terzo motivo è manifestamente infondato.
La corte ha adeguatamente argomentato il giudizio sulla pena,
rilevando la gravità del fatto, atteso il contesto temporale e
territoriale, e la personalità criminale dell’imputato, dedotta dal
reato giudicato e dai precedenti.
Secondo costante affermazione di questa Corte, in tema di
determinazione della misura della pena, il giudice del merito, con la
enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o
più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve
adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione,
infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica
esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Cass.,
Sez. Il, 19/03/2008, n. 12749).
4.2 Quanto al ricorso del Colini osserva il collegio che insussistenti
sono le violazioni normative e manifestamente infondati i rilievi
motivazionali denunciati con esso, volti, questi ultimi, ad una
valutazione alternativa delle risultanze probatorie acquisite al
processo rispetto a quella motivatamente argomentata dalla corte
territoriale in applicazione corretta dei principi interpretativi dettati
dal giudice di legittimità.
4.2.1 Del tutto coerente con l’insegnamento di questa Corte è,
innanzitutto, la valutazione probatoria della tentata estorsione,
consumata dal Colini in concorso con sodali notoriamente mafiosi
ai danni di una concessionaria, aggravata ai sensi dell’art. 7 1.
203/1991, valutazione operata dalla corte di merito in termini del
tutto diversi e contrari a quelli utilizzati dal giudice di prime cure
per motivare l’impugnata assoluzione dell’imputato.
Sul punto, come già innanzi sintetizzato, la difesa lamenta che la
deduzione accusatoria relativa alla intraneità a clan malavitosi sia
avvenuta in contrasto con l’insegnamento di legittimità, giacchè
unico l’episodio e perché massimata la deduzione accusatoria,
7

.

r
j. ,i

e

5: Alla stregua delle esposte considerazioni ii., ricorsd, varrigettatd ed
ij ricorrenti condannat0: al pagamento delle spese processuali a
mente dell’art. 616 c.p.p..
P. T. M.

t

applicata alla fattispecie, in sede di giudizio cautelare ed in termini
di mera gravità indiziaria.
Le deduzioni difensive non possono essere condivise.
Date le condizioni di tempo e di luogo, nonché le caratteristiche
dell’azione delittuosa (territorio controllato da pericolosi ed
agguerriti clan camorristici, consumazione di un reato tipico
dell’attività criminale di gruppi associati, controllo in atto del
territorio da parte del clan, consumazione del reato da parte di
accertati sodali del gruppo criminale) è del tutto corretta sul piano
logico la deduzione gravemente indiziaria operata dalla corte di
merito quanto alla sua sintomaticità della intraneità dell’imputato
nel gruppo camorristico dominante nella zona al quale
appartenevano i concorrenti nel reato.
Esaustivo sul piano motivazionale è altresì argomentare la
colpevolezza dell’adesione associativa dell’imputato utilizzando
l’episodio criminale appena evocato e, con esso, per un verso, le
frequentazioni accertate dell’imputato con i medesimi concorrenti
della tentata rapina, come detto noti sodali del clan e, per altro
verso, le dichiarazioni collaborative di Savino Giuseppe, delle quali
il giudice di prime cure non ebbe la possibilità di tener conto.
Sul punto rileva la difesa che non avrebbe la Corte indicato il
necessario riscontro all’accusa del collaboratore ai danni del Colini
quale partecipe al summit che decise la soppressione violenta di una
avversario e che tale partecipazione sarebbe stata evocata in termini
fortemente dubitativi da parte del dichiarante.
Osserva in contrario in Collegio che nessun riscontro del riscontro è
necessario per la valutazione del dichiarato del collaboratore,
giacchè il Colini non è stato accusato di quell’omicidio, fatto questo
per il quale l’accusa del collaboratore avrà bisogno certo dei
riscontri di legge, mentre, quanto al secondo rilievo, la
partecipazione al summit in parola correttamente non è stata
delibata dal giudice di merito in termini dubitativi. A parte l’incipit
della dichiarazione infatti, il tenore del dictum collaborativo si
appalesa espresso in un climax di certezza dichiarativa.
Del tutto irrilevanti infine nel corpo della complessiva motivazione
appaiono le evocate dichiarazioni collaborative degli altri due
Savino, Ciro e Giovanni.

la Corte rigetta i4 ricorsd e condanna it ricorrenti al pagamento
a ura e a
ra
I PO
delle spese processuali.
re dell’istituto
edimento al
cancelleria, copia e
‘art. 94, comma 1
penitenziario ai sensi
Roma, addì 7 novembre 2013

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