Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 37596 del 29/05/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 37596 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Morabito Carmelo, nato il 13/09/1963 a Melito di Porto Salvo
avverso l’ordinanza del 15/01/2018 del Tribunale di Reggio Calabria
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito il difensore, avv. Eugenio Bruno Minniti, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria, sezione
specializzata per il riesame, ha confermato l’ordinanza del 16 ottobre 2017, con
la quale il Gip del Tribunale di Reggio Calabria ha applicato a Carmelo Morabito
la misura della custodia cautelare in carcere in relazione alla partecipazione
all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta operante nel territorio di
Reggio Calabria

sub

capo 1), per avere ricoperto – unitamente a Salvatore

Morabito e Pasquale Morabito, Giuseppe Palamara e Saverio Mollica – un ruolo
apicale nel sodalizio criminoso, concorrendo a formare il vertice decisionale per

Data Udienza: 29/05/2018

il

la spartizione dei subappalti, le forniture di mezzi e materiali, così da assicurarne
un’equa ripartizione fra le varie famiglie di ‘ndrangheta.
1.1. Dopo avere preliminarmente disatteso le eccezioni processuali di
inefficacia sopravvenuta della misura cautelare per omessa trasmissione dei file
audio delle intercettazioni e di nullità dell’ordinanza coercitiva per difetto
dell’autonoma valutazione”, il Tribunale ha evidenziato che i fatti contestati al
Morabito si collocano nella fase temporale successiva alla cosiddetta faida di
Motticella (che vedeva contrapposti due gruppi antagonisti del Mollica – Morabito

“locale” autonomo a Motticella. Il Collegio del riesame ha quindi notato che,
come si evince dalle intercettazioni (in particolare da quelle dei colloqui intercorsi
fra Filippo Palamara e Gianfranco Mancuso), nel comune di Brancaleone si era
registrata la convergenza d’interessi di due gruppi, quello dei c.d. “paesani” e
quello dei c.d. “forestieri”, tra cui appunto figuravano i Morabito detti i “larè”, e
come, a seguito della “pace”, i Morabito si accordassero con i Palamara detti i
“bruciati” per la gestione degli appalti pubblici con altre cosche di Africo.
1.2. Con specifico riguardo alla posizione del Morabito, il Tribunale del
riesame ha posto in luce come il quadro indiziario a carico del ricorrente poggi
sulle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Maurizio Maviglia e sulle
intercettazioni comprovanti la spartizione degli appalti dei comuni di
Brancaleone, Africo e limitrofi. In particolare, il Collegio ha notato: a) come
Maviglia abbia riconosciuto in foto Carmelo Morabito e dato atto della sua
partecipazione alla ‘ndrangheta con il grado di “santista”, primo grado della
Società Maggiore; b) come il collaboratore sia intrinsecamente ed
estrinsecamente credibile, alla luce di specifici riscontri obbiettivi
individualizzanti, evinti dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali; c) come le
captazioni confermino l’infiltrazione mafiosa nei lavori delle coste ioniche
finanziati dalla Regione Calabria, il ruolo verticistico assunto Carmelo Morabito
all’interno della consorteria di Africo nella gestione delle trattative nonché le
pressioni della famiglia Morabito, in particolare di Carmelo, per la gestione
dell’aggiudicazione dell’appalto per i lavori di consolidamento del cimitero di
Brancaleone, assegnati formalmente alla ditta Legato, ma materialmente
eseguiti dall’impresa di Massimo Emiliano Ferraro, alle cui spalle v’erano appunto
i “larè”; d) come ulteriori elementi a carico si traggano dalla documentazione del
comune di Brancaleone concernente l’appalto per i lavori cimiteriali,
comprovante la partecipazione della cosca alla gara, schermata dietro
imprenditori compiacenti, e l’avvicinamento mafioso degli altri imprenditori
interessati da parte del Ferraro, il quale operava con l’appoggio dei Morabito.

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e Scriva – Palamara – Speranza) e del tentativo di Saverio Mollica di riaprire un

1.3. Nel dare risposta alle deduzioni difensive, il Collegio ha inoltre
rimarcato: a) che, al tempo dell’esecuzione dei “lavori delle coste”, del
complesso turistico “.lewel of the sea” e dell’area cimiteriale di Brancaleone,
Carmelo Morabito si trovava in Calabria nel comune di Africo ove disponeva di
una ditta di movimento di terra, essendogli stata applicata la misura della libertà
vigilata a partire dal maggio 2010; b) che le interlocuzioni di Filippo Palamara
intercettate dagli inquirenti sono affidabili, avendo egli conoscenza diretta dei
fatti narrati, quale coindagato nel procedimento, ed essendo egli ignaro di essere

generiche e le dichiarazioni Vincenzo Freno sono inattendibili; d) che la chiamata
del collaboratore Maurizio Maviglia è riscontrata da elementi esterni di conferma,
a nulla rilevando la circostanza che, in altri procedimenti penali, egli sia stato
reputato inattendibile.
1.4. Il Tribunale ha quindi confermato l’integrazione della circostanza
aggravante del ruolo apicale di cui all’art. 416-bis, comma secondo, cod. pen. ed
ha, invece, escluso l’aggravante del controllo delle attività economiche di cui
all’art. 416-bis, comma sesto, cod. pen.
1.5. Sul fronte cautelare, rilevata l’operatività della duplice presunzione di
pericolosità sociale e di adeguatezza prevista dall’art. 275, comma 3, del codice
di rito, il Collegio ha rimarcato come le esigenze connesse al pericolo di
inquinamento probatorio e di reiterazione criminosa siano concrete ed attuali e
come, ad ogni modo, Carmelo Morabito risulti inserito in un contesto di
cosiddetta “mafia storica” e non emerga dall’incartamento processuale, nè dalle
deduzioni difensive, alcun elemento dimostrativo della rescissione dei suoi
legami con la consorteria criminosa, stimando di conseguenza applicabile la sola
misura di maggior rigore.

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso Carmelo Morabito, con
atto a firma del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i motivi di
seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen., per
avere il Tribunale erroneamente respinto la dedotta inefficacia della misura
cautelare per omessa trasmissione dei files audio, sebbene atti d’indagine
indispensabili ai fini dell’esercizio del diritto di difesa.
2.2. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art.
416-bis cod. pen., per avere il Tribunale stimato sussistenti i gravi indizi di
colpevolezza della partecipazione del Morabito alla consorteria criminale senza
illustrare lo specifico contributo apportato dal ricorrente ai fini del rafforzamento
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intercettato; c) che le dichiarazioni a discarico rese da Gianfranco Mancuso sono

o anche solo della conservazione della capacità operativa del sodalizio. Il
ricorrente evidenzia come il collaboratore di giustizia Maviglia si sia limitato a
riconoscere in foto Morabito e ad assegnarli la generica veste di “santista” e
come, dall’altra parte, le captazioni citate a conforto del quadro accusatorio siano
equivoche e non consentano di confermare la cointeressenza del ricorrente nelle
attività illecite del gruppo criminale.

1. Il ricorso è infondato in relazione a tutte le deduzioni mosse e deve,
pertanto essere disatteso.

2.

E’ inammissibile la prima deduzione in rito concernente l’omessa

trasmissione dei files audio.
2.1. Nel riproporre la stessa deduzione già coltivata dinanzi al Tribunale del
riesame senza confrontarsi con la motivazione svolta in risposta dal Collegio (il
che rende, di per sé, generico il motivo), il ricorrente non tiene conto della
costante lezione di questa Corte regolatrice, secondo cui, in tema di riesame,
l’omesso deposito del cosiddetto “brogliaccio” di ascolto e dei “files” audio delle
registrazioni di conversazioni oggetto di intercettazione non è sanzionato da
nullità o inutilizzabilità, dovendosi ritenere sufficiente la trasmissione, da parte
del P.M., di una documentazione anche sommaria ed informale, che dia conto
sinteticamente del contenuto delle conversazioni riferite negli atti della polizia
giudiziaria, fatto salvo l’obbligo del Tribunale di fornire congrua motivazione in
ordine alle difformità specificamente indicate dalla parte fra i testi delle
conversazioni telefoniche richiamati negli atti e quelli risultanti dall’ascolto in
forma privata dei relativi “files” audio (Sez. 6, n. 37014 del 23/09/2010, Della
Giovampaola e altri, Rv. 248747; Sez. 6, n. 22570 del 11/04/2017, Cassese e
altro, Rv. 270036).
2.2. Ad ogni modo, il Collegio calabrese ha dato congruamente atto del fatto
che agli atti risultano presenti le trascrizioni delle intercettazioni (i c.d.
brogliacci) e che la difesa non ha mosso alcuna censura in merito a specifiche
intercettazioni, di tal che il rilievo si appalesa, oltre che infondato, comunque
aspecifico e non sorretto da un reale interesse.

3. Non coglie nel segno il secondo motivo, con il quale il ricorrente si duole
del giudizio di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione all’associazione di
stampo ‘ndranghetista contestata in via provvisoria sub capo 1).

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CONSIDERATO IN DIRITTO

3.1. Non è revocabile in dubbio che, secondo i principi tracciati da questo
Giudice di legittimità, anche riunito nel più ampio consesso, la condotta di
partecipazione all’associazione di tipo mafioso sia riferibile a colui che si trovi in
rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del
sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo
dinamico e funzionale – desunto da indicatori fattuali -, in esplicazione del quale
l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione
dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Cass. Sez. U, n. 33748

proc. Addante e altri, Rv. 238838).
Il delitto di partecipazione all’associazione ex art. 416-bis cod. pen. non si
connota, dunque, per la mera adesione ideale all’organizzazione mafiosa, ma
postula un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto
organizzativo del sodalizio, tale da implicare un ruolo attivo e funzionale, in
esecuzione del quale il consociato si mette a disposizione dell’organizzazione in
vista del perseguimento degli scopi criminali oggetto del programma associativo,
potendo solo così affermarsi che egli “prenda parte” al fenomeno criminale.
3.2. A tali coordinate ermeneutiche si è nondimeno conformato il Collegio
del gravame cautelare nella parte in cui ha ritenuto provata – sia pure in termini
di elevata probabilità – la partecipazione del ricorrente all’associazione di stampo
‘ndranghetista valorizzando non solo le parole del collaboratore di giustizia
Maviglia, ma anche i plurimi elementi obbiettivi – evinti dalle captazioni dimostrativi dell’infiltrazione dei Morabito, e precisamente del ricorrente, nella
gestione degli appalti, attività costituente uno dei principali

core business

dell’organizzazione in territorio calabrese.
Ed invero, il Tribunale del riesame ha passato attentamente in rassegna le
captazioni e la documentazione acquisita presso il comune di Brancaleone da cui
emergono il ruolo apicale di Carmelo Morabito all’interno della consorteria di
Africo nella gestione delle trattative concernenti i lavori delle coste ioniche
finanziati dalla Regione Calabria e le pressioni del Morabito ai fini
dell’aggiudicazione dei lavori di consolidamento del cimitero di Brancaleone ad
una ditta dietro la quale si schermava la cosca, delineando motivatamente la
stabile adesione del prevenuto alla compagine criminale, con un ruolo “attivo e
dinamico” (v. pagine 11 e seguenti dell’ordinanza).
3.3. Il Tribunale non si è inoltre sottratto dall’affrontare specificamente i
rilievi mossi nel ricorso ex art. 309 cod. proc. pen.
Per un verso, ha dato conto dell’attendibilità intrinseca di Maurizio Maviglia
(acclarata anche in altri procedimenti) ed evidenziato gli specifici elementi di
riscontro elementi esterno alla chiamata in correità.
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del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670; Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, P.G. in

Per altro verso, in ordine alla contestata “credibilità” delle parole di Filippo
Palamara acquisite con le intercettazioni ambientali, ha fatto corretta
applicazione del principio di diritto secondo il quale gli indizi raccolti nel corso di
conversazioni telefoniche intercettate, a cui non abbia partecipato l’imputato,
possono certamente costituire fonte diretta di prova, senza necessità di reperire
riscontri esterni, a condizione che siano gravi, precisi e concordanti (Sez. 6, n.
8211 del 11/02/2016, Ferrante e altri, Rv. 266509; Sez. 1, n. 40006 del
11/04/2013, Vetro, Rv. 257398).

argomentativo sviluppato dal Giudice del gravame nell’ordinanza, il ricorso si
risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione su aspetti squisitamente di
merito, non consentita in questa Sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a
verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu °cui/ percepibili, senza
possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).

4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso il 29 maggio 2018

3.4. A fronte della precisione, completezza e intima coerenza dell’iter

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