Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3759 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3759 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHIACCHIERETTA LELIO N. IL 11/01/1966
SCOTTO DI CESARE SAMUEL N. IL 10/09/1981
SPINELLI CRISTOFORO N. IL 18/09/1984
avverso la sentenza n. 1389/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 06/07/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ,‘ -e rt, 64- cksLL

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

fft

Data Udienza: 07/11/2013

La Corte ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Il Tribunale di Pescara con sentenza del 26 maggio 2008
condannava, per quanto di interesse nel presente giudizio di
legittimità, alla pena di anni sei di reclusione, ritenuta la
continuazione e concesse le attenuanti generiche, Chiacchiaretta
Lelio, Scotto di Cesare Samuel e Spinelli Cristoforo, giudicati
colpevoli di concorso, tra loro e con altri coimputati separatamente
giudicati e con numerosissime persone non identificate, nel reato di
resistenza aggravata a pubblico ufficiale (artt. 110, 337 e 339 co. 2
c.p.) e nel reato di devastazione e saccheggio (artt. 110 e 449 c.p.).
I fatti venuti a giudizio risalgono alla sera del 20 e 21 gennaio 2003
allorchè, in occasione dell’incontro di calcio tra le squadre del
Pescara e della Sambenedettese, si verificarono molteplici e violenti
scontri tra tifosi e forze dell’ordine con numerosi danni a persone e
beni pubblici e privati.
A sostegno della decisione di condanna il tribunale poneva le
riprese (e relativi dettagli fotografici) eseguite dalla Polizia di Stato
e dalla televisione pubblica, nonché la testimonianza di personale
della Polizia impegnata negli scontri e la documentazione
dell’arresto in flagranza di reato del Chiacchiaretta.
2. La sentenza di prime cure veniva poi confermata nel merito dalla
Corte di appello di L’Aquila, la quale, in data 6 luglio 2011,
dichiarava prescritto il reato di resistenza e per l’effetto riduceva la
pena ad anni cinque e mesi quattro di reclusione.
Confutando
le
ragioni
illustrate
difensivamente
con
l’impugnazione, la corte distrettuale confermava la legittimità
dell’acquisizione e dell’utilizzo a fini probatori dei filmati registrati
dalla RAI e dalle Forze dell’ordine, evidenziava la genericità delle
censure volte a stigmatizzare il taglio delle menzionate registrazioni
nelle loro parti non significative (perché non dimostrata l’utilità
difensiva delle registrazioni medesime se non eseguiti i tagli),
ribadiva la configurabilità del reato di devastazione contestato,
negava validità storica e giuridica alla tesi difensiva che gli scontri
sarebbero stati conseguenza di una azione violenta ed ingiustificata
presso il bar “Smeraldo” da parte delle forze dell’ordine alla quale i
tifosi avrebbero reagito.
3. Ricorrono per cassazione avverso la pronuncia di secondo grado i
tre imputati di cui in premessa.
i

3.1 Chiacchiaretta Lelio, assistito dal difensore di fiducia, illustra
quattro motivi di impugnazione.
3.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione
dell’art. 419 c.p. sotto il duplice profilo della sussistenza del dolo e
del parametro quantitativo dei fatti di devastazione, in particolare
osservando ed argomentando: quanto al dolo va evidenziato che i
tifosi non vollero realizzare fatti di devastazione, perché i medesimi
si contrapposero esclusivamente alle Forze dell’Ordine, senza
peraltro mai scontrarsi fisicamente con le stesse; sempre in
riferimento alla ricorrenza nella fattispecie concreta dell’elemento
psicologico del reato, la difesa ha dimostrato che la “frattura
dell’ordine pubblico” si verificò in seguito alla distruzione da parte
delle forze dell’ordine del bar “Smeraldo”, attiguo allo stadio, dove
si trovavano inermi cittadini, fatto questo che determinò la dura
reazione della tifoseria locale; non vi fu pertanto autonoma
volizione di fatti di devastazione, che non può configurarsi, sotto il
profilo psicologico, nella reazione dei tifosi al fatto ingiusto delle
forze dell’ordine; nel processo non risultano provati danni a beni
pubblici, mentre i danni ai privati furono di modesta entità come
riconosciuto dai numerosi danneggiati privati escussi in
dibattimento.
3.1.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa
ricorrente violazione degli artt. 189 e 234 c.p.p., in riferimento alle
modalità di assunzione della prova video-fotografica, in particolare
osservando: sono stati acquisiti documenti fotografici senza l’esame
dibattimentale degli autori delle fotoriproduzioni e sul materiale
videografico risultano operati tagli e manomissioni; l’art. 234 c.p.p.
impone invece che per l’ammissibilità della prova fotografica deve
essere effettuata la verifica dei tempi e dei luoghi delle riprese; vi è
stata violazione dell’art. 234 c.p.p. perché i documenti filmati e
fotografici sono stati manomessi e perché assunte le relative prove
non in contraddittorio delle parti ai sensi dell’art. 183 c.p.p.; il
ricorrente è stato riconosciuto all’udienza del 17.10.2005
dall’ispettore Metrangolo non presente fisicamente agli scontri del
20.1.2003.
3.1.3 Col terzo motivo di impugnazione denuncia la difesa
ricorrente difetto di motivazione in relazione alle eccepite
manipolazioni del materiale video-fotografico ed alla violazione
dell’art. 234 c.p.p., in particolare deducendo: alle tesi difensive in
ordine alla violazione dell’art. 234 c.p.p. ed alle eccepite
manomissioni della documentazione video-fotografica la corte
distrettuale ha replicato con la tesi che non avrebbe la difesa
2

provato che le parti mancanti ovvero manomesse avrebbero avuto
forza probatoria favorevole all’imputato, con ciò accreditando una
illegittima inversione dell’onere probatorio, di regola a carico
dell’accusa.
3.1.4 Col quarto ed ultimo motivo di impugnazione denuncia infine
la difesa ricorrente la mancata assunzione di prove decisive
richieste ai sensi dell’art. 603 c.p.p., in particolare la prova
testimoniale degli autori dei filmati, al fine di verificarne
l’autenticità, il confronto tra operatori di polizia sulle modalità
dell’arresto in flagranza del ricorrente, l’esame dibattimentale
dell’isp. Bruno in ordine all’episodio del bar “Smeraldo”.
3.2 Scotto Di Cesare Samuel, assistito dal difensore di fiducia,
sviluppa due motivi di impugnazione.
3.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di
motivazione sul rilievo che non risulta affatto provata la condotta
riferita all’imputato col capo di imputazione e che il mero lancio di
fumogeni non concretizza la fattispecie tipizzata per il reato di
devastazione, per il quale occorre un grado di offensività ben più
elevato ed azioni offensive mai consumate del ricorrente.
3.2.2 Col secondo motivo di ricorso censura la difesa istante la
dosimetria della pena inflitta, giacchè non considerate le necessità
rieducative della pena stessa e non motivato il diniego delle
circostanze attenuanti generiche.
3.3 Spinelli Cristoforo, personalmente, sviluppa infine due motivi
di doglianza.
3.3.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di
motivazione sul rilievo che “non vi è nessuna spiegazione concreta
e puntuale dell’iter logico-argomentativo adottato per pervenire
alla sussistenza della penale responsabilità de/prevenuto. All’uopo
si evidenzia la formulazione scarna, quasi inesistente, della parte
motiva, che non sembra tenere nel debito conto le doglianze
manifestate dalla difesa dello Spinelli in relazione al reato
ascritto”.
3.3.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia infine la difesa
ricorrente violazione di legge “in relazione alla ipotesi di reato
contestata e ritenuta integrata”, per poi, eccentricamente rispetto
alla rubrica, censurare la dosimetria della pena.
4. 1 ricorsi sono manifestamente infondati.
4.1 Manifestamente infondato è, in particolare, il ricorso del
Chiacchiaretta, il quale ripropone pedissequamente le censure di
merito ed in diritto già illustrate col ricorso d’appello, senza in nulla
replicare alle esaustive argomentazioni con le quali il giudice
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distrettuale le ha motivatamente confutate correttamente applicando
i principi di legge.
4.1.1 Ed invero, quanto al primo motivo sviluppato da detto
imputato appare agevole osservare che è palesemente infondato il
presupposto in fatto della tesi giuridica difensivamente sostenuta e
cioè che la tifoseria abbia reagito ad un comportamento arbitrario
delle forze dell’ordine responsabili della proditoria distruzione del
bar “Smeraldo”. Come diffusamente dimostrato dalla corte
distrettuale, l’irruzione della polizia nel detto esercizio avvenne alle
ore 19,30, quando ormai gli scontri si erano ampiamente diffusi
essendo iniziati alle ore 18, 18.30, argomento logico al quale giova
giustapporre la considerazione, più propriamente giuridica, che
l’elemento psicologico del delitto previsto dall’art. 419 C.p. è
costituito dalla semplice volontà di compiere fatti di devastazione,
di guisa che nessun rilievo, ai fini della configurazione del reato,
hanno il movente che ha determinato il soggetto attivo e lo scopo da
questi perseguito. Sussiste quindi il delitto di devastazione anche
quando il fatto venga commesso per mero vandalismo.
D’altra parte, come da insegnamento di questa corte, l’elemento
psicologico del delitto di devastazione previsto dall’art. 419 c.p. è
costituito dal dolo generico, consistente nella consapevolezza di
porre in essere fatti che superano la gravità ordinaria del delitto che
lo integra (danneggiamento), involgendo l’ordine pubblico (Cass.,
Sez. I, 08/03/2001, n. 26830, Mazzotta) e comunque nella
consapevole convergenza con il generalizzato tumulto, diffuso e
distruttivo (Cass., Sez. I, 07/07/2010, n. 33508).
Quanto al profilo oggettivo del reato, anch’esso contestato dalla
difesa ricorrente con l’argomentazione, tipicamente di merito, che
non risulterebbero provati danni a beni pubblici, ha opportunamente
il giudice distrettuale evidenziato il raggiungimento della prova
documentale e testimoniale (forze di polizia, rapporti di indagine,
denuncia della parte civile costituita) di danni ingentissimi alle
strutture dello stadio Adriatico di Pescara, alle strade adiacenti lo
stadio, a beni di singoli privati.
A parte ciò giova ribadire che il delitto di devastazione previsto
dall’art. 419 c.p. è un reato contro l’ordine pubblico, per cui è
indifferente che i fatti di devastazione abbiano interessato in tutto o
in parte i beni oggetto di aggressione o che sia stato grave il danno
in concreto prodotto, purché sia accertato che i fatti posti in essere
abbiano leso non soltanto il patrimonio, ma anche, appunto, l’ordine
pubblico (Cass., Sez. I, 06/04/2004, n. 21845).
4.1.2 Manifestamente infondati appaiono, altresì, il secondo ed il
terzo motivo di impugnazione del ricorso Chiacchiaretta, entrambi
relativi all’utilizzo, ai fini decisionali, delle videoriprese eseguite
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dalla TV di Stato e dalle forze dell’ordine, nonché dei fotogrammi
tratti da esse.
In primo luogo va rammentato l’insegnamento di questa Corte,
nella sua più autorevole composizione, secondo il quale le
videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al
pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno
incluse nella categoria dei “documenti” di cui all’art. 234 cod. proc.
pen., mentre le medesime videoregistrazioni eseguite dalla polizia
giudiziaria, anche d’iniziativa, vanno invece incluse nella categoria
delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189
cod. proc. pen. e, trattandosi della documentazione di attività
investigativa non ripetibile, possono essere allegate al relativo
verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento (Cass., Sez.
Unite, 28/03/2006, n. 26795; Cass., Sez. I, 18/12/2008, n. 4422, rv.
242793; Cass., Sez. V, 17/07/2008, n. 37698, rv. 241946). Tra le
prove atipiche vanno altresì annoverate le videoriprese
giornalistiche eseguite a cura di una emittente televisiva ovvero
dalla RAI.
Tanto risulta affermato altresì dal giudice territoriale, il quale ha
desunto da siffatta natura processuale delle videoregistrazioni la
piena utilizzabilità dei relativi risultati, l’affidabilità del mezzo di
prova, l’irrilevanza di ogni richiesta istruttoria volta all’audizione
processuale degli operatori delle riprese.
Del tutto correttamente ha altresì evidenziato la corte di merito la
genericità della doglianza relativa alle denunciate cancellazioni di
parte delle riprese (la difesa parla altresì di manomissioni delle
riprese, escluse in quanto tali dai giudici di merito in assenza di un
qualche elemento indiziario che sostenesse la veridicità
dell’assunto) sul rilievo che non ha neppure tentato la difesa di
dimostrare l’utilità difensiva delle cancellazioni, viceversa
giustificate dagli inquirenti con la totale inutilità della parti
cancellate.
Né di pregio è infine la tesi giuridica che l’assunto appena esposto
integrerebbe una irrituale inversione dell’onere probatorio,
dappoichè data dall’accusa la prova a carico, è onere della parte
interessata (l’imputato) fornire la prova contraria, secondo lo
schema generale in tema di prova giuridica, che impone alla parte
che agisce la prova dei fatti costitutivi della domanda (in questo
caso dell’accusa) ed a chi contrasta l’onere di provare l’eccezione.
4.1.3 Del tutto generico è infine il quarto motivo di doglianza
illustrato dalla difesa del Chiacchiaretta, giacchè caratterizzato lo
stesso dal mero elenco delle tre richieste istruttorie rigettate dai
giudici di merito, senza alcuna considerazione dimostrativa della
loro essenzialità ai fini del giudizio.
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4.2 Altresì manifestamente infondati sono i due motivi di
impugnazione argomentati dalla difesa di Scotto di Cesare Samuel.
4.2.1 Quanto al primo motivo giova ribadire che concorre nel reato
di devastazione di cui all’art. 419 c.p. chiunque, pur senza
materialmente consumare singoli atti di danneggiamento, partecipi
consapevolmente ai disordini diffusi, giacchè, come già innanzi
evidenziato, elemento caratterizzante della condotta, tale da
escluderne il carattere non offensivo della carenza di idoneità a
turbare l’ordine pubblico, deve essere ravvisato nella consapevole
convergenza con il generalizzato tumulto, diffuso e distruttivo
(Cass., Sez. I, 07/07/2010, n. 33508).
E nel caso in esame il lancio di fumogeni, come opportunamente
sottolineato nella motivazione impugnata, integrava piena e
volontaria partecipazione ai gravi disordini per i quali è causa.
4.2.2 In riferimento invece al secondo motivo annota il Collegio che
ha la difesa confusamente richiamato principi di diritto, peraltro
riferiti anche al diniego di concessione generiche in costanza di una
sanzione applicata in concreto nel suo minimo edittale con
riduzione di un terzo per la concessione delle circostanze attenuanti
generiche, di guisa che rimane del tutto oscuro il motivo reale della
censura.
4.3 Manifestamente infondati sono, infine, i due motivi di censura
proposti da Spinelli Cristoforo.
4.3.1 Quanto al primo di essi non può che evidenziarsene l’assoluta
genericità ed aspecificità. A fronte dell’accusa, ritenuta provata con
le riprese video, che l’imputato, parzialmente coperto da una
sciarpa, abbia lanciato verso poliziotti e carabinieri pezzi di
marciapiede e sassi, la difesa oppone le seguenti argomentazioni
(già innanzi riportate testualmente) “non vi è nessuna spiegazione
concreta e puntuale dell ‘iter logico-argomentativo adottato per
pervenire alla sussistenza della penale responsabilità del
prevenuto. All ‘uopo si evidenzia la formulazione scarna, quasi
inesistente, della parte motiva che non sembra tenere nel debito
conto le doglianze manifestate dalla difesa dello Spinelli in
relazione al reato ascritto”.
Di qui la palese evidenza del rilievo di genericità
4.3.2 In riferimento invece al secondo motivo, rubricato, giova
ribadirlo, in termini del tutto eccentrici rispetto al contenuto,
descrittivo, ancora una volta genericamente, di una doglianza circa
la dosimetria della sanzione inflitta, va nuovamente sottolineato che

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5. I ricorsi, conclusivamente, vanno pertanto dichiarati
inammissibili ed alla declaratoria di inammissibilità consegue sia
la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella
al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende,
somma che si stima equo determinare in euro 1000,00 per ciascuno
dei ricorrenti.
P. Q. M.

la Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di euro
1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Roma, addì 7 novembre 2013

all’imputato è stato applicato il minimo edittale con il
riconoscimento pressocchè pieno della circostanze attenuanti
generiche.

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